Ti incontrerò all’imbrunire. Acciarpando la brughiera che ieri ha ghiacciato. Sarà coll’agguato delle volpi assiepate in branco. Per le spelonche fetide, i lastricati. Ma ci parrà di ritornare. Rincasare alla vacanza. Miseria, normalità rifuggita, dirci di nuovo come stiamo, sempre: come stiamo. Timidamente poi: un passo. La foschia emergente alle ore morene. Allora ti incontrerò. Fra le crepe presaghe, al soldo delle ferree armate: sbrago asciutto di ricordi, orgia in cui ci imbatteremo, troppo giovani ancora e induriti dalla fame. E sembrerà di ricucire. Lo strappo, una ferita, rimediare gli alfabeti zoppi alla grazia d’un fil di voce. Farsi pronto soccorso di penombre, ridere vivi di vecchiezza, certi imbarazzi, lo scompiglio. Così ti incrocerò, appresso allo squillo, foss’anche lo sprofondo, frammezzo gli steccati che ululano nel vento. Foss’anche la zampata del cane che mi bracca, ti troverò laggiù, dove il prato ti rimorde. E lo vedrò a quel modo scarno. Il mio al tuo profilo incontro, che più t’immaginavo. Tra i canti perduti, caduti addosso un po’ come fantasmi. E prima. Di una tosse d’albe. Tra la sporcizia ubriaca. Là ti incontrerò. Mostruosamente. Volgendomi alla notte. Per poterti scusare d’aver dimenticato tutto. Pure la mia morte.