Archivio mensile:Maggio 2024

Gary Brooker, in loving memory

 

 

 

Quando penso a Gary Brooker (oggi avrebbe compiuto 79 anni), mi tornano in mente le note di A Whiter Shade of Pale diffuse nell’aria come un sussurro di tempi lontani. Era il 1967, un’epoca di rivoluzione culturale e musicale, e lui, con la sua voce unica e il suo tocco inconfondibile al piano, riuscì a catturare l’essenza di quell’era in una canzone.
Brooker non è stato solo un cantante e un pianista straordinario; è stato un narratore musicale, capace di trasportare gli ascoltatori in mondi di emozioni profonde. La sua carriera con i Procol Harum ha segnato un capitolo imprescindibile nella storia del rock. Con album come Shine on Brightly e Grand Hotel, ha dimostrato una versatilità e una profondità che pochi artisti riescono a raggiungere. La sua capacità di fondere elementi di musica classica con il rock è stata rivoluzionaria, creando un sound unico e inconfondibile.
La tecnica musicale di Brooker era altrettanto straordinaria. Al piano, le sue dita danzavano con grazia e precisione, creando melodie complesse e suggestive. Non si trattava solo di abilità tecnica; ogni nota sembrava portare con sé un pezzo della sua anima. La sua formazione classica si fondeva armoniosamente con le influenze del blues e del rock, dando vita a brani che sono vere e proprie opere d’arte.


Lo stile di Brooker era intriso di una dolce malinconia, un sentimento che traspariva in ogni esibizione. La sua voce, profonda e vellutata, era capace di trasmettere un ventaglio di emozioni, dalla gioia alla tristezza, con una sincerità disarmante. Ascoltandolo, era impossibile non essere toccati dalla sua musica, che sembrava parlare direttamente al cuore.
Anche se Gary Brooker, due anni fa, ci ha lasciati, la sua musica continua a vivere, un ricordo soave e nostalgico di un artista che ha saputo catturare l’essenza dell’anima umana. Ogni volta che ascoltiamo una delle sue canzoni è come se lui ci prendesse per mano e ci portasse in un viaggio attraverso i ricordi, le emozioni e i sogni.
Gary Brooker non era solo un musicista; era un poeta sonoro, un artista che ha saputo trasformare le note in emozioni palpabili. Il suo lascito musicale seguiterà a risuonare nei cuori di chi lo ha amato e di chi continuerà a scoprirlo, un testamento eterno del potere della musica.

P.s.: quando toccherà a me, è sulle note della sua A Whiter Shade of Pale che vorrò essere salutato!

 

 

 

 

La Summa Theologiae di Tommaso d’Aquino

Dio, il mondo e l’uomo

 

 

 

 

La Summa Theologiae, composta da Tommaso d’Aquino tra il 1265 e il 1274, è senza dubbio uno dei capolavori più influenti della filosofia e della teologia medievale. Quest’opera monumentale, infatti, riflette la profondità del pensiero del suo autore e la complessità delle questioni filosofiche e religiose del Medioevo.
Tommaso d’Aquino, teologo e filosofo dell’Ordine Domenicano, intraprende la stesura della Summa con l’intento di creare un compendio teologico che fosse educativo ed esaustivo per quanti cercassero risposte alle questioni della fede e dell’esistenza. L’opera è divisa in tre parti principali, che trattano di Dio, della creazione e della cristologia; della natura umana, della morale e della legge; e, infine, dei sacramenti e dell’escatologia.

Prima Parte: Dio e la creazione
Questa parte della Summa, contenente 119 questioni, si concentra sulla natura e gli attributi di Dio, sulla creazione del mondo e sulla natura degli angeli. Approfondisce l’esistenza e la natura di Dio attraverso le famose cinque vie per provarne l’esistenza, argomentazioni filosofiche che deducono l’esistenza di Dio contemplando aspetti del mondo naturale come il movimento, le cause, la necessità, i gradi di perfezione e l’ordine del mondo. La prima via è costituita dal cosiddetto “motore immobile”, di palese derivazione aristotelica. Tommaso osserva che tutto nel mondo naturale è in movimento, il che implica una progressione di movimenti o cambiamenti e che ogni movimento dev’essere causato da un altro movimento o motore. Tuttavia, per evitare un regresso all’infinito, deve esserci un “primo motore” non mosso da null’altro. Questo primo motore è Dio. La seconda via riguarda le cause efficienti. In natura, c’è un ordine di cause efficienti (le cause che innescano un evento). Analogamente al primo argomento, non è possibile procedere all’infinito in questa catena di cause, perché non ci sarebbe una causa prima. Pertanto, deve esistere una prima causa efficiente, Dio. La terza via sonda l’esistenza di cose possibili, che possono esistere e non esistere. Tutto ciò che è possibile ha un tempo in cui non esiste. Se tutto fosse possibile, ci sarebbe stato un tempo in cui nulla esisteva, ma se questo fosse vero, nulla potrebbe esistere ora, perché ciò che non esiste non può causare l’esistenza di sé stesso o di qualcos’altro. Quindi, deve esistere qualcosa di necessario, esistente per sua natura e non per causa di altro, Dio. La quarta via si fonda sui gradi di perfezione osservati nelle cose. Le cose nel mondo possono essere più o meno buone, vere, nobili, eccetera. Questi gradi presuppongono l’esistenza di un massimo, il culmine di tutte queste proprietà, che è “il più vero”, “il più buono” e così via. Questo massimo in ogni genere deve essere la causa di tutte queste perfezioni e, quindi, Dio. La quinta via deriva dall’ordine naturale del mondo, dove tutto agisce secondo una legge e un ordine, anche gli enti privi di conoscenza come i corpi naturali. Quest’ordine non può essere dovuto al caso, ma deve essere diretto da qualcosa dotato di conoscenza e intelligenza, un essere intelligente che guida tutte le cose al loro fine, Dio. Tommaso tratta poi la dottrina della Trinità, spiegandone il mistero attraverso l’uso della ragione umana fino ai limiti consentiti dalla teologia. Infine, discute della creazione, incluso il ruolo degli angeli, e della distinzione tra essenze ed esistenze nelle creature.

