Non ho neppure una foto che mi ritragga con te. Ma ho una cornice, che è il tempo stupendo che ho trascorso con te. Certo non serve un ricordo di carta a colori che sussurri a me stesso, nei giorni infelici, quel che sei stata per me. Il ricordo di te non è ancora ricordo, perché io ti ho ancora vicina ancora ti sento, ti parlo, tremo, abbasso lo sguardo e quando trovo il coraggio ancora mi perdo nel tuo sorriso, ti stringo e ancora ti bacio e ti accarezzo i capelli. Ancora. Fino a che tu sarai quell’ancora non proverò nostalgia.
Nostalgia.
Il dolore che torna.
È il senso di questa parola.
Ancora dolore,
ancora tu.
La cornice del tempo
un giorno, avrà la sua foto
e saremo ritratti
a soffrire lontani
invece di essere insieme,
vicini e felici.
E allora il ricordo
sarà nostalgia
e tornerà ancora il dolore,
ancora dolore,
ancora tu.
Ciascuno fabbrica il proprio reticolato, la propria trincea, il proprio guscio, la propria linotipia. E lo fa col gramo vocabolario di cui dispone, servendosi delle misere seppur fondamentali verità che ha via via incamerato, consapevole solo in parte dei materiali che ha scelto, dei lemmi che giorno dopo giorno ha perso mentre era intento a costruire il proprio bunker. Già, perché ciascuno edifica bunker, piccoli orci nei quali raggomitolarsi e finalmente dormire. Ignorando il vento e le grandi mutazioni che pur seguitano ad avvenire fuori dalla nostra orizzontalità sterminata. Ma appunto ciascuno si arrabatta come può pur di non affondare nella melma che gli ribolle e rantola sotto i piedi. Ciascuno ha pochi spuntoni nella propria bisaccia, molti dei quali sono già stati lanciati a vuoto e la dotazione ha una scadenza. Ciascuno lavora ad arredare la propria cella, non sa cos’altro fare, non può osare di più. Ciascuno riempie il proprio cruciverba come meglio gli riesce, e poi, nel buio dello sconforto, spesso si affaccia dalla prima bocca di lupo che avvista.