La mia fase up è finita. Sono satollo e terribilmente stanco. Come avessi scalato una parete rocciosa. Ero sulla mia macchinina a scontro, ero al luna park. Ho sbattuto contro chiunque. Avevo bisogno di crashare. Letteralmente. Bucare le gomme, finire impantanato, calpestare, fare del male e farmene. Sadico e masochista a un tempo. Come un bisogno incontenibile di frittura. Un’overdose. L’opportuna scossa da dare al fegato di quando in quando. Si sa che bisogna. Serve a riequilibrare il metabolismo, formare una crepa, un confine tra un prima e un dopo. Adesso sono al day after. Bufera ormonale che sciama lontana. Ripristino del sistema. Bisogno di parlare. Ascoltare. Dopo aver sovvertito un ordine è quanto di meglio io riesca a fare. Nella fase down.
Giovani, liberi di giocare, da soli, col tempo sotto quell’albero di ciliegie dove ci arrampicavamo, al mattino, per cogliere il sole e far colazione. Giovani. Le tiepide notti, insieme, non avevano fine, nemmeno con l’alba. Tredici anni. Un giorno.
So di essere spigoloso e caustico. Spesso respingente e tranciante. Dunque mi sorprendo sempre quando dal nulla mi si avvicinano persone che per qualche misteriosa ragione sanno in che lingua parlare con me. Sono persone con le quali abbasso d’un tratto le difese. E con cui mi rilasso. Non devo sedurle, non devo abbatterle. Semplicemente non devo far niente. Se non lasciarle entrare. Farmi abitare.
Credo che alla fine vorrei provare a stare con qualcuno non propriamente per un mio bisogno intrinseco, quanto per la frustrazione che produce in me l’osservazione della vita di coppia degli altri, la loro apparente felicità. Ci pensavo sabato sera. Al compleanno di Mauro. Tralasciando che tutti loro abbiano figli, al solito ero l’unico non accompagnato. Mi sarebbe piaciuto sfoggiare qualcuno, ecco. Sentirmi loro pari. Uguale. Ma come, pur avendo preso la patente, di fatto non guido, così tutto sommato anche quella di un legame stabile è una macchina che alla lunga non saprei portare. Se provo a salirci, se metto in moto, dico, e mi allontano, poi inevitabilmente sbando e invado la corsia opposta e allora, ecco, allora, no, allora meglio scendere, proseguire a piedi. Per conto mio. Oppure, come sempre, fare l’autostop.
Oggi ero a un bivio. Ci ho messo ventisei secondi a capire che sentiero dovevo imboccare. Ho seguito il mio istinto e ho scelto ancora una volta la libertà. E dopo è stato il paradiso in un metro quadro. Per cui devo solo accettarlo. E ricordarmene. Che sono figlio di Diana. E sono felice solo quando posso andare dove mi pare. Nessuna situazione dubbia, nessun compromesso. Nessuna catena o corda. Mai. Ho quarantatré anni.
Il Rinascimento ha mostrato i suoi frutti soprattutto nelle arti figurative. Un’opera d’arte (di ogni epoca!) parla di sé soltanto ad ammirarla, ma spesso racconta poco della vita del suo autore. Ci fu un uomo, pittore, architetto e letterato, che pensò bene di raccogliere le biografie e le tecniche artistiche di tutti quei personaggi i quali, lungo il Rinascimento, regalarono i loro capolavori all’umanità. Questi fu Giorgio Vasari. Nato ad Arezzo nel 1511, giovanissimo, fu a bottega da Michelangelo, da Andrea del Baccio e da Baccio Bandinelli. Fu l’artista ufficiale di Cosimo I a Firenze, per il quale progettò gli Uffizi e affrescò la volta della cupola della cattedrale di Santa Maria del Fiore. Il titolo della sua raccolta di biografie illustri è: “Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani da Cimabue insino a’ tempi nostri“, cioè suoi, cioè fino a Michelangelo, in cui colleziona 195 biografie, concludendo con la propria. Ma non solo. Racconti e curiosità arricchiscono la narrazione dell’esistenza di questi uomini eccezionali. Anche se molte date non risultano essere precise e tanti aneddoti sono stati inventati da lui stesso, come, ad esempio, quella secondo cui Cimabue provasse ripetutamente a scacciare la mosca che Giotto aveva disegnato su un suo quadro, l’opera ha avuto e ha, ancora oggi, valore di guida fondamentale per la storia dell’arte italiana dal Trecento al Cinquecento. Da toscano, Vasari pone in ottima luce gli artisti della sua regione ed è sempre parziale anche quando, nella seconda edizione, inserisce maestri di altre parti d’Italia.