Seconda Parte: Etica e umanità
Questa parte è suddivisa in due sezioni (Prima Secundae e Secunda Secundae), in cui sono esposti, rispettivamente, i principi generali della morale e le virtù specifiche. Presenta, in totale, 303 questioni. La Prima Secundae indaga l’ultimo fine dell’uomo, gli atti umani, le passioni, le abitudini, le virtù e i vizi e la legge. Uno dei concetti chiave è quello della legge naturale, che postula l’esistenza di una legge morale universale basata sulla natura e la ragione. La Secunda Secundae esamina le virtù teologali (fede, speranza, carità), le virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza) e i doni dello Spirito Santo. Ogni virtù è approfondita dettagliatamente in una serie di questioni che ne indagano la natura, l’importanza e le implicazioni pratiche.

Terza Parte: Cristo e i sacramenti
La terza parte, comprendente 90 questioni e incompleta a causa della morte dell’Autore, è stata parzialmente compilata dai suoi studenti e da altri teologi medievali. Si concentra sulla vita e la missione di Cristo e sui sacramenti della Chiesa. Tratta della natura e del ruolo di Cristo, mediatore tra Dio e l’umanità, e della sua incarnazione, vita, atti e sacrificio salvifico. Vaglia poi la natura, il numero, gli effetti e i particolari di ciascuno dei sacramenti, con peculiare attenzione all’Eucaristia, intesa quale sacramento che delinea il culmine dell’intervento salvifico di Dio nell’umanità.

Ogni questione nella Summa si apre con una serie di obiezioni, che sollevano dubbi o quesiti riguardo all’argomento trattato, seguite da un “sed contra”, che offre un’antitesi basata sulla Scrittura o sull’autorità dei Padri della Chiesa, a cui Tommaso risponde con la “Respondeo”, esponendo la sua visione, seguita da repliche alle obiezioni iniziali. Questa struttura metodica facilita la comprensione degli argomenti, permettendo un dialogo costante tra differenti punti di vista.
Il contributo filosofico della Summa Theologiae è immenso. Tommaso armonizza il pensiero aristotelico con la dottrina cristiana, mostrando un notevole equilibrio tra ragione e fede. La sua trattazione dell’essere e dell’essenza, delle cause e delle prove dell’esistenza di Dio risultano essere veri pilastri della filosofia occidentale. Il filosofo si fa promotore di un realismo moderato, sostenendo che, sebbene le verità divine superino la ragione umana, vi siano verità accessibili e comprensibili attraverso la ragione naturale.
L’impatto della Summa Theologiae sulla filosofia e teologia cristiana è stato duraturo e profondo. L’opera non solo ha formato generazioni di teologi e filosofi, ma ha anche influenzato direttamente il pensiero della Chiesa Cattolica. La chiarezza con cui Tommaso tratta questioni complesse e la sua capacità di sintetizzare la fede e la ragione continuano a renderlo un punto di riferimento essenziale per gli studiosi contemporanei.
La Summa Theologiae rimane una delle opere più importanti e influenti nella storia del pensiero occidentale. Il suo approccio equilibrato e metodico alle questioni di fede e ragione, morale e teologia, rappresenta un monumento all’intelletto umano e alla ricerca della verità.

 

 

 

 

In ricordo di Romy Schneider

1982 – 29 maggio – 2024

 

 

 

La luce dorata del tramonto parigino si rifletteva, quel 29 maggio del 1982, negli occhi di Romy Schneider, riverberi che parlavano di una bellezza intramontabile e di una tristezza nascosta dietro il sorriso affascinante. Romy, nata Rosemarie Magdalena Albach-Retty, il 23 settembre 1938, a Vienna, ha vissuto una vita che, come le sue interpretazioni sullo schermo, è stata piena di passione, dramma e di un’infinita ricerca di amore e comprensione.
Iniziò la sua carriera cinematografica a soli 15 anni, un talento precoce che trovò presto la strada verso il successo con il ruolo di Elisabetta di Baviera nella trilogia di “Sissi”. La sua interpretazione della giovane imperatrice d’Austria divenne simbolo di grazia e innocenza, catturando il cuore del pubblico di tutto il mondo. Ma mentre Sissi le regalava fama e ammirazione, la imprigionava in un’immagine di eterna giovinezza, che sentiva non le appartenesse veramente.
Determinata a dimostrare la sua versatilità come attrice, Romy abbandonò i panni della dolce Sissi per trasferirsi in Francia, dove iniziò la trasformazione artistica sotto la guida di Luchino Visconti. Il regista italiano riconobbe subito il suo potenziale drammatico, offrendole ruoli più complessi e maturi. La sua performance in Ludwig e Boccaccio ‘70 mostrò al mondo una Romy diversa, capace di esplorare le profondità dell’animo umano con una sensibilità e una intensità rare.


