Che andasse al diavolo questa Europa!!! Che andassero al diavolo quanti ancora credono in una unione, solidale, di popoli e di intenti!!! Che andassero al diavolo quelli che anni fa mi chiamavano fascista, quando rivendicavo l’impossibilità di giungere ad una comunanza di obiettivi, che valicasse i sacri confini e gli interessi nazionali. Che andasse al diavolo l’Europa, ormai vecchia e lurida baldracca, prona agli interessi economici di chi comanda realmente il mondo e costretta all’inazione. Che andasse al diavolo l’Europa, insieme con l’ipocrisia dei rivoluzionari-chic e dei filantropi da salotto, eletti ed elettori. Che andasse al diavolo l’Europa, perché lì vi troverà la culla e i sogni di questo bimbo!!!
Al centro profondo dell’estate, “I and I” di Bob Dylan sul giradischi, mi riscoprivo laconico e incapace. Di esprimermi, di crescere. Entrò un pipistrello in casa e un geco risalì l’angolo tra le due pareti. Mia madre smise di mangiare. Me ne stavo concluso sui pastelli fino a quando un pomeriggio lui disse giochiamo a mosca cieca, chi di noi perde farà penitenza. C’era come un giallo granuloso nell’aria, grandi palle di fuoco nel cielo, e io barcollavo in bilico tra la fame e la pubertà con un calzino arrotolato sugli occhi. Lo vedevo da sotto, le sue enormi scarpe Adidas a pochi centimetri di me. Aveva le forbicine per le unghie e mi pungeva mentre io mi votavo alla sconfitta. Nelle fiamme di agosto. Hai perso e adesso sarai torturato a dovere. Guardavo il soffitto opposto a me e in quel bianco smarginavano le ultime chiazze della vergogna. Seppi solo secoli dopo. Che io sono nato Basini. E che avrei cercato per tutta la vita i miei carcerieri, Beineberg e Reiting. Il mio Törless. La mia frustata sulle chiappe. Piegato con la faccia sul pavimento, la corda al collo, la polvere.