Seppure raccogliessi tutto il silenzio che ti è succeduto per farne un’unica parola d’amore che recasse il tuo nome. Seppure avessi la possibilità una sola possibilità ancora di averti davanti e guardarti sorridere. Seppure pensassi di annegare il mio cuore nel dolore che piango al ricordo incomparabile dei tuoi occhi. Seppure maledicessi quelle mani che mi carezzavano, quelle labbra che baciavano le mie e i raggi di luna in una notte d’inverno e seppure permettessi alla rabbia di gridare per provare a trovare una ragione che sia pure vana e illusoria, non potrò mai dimenticarti. Non voglio! Non voglio che il silenzio diventi parola, che il tuo sorriso, i tuoi occhi, le tue mani, le tue labbra, siano solo ricordo. Non voglio una perla. Voglio pescare dove il mare è profondo. Lì mi troverai quando risalirò dall’abisso in cui la tua assenza mi ha fatto sprofondare.
Il viaggio più importante deve condurti negli oggetti che ti hanno preceduto. In quei libri ingialliti, che sono lì da molto tempo prima di te e appartenevano a tua madre, a tuo padre. In quei vinili, in quelle cravatte. In quegli odori che promanano ancora dal fondo dei loro cassetti chiusi a chiave. Li vorresti aprire ma poi non lo fai mai. Eppure il viaggio più importante è in quei quaderni, in quelle foto scattate prima che tu nascessi. In quella cantina, dentro quelle scatole. Tu vieni da lì, da tutto ciò che è stato prima del tuo primo pianto. Da chi è stato bambino prima di arrivare a metterti al mondo. E da chi fu bambino prima di lui. Indietro e indietro e ancora indietro. Fino a qualcosa che potremmo chiamare Dio.