Dietro la scintillante carriera, la sua vita personale è stata segnata da dolori profondi. Con il suo grande amore, Alain Delon, fu una storia di passione e tormento, che lasciò un segno indelebile nel suo cuore. Le successive relazioni e il matrimonio con Harry Meyen, da cui ebbe un figlio, David, non riuscirono a placare la sua inquietudine interiore. La tragica morte del figlio, nel 1981, segnò il colpo più devastante per lei, un dolore che mai riuscì a superare completamente.
Nonostante le tragedie personali, trovò sempre rifugio nella sua arte. I suoi ruoli in La piscina, accanto a Delon, L’important c’est d’aimer, La banquière e La califfa sono testimonianze del suo impegno e della sua capacità di immergersi completamente nei personaggi, consegnando interpretazioni che trasmettevano una gamma di emozioni profonde e autentiche. La sua presenza sullo schermo era magnetica, ogni suo sguardo e gesto erano carichi di significato.
Romy Schneider ci ha lasciati troppo presto, il 29 maggio 1982, ma il suo lascito artistico continua a vivere. Romy era un’anima tormentata, una donna di straordinaria bellezza e talento, la cui ricerca di felicità e autenticità ha reso le sue interpretazioni indelebilmente umane.
Ricordare Romy Schneider significa rendere omaggio non solo all’attrice di straordinario talento, ma anche alla donna che, attraverso le sue sofferenze e i suoi trionfi, ha saputo toccare il cuore di tanti, lasciando un’impronta incancellabile nel mondo del cinema e nella memoria di chi l’ha amata.

 

 

 

 

 

Papa Adriano V e l’avarizia: due malintesi letterari

 

 

 

Non di rado capita che, nella storia della letteratura, possano essere generati malintesi che eternano immagini e caratteristiche di personaggi storici non sempre rispondenti al vero. È il caso di papa Adriano V, al secolo Ottobono Fieschi, genovese, asceso al soglio di Pietro, settantenne, l’11 luglio del 1276 e morto dopo soltanto 39 giorni di pontificato. Molto poco, data l’estrema brevità del suo regno, ebbe occasione di compiere, riuscendo appena a convocare un concistoro segreto, nel quale sospese la costituzione apostolica Ubi periculum, contemplante le norme per l’elezione papale, riservandosi di riformarla successivamente, cosa che, però, non ebbe il tempo di fare. Nonostante non vi siano affatto conferme della sua presunta avarizia, Adriano V è stato vittima di due singolari equivoci letterari. È stato, infatti, collocato da Dante nella quinta cornice del Purgatorio, tra gli avari e i prodighi: “Spirto in cui pianger matura/ quel sanza ‘l quale a Dio tornar non pòssi,/ sosta un poco per me tua maggior cura./ Chi fosti e perché vòlti avete i dossi/ al sù, mi dì, e se vuo’ ch’io t’impetri/ cosa di là ond’io vivendo mossi”./ Ed elli a me: “Perché i nostri diretri/ rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima/ scias quod ego fui successor Petri./ Intra Sïestri e Chiaveri s’adima/ una fiumana bella, e del suo nome/ lo titol del mio sangue fa sua cima./ Un mese e poco più prova’ io come/ pesa il gran manto a chi dal fango il guarda,/ che piuma sembran tutte l’altre some./ La mia conversïone, omè!, fu tarda; /ma, come fatto fui roman pastore,/ così scopersi la vita bugiarda./ Vidi che lì non s’acquetava il core,/ né più salir potiesi in quella vita;/ per che di questa in me s’accese amore./ Fino a quel punto misera e partita/ da Dio anima fui, del tutto avara;/ or, come vedi, qui ne son punita./ Quel ch’avarizia fa, qui si dichiara/ in purgazion de l’anime converse;/ e nulla pena il monte ha più amara./ Sì come l’occhio nostro non s’aderse/ in alto, fisso a le cose terrene,/ così giustizia qui a terra il merse./ Come avarizia spense a ciascun bene/ lo nostro amore, onde operar perdési,/ così giustizia qui stretti ne tene,/ ne’ piedi e ne le man legati e presi;/ e quanto fia piacer del giusto Sire, /tanto staremo immobili e distesi” (Pur. XIX, 91-126). In modo simile, Francesco Petrarca, nel suo Rerum Memorandum Libri (III, 95), asseconda il peccato del pontefice, salvo, poi, nella raccolta epistolare Rerum Familiarium Libri (IX, 25-28), rettificare il suo sbaglio. L’errore, in entrambe le “Corone fiorentine”, potrebbe aver avuto origine dalla lettura della Historia Pontificalis di Giovanni di Salisbury, scrittore inglese, vescovo di Chartres nella seconda metà del XII secolo, il quale attribuì a papa Adriano IV, il connazionale Nicholas Breakspear, grande avarizia, unita ad una smisurata sete di potere, vizi che, poi, sarebbero scomparsi proprio in seguito all’elezione papale, come risulta anche nei citati versi di Dante. Il duplice malinteso, quindi, sarebbe stato generato dalla sostanziale omonimia tra i due vicari di Cristo in terra.

