Ebbene sì!!! La più grande burla della storia è stata propinata alla Chiesa proprio sotto il naso e, per di più, in un capolavoro collocato, in saecula saeculorum, presso la sede “santa”, in modo che, quotidianamente, possano ammirarlo e continuare a credere di non vedervi nulla. Eh sì, perché ad osservare bene il drappo con angeli nel quale è Dio, si vede chiaramente come esso altro non rappresenti che il cervello umano, nella forma che tutti noi, oggi, conosciamo, grazie a quella libera scienza che molti “santi” hanno avversato con condanne a morte e roghi. Questo perché, anche il sommo Michelangelo, nonostante fosse vissuto cinque secoli fa, ne aveva contezza, in quanto dissezionava cadaveri, per studiarne l’anatomia e le parti interne. L’eccelso artista, quindi, ha voluto significare ai suoi “santi” committenti e al mondo: Dio è stato creato dal cervello umano che, di conseguenza, crea anche il mondo dei fenomeni. Il resto sono favole!!! Sono più chiaro: Dio non esiste perché è una creazione della mente dell’uomo e se Dio non esiste, non dovreste esistere neppure voi intesi come associazione che lo rappresenta, a vario titolo, in Terra! Strano, però, che quegli unici e “santi” detentori della verità non si siano ancora accorti di questa impercettibile sottigliezza. Evidentemente, oggi come nel Cinquecento, sono troppo impegnati a contare danari e non hanno il tempo di alzare il naso al cielo, neppure per contemplare un capolavoro dell’arte universale!
Michelangelo Buonarroti, “La creazione di Adamo” (1511)
Cappella Sistina, Roma
Wilfrid Voynich era un antiquario e mercante di libri rari polacco. Nel 1912 si recò in Italia e durante il suo viaggio giunse a Frascati. L’Ordine dei Gesuiti voleva restaurare Villa Mondragone, ma non avendo molti fondi a disposizione decise di vendere una parte dei libri antichi in suo possesso. Fu così che l’antiquario divenne proprietario di uno dei manoscritti più controversi che sia mai stato rinvenuto. Del manoscritto non non si conosce l’autore né il titolo, ma quello che lo rende “misterioso” sono i caratteri utilizzati e la lingua…
Esiste un aneddoto nella storia dell’arte italiana secondo il quale a Leonardo da Vinci mancasse soltanto un ultimo personaggio da dipingere alla sacra mensa dell’Ultima Cena: Giuda. Ebbene, il sommo artista si recò in una taverna malfamata, l’unico luogo confacente, insieme con una galera, dove poter rintracciare il modello cui ispirarsi per ritrarre uno degli uomini più vituperati dell’umanità. Vi trovò un baro ubriaco, col viso e l’anima segnati dagli eccessi. Lo ritenne perfetto. Terminato il suo celeberrimo capolavoro parietale, scoprì che quello stesso uomo, ormai ridotto ad una carogna, gli aveva fatto da modello, precedente-mente, per dipingere, al medesimo desco benedetto, le fattezze di Gesù Cristo. Che sia vero o meno, questo racconto può divenire metafora dell’esistenza di alcuni uomini. Quegli uomini, i quali, seppure destinati all’elezione, hanno scelto di vivere la damnatio, la dannazione!
Leonardo Da Vinci, l’Ultima Cena, 1495-1498
Milano, Refettorio del Convento di Santa Maria delle Grazie
Particolare dall’Ultima Cena
In primo piano, Giuda Iscariota con la mano al collo dell’apostolo Giovanni
Amiamoci. Senza paura. Amiamoci. Senza misura. Amiamoci, e insieme daremo nuovi nomi all’amore. Amiamoci senza controllo. Amiamoci nel modo più bello. Amiamoci, come due rondini incontro al tramonto, come due stelle marine intrecciate sul fondo, come due déi che si dividono il mondo. Amiamoci. Ubriachi d’amore. Amiamoci per lenire il dolore del malsano liquore distillato di false parole d’amicizia e d’amore. Amiamoci più di una volta, amiamoci, e non sarà tolta quella voglia che rimane irrisolta. Amiamoci tutta la notte, fino a che il nostro sudore diventi rugiada, sui corpi vinti di ardore. Amiamoci lungo tutta la pelle, amiamoci fino alle stelle, accompagnati dal suono di quindici vielle. Amiamoci. Fino a morire. Per poi separarci, e in un battito d’ali, tornare di nuovo ad amarci.
Venticinque anni fa in pochi avrebbero immaginato che un romanzo carico di ironia e di dottrina, sorprendente per ampiezza ed erudizione, a metà strada tra il teologico e il poliziesco, sarebbe diventato quello che ogni scrittore spera che accada, ma non confiderebbe neppure alla propria mamma, cioè un sogno da quindici milioni di copie. Il nome della rosa è stato questo…
Per chi è in grado di ravvisarli, un lirismo e uno stile da far tremar le vene e i polsi!!! Seppure dovesse mancarci tutto basta meditare una pagina del genere per urlare a se stessi di essere vivi e di percepirlo!!!
“Scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d’averne sparse tante; c’era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un’anima tutta consapevole e presente a sentirlo.“…
L’Amore materno è l’archetipo di ciò che gli uomini chiamano amore. È il modello con cui la Natura ha vivificato qualsiasi tipo di affezione positiva leghi tra loro le creature viventi: l’amore fraterno, parentale, amicale, relazionale, carnale. L’Amore materno è il canto della Natura, il germoglio della vita. Esso è fatto di carne e di sangue, di cuore e di battiti, non di versi dei poeti, perché l’amore dei poeti non dà la vita, può soltanto celebrare ciò e chi dà la vita. L’Amore materno è la prova naturale del fatto che la Donna-Madre sia stata incoronata e messa a sedere sul trono dell’esistenza. Nella religione della Natura, di cui io sono fedele, la Donna-Madre è l’unica divinità da adorare. Benedetta, dunque, la Donna-Madre, seme della storia del mondo, fiore della passione, origine e fine della vita.
Cangrande della Scala, il signore di Verona amico e protettore di Dante, fu davvero avvelenato. A risolvere il giallo sulla morte improvvisa e in giovane età, per una misteriosa “febbre”, del condottiero ghibellino è stato un gruppo di “paleodetective”. Facendo l’autopsia sul corpo dell’uomo…
Chissà se Giovanni Paolo II, nel 2004, avrebbe mai immaginato che un giorno neanche troppo lontano la monaca tedesca che si accingeva a beatificare sarebbe divenuta di grande attualità? Sono passati solamente 9 anni (articolo del 2013, ndr) da quel 3 ottobre del 2004 quando, il grande Papa polacco, il più grande “canonizzatore” della storia della chiesa, elevò agli onori degli altari Anna Katharina Emmerick, monaca agostiniana tedesca vissuta tra il 1774 e il 1824, proclamandola beata..