Benvenuto Cellini
Chi è stato a letto con una donna o con un uomo dello spettacolo, scrive la propria biografia; chi è uscito da un centro di recupero per tossicodipendenti e fa parte sempre dello spettacolo, scrive la propria biografia; chi ha commesso uno o più omicidi, scrive la propria biografia o, almeno, se la fa scrivere; chi ha vinto una medaglia, scrive la propria biografia; chi ne ha combinate di grosse, veramente grosse, scrive la propria biografia… Chiunque potrebbe scrivere la propria biografia, raccontare di quando è nato, di quanto i suoi genitori gli abbiano voluto bene, di come si sia divertito non sempre in modo troppo sano, eccetera, eccetera. Non sarebbe il primo e nemmeno l’ultimo. C’è comunque stato qualcuno, il primo, appunto, che scrisse la storia della propria vita: fu un artista, Benvenuto Cellini. Quando nacque, il 3 Novembre 1500, a Firenze, suo padre Giovanni, fabbricatore di strumenti musicali, aspettava una femmina, ma non appena lo vide, strillò: “Benvenuto!” e quello fu il suo nome. Fu a bottega da vari maestri a Firenze, Bologna, Siena e Pisa. Ad averlo conosciuto, si sarebbe capito immediatamente che era una testa calda, anzi caldissima. Risse, botte, coltellate, schioppettate, con lui erano cose comuni. Pare che, quando partecipò alla difesa di Castel Sant’Angelo, durante il sacco di Roma del 1527, con le palle del suo di archibugio uccidesse il comandante dell’esercito imperiale, Carlo di Borbone, e ferisse, poi, Filiberto di Chalons, principe d’Orange, che aveva preso il suo posto. Era uno che sapeva bene come usare le armi da fuoco. Per quel che riguarda la sua carriera d’artista, fuse il famoso Perseo, una statua di bronzo alta 5 metri e 20 centimetri, cesellò l’altrettanto celebre Saliera per Francesco I di Francia (immagine a destra) e creò tante altre belle opere d’arte. Giunto a 58 anni (per la vita che condusse un incredibile traguardo!), decise di mettere per iscritto la parabola della sua esistenza: “La vita di Benvenuto Cellini fiorentino, scritta (per lui medesimo) in Firenze“. L’Autore, sebbene fosse un artista, racconta se stesso, non le sue opere d’arte. Per la prima volta, egli mette in scena la sua vita, nella sua crudezza, nelle sue avventure, senza metafore e senza voler insegnare nulla. Questa è stata la novità. Momenti belli e momenti brutti, brave persone e farabutti, sangue, donne e cortigiani, amore e odio, fame, sete, ubriachezza e sazietà, puttane e ruffiani, invidia e generosità, fughe, prigioni e colpi a serramanico, ce n’è per tutti i gusti. La sua storia, insieme all’indubbio valore letterario, è avvincente e incredibile. Sono certo che essa piacerebbe non solo ai “tecnici” della letteratura, ma anche a lettori abituati a sfogliare libri impegnativi e istruttivi (sicuro!) come “Cigno” (Naomi Campbell, “Cigno“, Mondadori, 1995), “Vita, morte e miracoli di un pezzo di merda” (Paolo Villaggio, “Vita morte e miracoli di un pezzo di merda“, Mondadori, 2002), “CostantinoDesnudo” (Alfonso Signorini, “Costantino Denudo“, Maestrale Company, 2004), “Io e me stessa” (Lory del Santo, “Io e me stessa“, Sperling&Kupfer, 2006) e via dicendo.
Di tutti i piaceri umani uno solo non nuoce alla nostra salute psicofisica ma anzi produce in noi importanti benefici: il sesso. A differenza del cibo e delle droghe, il sesso ci appaga e rende agili, ci aiuta a eliminare le tossine e a dormire meglio. Il sesso è il piacere senza controindicazioni, senza effetti collaterali. A patto che sia: protetto, non venga inconsciamente stigmatizzato, la si pianti una volta per tutte di confonderlo con l’amore o l’amicizia. Scopate se vi va. E non date altro nome alla cosa. Si chiama senso della realtà. Volendo, felicità.
Per innamorarsi servono età ed epoche adatte. I quindici anni, i venti. Gli anni settanta e gli anni ottanta, ad esempio, sono state epoche perfette per amarsi. Perfino gli anni novanta. Questi no. Questi sono gli anni del non amore. La grande, magnifica era del non amore.
Secondo dei tre appuntamenti, organizzati dal Forum dei Giovani di Massa Lubrense, presieduto da Giovanna Savarese, con gli studenti delle classi quarta e quinta della sede massese dell’Istituto Polispecialistico “San Paolo”, diretto dalla professoressa Rosa Cirillo, dal titolo: “Massa Lubrense: i luoghi, la storia e il futuro”. Ospite di questo secondo incontro, condotto e moderato da Riccardo Piroddi, dedicato alla collina del Deserto, con il monastero, di Sant’Agata sui Due Golfi, il dottor Luigi Poi, imprenditore alberghiero e appassionato di storia locale, il quale ha brillantemente relazionato sulla storia, anche archeologica, della collina e del monastero, sullo stato del turismo massese e su quanto si potrà e dovrà fare per migliorare l’offerta turistica. Un appuntamento stimolante per gli studenti, che hanno avuto occasione di approfondire tematiche di profondo interesse per il loro percorso scolastico.
Sono uno che da ragazzino scelse di mettere in ordine. Per me l’ordine viene prima di ogni altra cosa al mondo. Ordine dello spazio, della casa, delle singole azioni da compiere, degli oggetti, delle persone. Ordine del tempo. Delle parole, delle relazioni. Se qualcuno sposta un oggetto dalla posizione in cui io l’avevo sistemato, sono paralizzato in una depressione cieca sino a che non lo riporto alla sua posizione originale. Non posso mangiare scrivere lavorare dormire scopare amare se prima le cose non sono tutte perfettamente in ordine. Non tollero curve o diagonali nella mia vita, le cose devono essere ortogonali e disciplinate, rigorosamente simmetriche altrimenti sto male, ho alterazioni del comportamento. Ogni cosa deve reiterarsi nello stesso identico modo della volta prima, altrimenti perdo la rotta e vado a sbattere. Non devono esistere pieghette nel mio letto che solo io posso rifare spianandolo come il marmo, in caso contrario impazzisco. Niente e nessuno deve entrare in conflitto col mio ordine della realtà. Se accade ho i tremori. A volte credo di soffrire di una qualche forma di autismo psichico che però nessuno (neppure la mia psicologa in tredici anni di terapia) mi ha mai diagnosticato. L’ordine oggettuale è alla base della mia anaffettività, del mio egotismo, della mia incapacità a farmi toccare dalle persone che conosco e frequento.