Pubblicato l’1 agosto 2017 su La Lumaca

 

 

 

 

Geopolitics: a Philosophical Approach

 

 

These my brand-new reflections on geopolitics present it as a philosophical field, emphasizing the influence of geography on political strategies and the impact of geopolitical actions on collective identities and human conditions. It integrates classical philosophical thoughts on power and State acts, aiming to deepen the understanding of nations’ strategic behaviours and ethical considerations. This reflective approach seeks to enhance insights into global interactions and the shaping of geopolitical landscapes.

 

Introduction to Geopolitics

A Philosophical Reflection

 

Geopolitics, a term that evokes the image of global chessboards on which nations move and interact, represents a field of study that transcends mere territorial or political analysis. At its deepest core, it is a philosophical reflection on the nature of power, identity, and collective existence within the global context. This introduction aims to explore the philosophical dimensions inherent in geopolitics, prompting a more nuanced and reflective understanding of the events and strategies that shape our world.
Geopolitics is a multifaceted discipline that intertwines the fixed reality of geography with the dynamic ambitions of global politics, painting a broad canvas that illuminates the strategic manoeuvres nations deploy as they navigate power, influence, and survival on the world stage. This discipline not only considers how physical spaces—mountains, rivers, seas, and natural resources—dictate political possibilities and limitations but also how these geographical factors are leveraged in the quest for geopolitical dominance.
At the heart of philosophical reflection on geopolitics lies the question of power: what is power, who holds it, and how is it exercised on a global scale? Power, in this context, is understood not only in terms of military or economic capability but also as cultural, ideological, and informational power. Thus, geopolitics is configured as the study of power dynamics in an interconnected world, where the actions of one nation can influence, directly or indirectly, the lives of individuals on the other side of the globe.
Another fundamental aspect is identity. Nations, like people, possess complex and multifaceted identities, shaped by history, culture, and relationships with others. These identities play a crucial role in international politics, as they influence perceptions, national interests, and actions on the world stage. Geopolitics thus invites us to consider how collective identities are formed, clash, and transform over time, offering a lens through which to examine the conflicts, alliances, and negotiations that characterize international relations.
Finally, geopolitics challenges us to reflect on human collective existence in an era of globalization. In an increasingly interconnected world, issues of sovereignty, autonomy, and interdependence become increasingly complex and nuanced. Philosophical geopolitics invites us to explore these tensions, asking fundamental questions about the nature of the global order, international justice and human rights, and how we can build a shared future that respects diversity and promotes peace.
The philosophical exploration of geopolitics invites us to ponder deeper existential and ethical questions concerning power, territory, and human intent, drawing from the rich intellectual traditions of several key philosophers.


In Leviathan, Thomas Hobbes posits that human life in the state of nature is “solitary, poor, nasty, brutish, and short,” a state of perpetual conflict that mirrors the relentless competition seen in international relations. His notion that the fear of violent death necessitates the establishment of a powerful sovereign can be analogized to the ways States seek security and power in an anarchic international system.
John Locke is known for his thoughts on government, property, and the social contract. His philosophies are essential for understanding the legitimacy of State power and its roots in the management and ownership of land. Locke’s theories directly relate to how nations justify their geopolitical strategies and claims, emphasizing the importance of consent and rightful authority in the stewardship of resources.
Immanuel Kant proposed that geographical boundaries and the size of a political body affect the governance structure and its representation of the people. His views in Perpetual Peace suggest a subtle acknowledgment of geopolitical constraints and opportunities, articulating a framework where peace can be systematically envisioned and pursued through international cooperation and shared norms.
Friedrich Nietzsche’s concept of the “will to power” underscores a fundamental drive in human behaviour that extends to the behaviour of States. Nietzsche’s ideas illuminate the underlying motivations for geopolitical actions, where nations are seen as entities in constant struggle for dominance or survival, driven by a deep-seated will to assert and expand their influence.
The integration of these philosophical perspectives offers a deeper understanding of the strategic behaviours exhibited on the global stage. Whether it’s in the distribution of critical resources, the strategic placement of military bases, or the formation of powerful alliances, the philosophical underpinnings of geopolitics highlight the inherent conflicts and negotiations that define international relations.
By considering these philosophical views, we gain insights into the enduring nature of power struggles, the ethical dimensions of territorial disputes, and the continuous impact of geographical realities on political decisions. These perspectives not only enrich our understanding of current geopolitical dynamics but also help us foresee how shifts in power and geography might shape the future global order.
This broader, more nuanced approach to geopolitics, enriched with philosophical inquiry, encourages a more comprehensive reflection on the reasons nations act as they do and the possible paths towards cooperation or conflict. It challenges us to critically assess the driving forces behind geopolitical strategies and to contemplate the long-term impacts of these actions on global peace and stability.
In conclusion, approaching geopolitics from a philosophical perspective allows us to go beyond superficial analysis of global events, prompting us to question the very bases of our coexistence on the planet. It challenges us to think critically about power structures, identity, and interdependence, thus providing the tools to better understand and, perhaps, positively influence the complex dynamics that shape our world.

