Complice una pasquetta uggiosa, questo pomeriggio ho ripreso un’opera la quale, già poco più che adolescente, mi aveva colpito moltissimo, anche grazie a un verso contenuto in essa: “Denique caelesti sumus omnes semine oriundi” (Siamo tutti generati da un seme celeste): il “De Rerum Natura” di Lucrezio, che si dispiega come un canto sospeso tra la ricerca della verità e l’abbraccio del mistero cosmico. Attraverso la profondità dell’essere e l’immensità dell’universo, Lucrezio intesse una trama di riflessioni sull’eternità della materia, sul moto perpetuo degli atomi e sulle forze invisibili che regolano la vita e la morte. Emerge un inno alla natura, veduta non come un dominio da temere o da supplicare, ma come una realtà da comprendere con la guida serena della ragione. In versi che oscillano tra il rigore scientifico e l’elevazione lirica, il poeta-filosofo invita a liberarsi delle catene dell’animo umano: la paura degli dèi e il terrore della morte. Nel tessuto della sua opera Lucrezio offre una visione liberatrice, dove il sapere diventa faro che illumina il cammino verso la pace interiore. Il “De Rerum Natura” è un capolavoro di sorprendente attualità, un appello alla razionalità e alla bellezza dell’indagine scientifica, intrecciato con una profonda riflessione sull’esistenza. È una esortazione a contemplare l’universo con meraviglia e rispetto, riconoscendo nell’armonia delle leggi naturali l’eco di una poesia senza tempo. Denique caelesti sumus omnes semine oriundi…