 

 

 

 

De consolatione Philosophiae di Severino Boezio

Panacea di Filosofia

 

 

 

Negli avvolgimenti del destino beffardo, tra le fredde mura di una cella, un uomo attende il suo tramonto. Severino Boezio, nel silenzio oppressivo della prigionia, tesse una corona di riflessioni, il De consolatione Philosophiae, composto intorno all’anno 524 d.C., dialogo tra la sua mente afflitta e Filosofia, personificata e pietosa. In questo abbraccio letterario, il filosofo romano biasima le sue angosce e si eleva al di sopra delle volubili fortune terrene.
Con sublime eleganza, l’Autore intreccia prosa e poesia, dando vita a un’opera bicefala che palpita di sapere classico e domande senza tempo. La metrica è un rifugio dove il ritmo pacato delle strofe contrasta il tumulto dell’anima, un luogo dove la melodia del verso si fa balsamo per le ferite dell’esistenza.
Filosofia, maestra di antiche verità, si rivela a Boezio come una figura materna, dispensatrice di conforto e saggezza. Nei suoi cinque libri, l’opera percorre la caducità dei beni terreni, l’illusorietà del potere e della posizione sociale, conducendo il lettore in un percorso di purificazione intellettuale. La giustizia del mondo è messa in discussione, sfidando l’osservatore a riconsiderare la vera fonte della felicità umana.
Il primo libro inizia con Boezio che si lamenta della sua sorte crudele. Egli è personaggio e narratore e scrive di come la sua fortuna abbia preso una svolta negativa, nonostante il suo servizio fedele e virtuoso. Mentre si immerge nella malinconia, la figura allegorica di Filosofia appare. Ella lo rimprovera per il suo atteggiamento autocommiserativo e inizia a curare le sue ferite intellettuali e spirituali.
Nel secondo libro, Filosofia discute la natura inaffidabile della fortuna. Essa viene personificata come una donna capricciosa, che distribuisce beni e rovesci senza merito o logica. Il dialogo si concentra sul concetto di fortuna come una ruota che gira indiscriminatamente, portando alternativamente gioia e dolore. Qui, Boezio è guidato a comprendere che la ricerca della vera felicità non possa dipendere da qualcosa di così instabile e transitorio come la fortuna materiale.
Il terzo libro è il cuore filosofico dell’opera, dove si discute la vera natura della felicità. Filosofia sostiene che la vera felicità possa essere trovata solo interiormente, attraverso la virtù e la saggezza, e non nei beni esterni come la ricchezza, il potere o la posizione sociale. Boezio riflette sul fatto che l’uomo felice sia colui che si affida alla propria anima e alla bontà interna, indipendente dalle circostanze esterne.
Nel quarto libro è affrontata la questione della provvidenza e del fato. Boezio si confronta con il problema del male e la giustizia divina, interrogandosi su come possa esistere l’ingiustizia in un mondo governato da un dio benevolo e onnisciente. Filosofia lo guida a distinguere tra la provvidenza, il piano divino onnisciente e benevolo e il Fato, l’ordine delle cause terrene che si svolge sotto la provvidenza.

L’ultimo libro tratta ulteriormente delle relazioni tra libero arbitrio e predestinazione, affrontando le complesse interazioni tra volontà umana e disegno divino. Boezio viene condotto alla conclusione che, pur essendo l’universo ordinato sotto la guida della provvidenza, gli esseri umani hanno la capacità di scegliere liberamente all’interno di questo sistema. Questa parte culmina con una riflessione sulla capacità dell’uomo di raggiungere la virtù attraverso la scelta libera, nonostante il destino apparentemente predeterminato.
Il filosofo, con la penna come stilo del pensatore, argomenta contro la miseria del materialismo e propone un ritorno all’ordine cosmico in cui il Bene supremo governi incontrastato. La ruota della Fortuna gira, indiscriminata, e in questo moto perpetuo l’uomo saggio deve ricercare la stabilità non nelle ricchezze fugaci, ma nell’armonia dell’anima conforme alla ragione universale.
La dualità tra il disegno divino e la libera volontà umana danza attraverso le pagine, un balletto filosofico che invita a una riflessione profonda sul ruolo dell’individuo nell’universo. Boezio, con paziente elegia, intona un inno alla predestinazione e al libero arbitrio, elementi conciliati sotto lo sguardo onnisciente della provvidenza.
De consolatione Philosophiae non rappresenta soltanto il testamento spirituale di un uomo di fronte alle ingiustizie della Fortuna, ma anche un capolavoro letterario che ha incantato lettori e pensatori attraverso i secoli. L’opera si erge come un faro di lucidità in un mare di incertezze, un ponte tra il pensiero antico e le questioni etiche dell’esistere contemporaneo.
In questa danza tra destino e libero arbitrio, tra contemplazione e lamentazione, Boezio ci consegna un messaggio eterno: la vera consolazione risiede nella sapienza, luce immutabile che guida l’umanità attraverso le tempeste della vita. Con De consolatione Philosophiae, il filosofo non solo ha scritto una lettera di addio al mondo terreno, ma ha offerto un orizzonte di speranza che continua a brillare, inalterato, oltre i confini del tempo.

 

 

Il Satiro danzante

 

 

 

Il Satiro danzante, scultura in bronzo risalente al periodo ellenistico, raffigura la quintessenza della bellezza e dell’angoscia della civiltà antica. La scoperta della statua risale al luglio 1997, quando il peschereccio “Capitan Ciccio”, appartenente alla flotta di Mazara del Vallo, ripesca casualmente la gamba di una scultura in bronzo dal fondo del Canale di Sicilia. Nella notte tra il 4 e il 5 marzo 1998, poi, lo stesso peschereccio riesce a recuperare gran parte del resto della scultura da una profondità di 500 metri, sebbene, durante l’operazione, venga perso un braccio. Quest’opera ci giunge dal passato come messaggero silenzioso di una cultura ormai svanita, eppure perennemente presente nelle sue creazioni immortali.
Il satiro, raffigurato in un momento di estasi frenetica, sembra sospeso in un istante di perpetua danza, con il capo riverso all’indietro, gli occhi chiusi, come rapito da una visione divina. Il corpo atletico e muscoloso, catturato in una torsione dinamica, racconta la maestria degli scultori ellenistici nel raffigurare il movimento con una vividezza quasi palpabile. La superficie del bronzo, patinata dal tempo e dall’acqua salata, aggiunge una dimensione ulteriore alla bellezza melanconica della statua, suggerendo un dialogo ininterrotto tra l’opera e gli elementi naturali che l’hanno custodita per secoli.
La genesi storica di questo capolavoro si colloca in un’epoca di grandi fermenti culturali e artistici, quando l’arte ellenistica, spinta dai contatti con altre civiltà del Mediterraneo, si avventurava nei territori inesplorati della rappresentazione umana. I satiri simbolizzavano l’energia primordiale della natura e l’abbandono ai piaceri sensoriali, in contrasto con l’ordine razionale della civiltà. Il loro ruolo nei rituali dionisiaci, che celebravano il dio del vino e dell’ebbrezza, rifletteva una dimensione filosofico-religiosa di trasgressione e liberazione, un ritorno alle radici istintuali dell’essere umano.

 

Satiro danzante (IV-II sec. a.C.), Mazara del Vallo, Museo del Satiro danzante

 

Il Satiro danzante è un’opera intrisa di significati che si intrecciano tra il mondo mitologico, religioso e filosofico dell’antica Grecia. Approfondire questi significati ci permette di comprendere meglio l’essenza di questa scultura e il suo valore simbolico.
Il satiro è una figura mitologica greca, una creatura metà uomo e metà capro, associata al culto di Dioniso. I satiri esprimono gli aspetti più selvaggi e incontrollati della natura umana, incarnando il desiderio, l’ubriachezza e la libertà dalle convenzioni sociali. La danza frenetica del Satiro danzante evoca il thiasos, il corteo dionisiaco, in cui i seguaci del dio, in preda all’estasi, celebravano con danze, canti e riti orgiastici. Questa rappresentazione mitologica sottolinea l’importanza del caos e della spontaneità come elementi essenziali della vita.
Dal punto di vista religioso, il Satiro danzante è un simbolo della connessione tra l’uomo e il divino. Le danze dionisiache erano viste come un mezzo per trascendere la realtà quotidiana e avvicinarsi al mondo degli dèi. Dioniso rappresentava una via di fuga dalle restrizioni della società e della razionalità. I riti a lui dedicati erano momenti di rottura delle norme, dove gli individui potevano sperimentare una fusione con la natura e con il divino. La figura del satiro, in questo contesto, diventa un intermediario tra l’umano e il sacro, una testimonianza vivente della potenza trasformatrice del dio.
Filosoficamente, il Satiro danzante raffigura il dualismo intrinseco dell’esistenza umana. La Grecia ellenistica, con il suo crescente interesse per l’individualità e l’esperienza soggettiva, rifletteva spesso nelle sue opere d’arte la tensione tra opposti. Il satiro, con la sua duplice natura, simboleggia la lotta continua tra ragione e istinto, tra ordine e disordine, tra civiltà e natura. Questa scultura ricorda che l’essere umano è un’entità complessa, che cerca costantemente di bilanciare queste forze contrastanti. La danza del satiro, quindi, non è solo espressione di gioia sfrenata, ma anche meditazione sulla condizione umana e sulla ricerca di armonia tra i diversi aspetti del sé.
Infine, il Satiro danzante può essere inteso come simbolo esistenziale, che parla della fragilità e della bellezza della vita umana. La sua postura dinamica e il suo movimento fissato nel bronzo suggeriscono un momento di intensa vitalità, ma anche di transitorietà. Come la danza, la vita è effimera, un flusso continuo di esperienze che si susseguono e si dissolvono. Il Satiro danzante invita a riflettere sull’esistenza umana, sulla necessità di abbracciare ogni momento con pienezza, pur nella consapevolezza della sua inevitabile fine. Racchiudendo in sé una molteplicità di significati, che vanno oltre la sua mera apparenza, offre un’immagine potente e malinconica della condizione umana, dell’eterna ricerca di senso e dell’incessante danza della vita.

 

 

 

Il Trattato sulla Tolleranza di Voltaire

La ragione contro la violenza

 

 

 

Il Trattato sulla tolleranza di Voltaire, composto nel 1763, costituisce certamente uno dei testi più emblematici e incisivi del pensiero illuminista e si presenta quale appello appassionato alla tolleranza religiosa. La sua stesura è strettamente legata al caso Calas e ad altri casi simili, che suscitarono grandi dibattiti in tutta Europa. Voltaire, profondamente colpito dall’ingiustizia subita da Calas e dalla sua famiglia, utilizzò questo episodio per criticare l’intolleranza religiosa e la barbarie delle leggi che permettevano tale ingiustizia. L’opera, quindi, non solo ha contribuito a scuotere l’opinione pubblica dell’epoca, ma ha anche avuto un impatto significativo nel processo di riabilitazione postuma di Calas e degli altri, mostrando il potere della letteratura come strumento di critica sociale e di cambiamento.
Jean Calas, un mercante di stoffe protestante di Tolosa, fu accusato ingiustamente di aver ucciso suo figlio Marc-Antoine, nel 1761. Si sospettava che il motivo dell’omicidio fosse impedire al giovane di convertirsi al cattolicesimo, dato che la famiglia Calas era di fede ugonotta, in un’epoca e in una regione dominate dalla Chiesa cattolica. Nonostante la mancanza di prove, Calas fu torturato, giudicato e, infine, giustiziato, nel 1762. Voltaire, indignato, divenne attivamente coinvolto nel caso, scrivendo e facendo pressioni per la sua revisione, che culminò nella riabilitazione postuma di Calas, nel 1765. Simile al caso Calas, quello della famiglia Sirven. Pierre-Paul Sirven e sua moglie furono accusati dell’omicidio della loro figlia maggiore, che si era suicidata dopo essere stata forzatamente internata in un convento per convertirsi al cattolicesimo. La famiglia Sirven fu costretta a fuggire in Svizzera per evitare la stessa sorte di Calas. Anche in questo caso, Voltaire intervenne, aiutando i coniugi a ottenere un nuovo processo, che alla fine portò alla loro assoluzione, nel 1771. Il caso di La Barre, invece, rappresenta uno degli episodi più tragici di intolleranza religiosa nell’era pre-rivoluzionaria francese. François-Jean Lefebvre de La Barre, un giovane aristocratico, fu accusato di blasfemia e di irriverenza verso la religione cattolica, per non essersi tolto il cappello, non mostrando così rispetto, durante una processione religiosa, e per possedere un libro considerato sacrilego, il Dizionario Filosofico, proprio di Voltaire. Nel 1766, La Barre fu condannato a morte: torturato, decapitato e il suo corpo bruciato insieme al libro di Voltaire.

Questi casi, trattati da Voltaire in questa sua opera, non sono solo esempi storici di ingiustizia; sono anche potenti richiami all’importanza della tolleranza religiosa e della libertà personale. Voltaire adopera queste storie tragiche per criticare la collaborazione tra potere giudiziario e autorità religiose nel vessare le minoranze e imporre una conformità ideologica.
Il filosofo mostra come le dispute teologiche abbiano spesso fornito un pretesto per la violenza e l’oppressione. Difende l’idea che la tolleranza religiosa non solo sia una necessità etica e morale, ma anche una condizione essenziale per la pace e il progresso civile. La sua critica non risparmia nessuna confessione religiosa; invita tutti i credenti a riflettere sulla vera essenza dei loro insegnamenti spirituali, che secondo lui dovrebbero guidare verso la pace e la comprensione reciproca piuttosto che verso il conflitto.
Filosoficamente, il trattato contiene un’esposizione lucida dei principi dell’Illuminismo, come l’uso della ragione, l’importanza dell’individuo e il diritto alla libertà di pensiero e di espressione. Voltaire argomenta che la tolleranza sia una virtù tanto razionale quanto necessaria, sostenendo che nessun essere umano possegga la completa verità e che l’errore non debba essere perseguito con la forza, ma corretto con la ragione. Questo approccio non solo critica le istituzioni religiose dell’epoca, ma sfida anche le fondamenta stesse del potere politico, che si legittima attraverso l’assolutismo religioso.
Il Trattato sulla tolleranza, pertanto, resta un’opera profondamente significativa, che continua a essere rilevante. Il suo appello alla tolleranza fornisce lo spunto continuo di riflessione sulle questioni di libertà religiosa, convivenza civile e diritti umani. La lettura di questo testo rivela sì, gli orrori del passato, ma offre anche lezioni preziose per il presente e il futuro, nella lotta contro l’intolleranza e per la promozione della pace e della comprensione tra diverse culture e credenze.

 

 

 

 

Laurence Olivier (1907 – 22 maggio – 2024)

Un nome che evoca un uomo e un’era di grandezza artistica

 

 

 

Laurence Olivier, attore il cui nome rimarrà per sempre scolpito nel pantheon del teatro e del cinema, non è stato solo un interprete, ma un maestro della recitazione, capace di incarnare, con straordinaria profondità, personaggi diversi e complessi. La sua carriera, costellata di successi e riconoscimenti, costituisce un capitolo fondamentale nella storia delle arti performative.
Laurence Kerr Olivier nacque nel 1907 a Dorking, nel Surrey, e fin dai suoi primi passi nel mondo del teatro dimostrò un talento che lo avrebbe presto reso una figura di riferimento. La sua formazione presso il Central School of Speech and Drama di Londra affinò le sue innate capacità, permettendogli di emergere rapidamente sulle scene teatrali britanniche.
Olivier è forse meglio conosciuto per le sue interpretazioni shakespeariane, che rimangono pietre miliari nella storia del teatro. “Amleto”, “Otello”, “Riccardo III”: ruoli iconici che egli rese propri, infondendo a ognuno di essi una vita unica e inimitabile. La sua versione di Amleto, sia sul palco che nel film del 1948, rimane un esempio insuperato di come il teatro possa essere trasformato in cinema senza perdere la sua essenza drammatica.


Nel cinema, Olivier non fu meno straordinario. Interpretazioni come quella in “Wuthering Heights” (1939), dove vestì i panni del tormentato Heathcliff, dimostrano la sua capacità di trasmettere emozioni intense e complesse. In “Rebecca” di Alfred Hitchcock, la sua performance nei panni di Maxim de Winter aggiunse una dimensione di profondità psicologica che arricchì notevolmente la narrazione.
La recitazione di Laurence Olivier era caratterizzata da una precisione tecnica impeccabile e una profonda comprensione emotiva dei personaggi. La sua abilità nel passare da ruoli drammatici a quelli tragici, mantenendo sempre un livello elevatissimo di performance, lo distingue come uno degli attori più versatili non solo del suo tempo ma dell’intera storia del cinema.
Laurence Olivier ci ha lasciati nel 1989, ma la sua eredità vive ancora. I suoi contributi al teatro e al cinema continuano a ispirare generazioni di attori e spettatori. Guardando indietro alla sua carriera, non posso fare a meno di sentirmi colmo di ammirazione e nostalgia. Olivier non era solo un attore; era un’istituzione, un simbolo di eccellenza artistica che ha elevato gli standard della recitazione a livelli ineguagliabili.
Concludendo questo ricordo risuona un senso di perdita per un’epoca in cui la maestria attoriale di Laurence Olivier incantava il mondo. Ma rimane con noi, nel silenzio delle sale teatrali e nelle immagini dei vecchi film, un ricordo vivido e indelebile di ciò che il teatro e il cinema possono raggiungere quando un genio come Olivier li abita.

 

 

 

State, sovereignty, law and economics
in the era of globalization

 

 

 

Taken from my lectures as a Teaching Fellow in International Law, these reflections highlight how State sovereignty and International Law are profoundly influenced by globalization, economic integration and digital technologies, raising fundamental questions about global governance, State autonomy and the adaptation of legal structures to new economic and technological realities.

 

Part VIII

To conclude

 

Globalization and technological advancement have stripped States of significant portions of sovereignty, undermining their ability to independently exercise legislative power, a fundamental aspect in tax regulation. Cyberspace eradicates physical barriers, making borders permeable and creating spaces unregulated by any State authority, floating between the territorial realities defined by countries. This gives rise to de-territorialised digital environments, characterized by a widespread lack of physical tax identity and the virtualization of tax bases, escaping traditional tax logic. In this context, profits generated beyond national borders become nearly unreachable for State taxes. Thus, the internet is configured as a lawless territory, where State sovereignty seems to lose its grip, leaving room for a new order to be built. While the State attempts to maintain control over the remnants of sovereignty eroded by the digital, projecting them onto static taxpayers, mobile incomes, and capitals benefit from the elimination of geographical distances thanks to technology, moving silently and without leaving tangible traces.
The advent of the internet has posed new challenges to State taxation, pushing towards an adaptation of sovereignty principles to the dynamics of e-commerce. Internationally, efforts have been made to create a uniform legal framework that balances the fiscal needs of States with the development of digital commerce, through international cooperation and the renegotiation of traditional tax principles.
The issue of regulating the web legally calls for a radical change in perspective, rising above the earthly and traditional conceptions of law and its violation. Globalization challenges the linearity of legal thought, inviting a vertical reflection that can accommodate the complexities of the digital world. In this scenario, the law takes on a new dimension, seeking to give shape and limits to transgression, distinguishing itself from a purely moral approach and trying to establish a balance between the fluidity of digital relations and the need for a legal order that can regulate them effectively.