Archivio mensile:Maggio 2024

State, sovereignty, law and economics
in the era of globalization

 

 

 

Taken from my lectures as a Teaching Fellow in International Law, these reflections highlight how State sovereignty and International Law are profoundly influenced by globalization, economic integration and digital technologies, raising fundamental questions about global governance, State autonomy and the adaptation of legal structures to new economic and technological realities.

 

Part VI

On Hegel again

 

The market narrative transforms into a tale of synchronism, capturing the temporal reality of individuals and propelling them into an electronic and offshore dimension where spatial and State boundaries dissolve. This process occurs in a context where anchorage becomes purely formal on a legal level and deeply meaningful economically. At the heart of market dynamics lies its very essence, outlined by a sphere where competition and the repetition of competitive challenges find their place. However, the existence of the market presupposes a legal and institutional framework, manifested through a set of laws, regulations, principles, and practices, thus inviting the State to participate, in a relationship where the market law becomes a matter for the State, sometimes in competition with other State entities.
In the global context, the uninterrupted presence of financial technology dominates, opening doors to new possibilities. The modern lex mercatorum operates in a globally undifferentiated and spatially de-qualified market, but still characterized by the political division into different States, aiming to overcome legal discontinuities and regulate uniformly the spatial deformity of territories, reconciling the needs of the stateless mercantile society with those of national States.
This situation introduces a dilemma between universality and multiplicity, renewing the concept of nomos, which no longer identifies with the unification of law and territory, but reflects the interdependence and independence of actors from the State, highlighting a permanent friction between States and markets. Consequently, the law finds itself weakened between the limited territoriality of norms and the universality of economic relations, challenging the old narratives of State.
This new dynamic sets Earth and Sea as symbols of the different potentialities of existence and contrasting scenarios of human history, where the Earth is seen as the mother of law and the Sea as a domain free from juridical and spatial boundaries, symbolizing infinite freedom.
Finally, the ancient act of land occupation, nomos, clashes with the universalism of economic exchanges, leading to the necessity of a new legal category that can rationalize the chaotic space of globalization. This need leads to the conception of a law that transcends terrestrial constraints, offering new perspectives to regulate the vast and indeterminate space of major economic exchanges, with technology emerging as a regulating principle. In this scenario, the law adapts to regulate the digital and transnational economy, challenging the traditional opposition between territorial law and global economy.
The rhetorical figure of the owl associated with Minerva is often invoked to attribute to Hegel and his philosophical thought a belated, almost posthumous role: that of intervening in reality only to confirm and ratify events that have already occurred. In this interpretation, Hegel’s philosophy would be reduced to an ideology that retroactively legitimizes what has already happened, thus representing a historical narrative written by the victors, emerging at twilight similarly to the appearance of an owl.
However, Hegel’s assertion that “what is real is rational, and what is rational is real” invites us to view the present through a conceptual lens, allowing the intellect to become an active agent in shaping reality. Consequently, the symbolism of the owl should not be interpreted as mere legitimization of the existing state of affairs, but rather as a call for thought to embark on a gradual and profound process of understanding, in order to mould the future. The task of conceptual elaboration thus proves essential for mediating and resolving conflicts, organizing them into a dynamic unity that, despite its cohesion, does not erase the distinctive peculiarities of each position.
Hegel thus emerges as the architect of thoughtful mediation, strongly opposing any attempt at immediate or superficial solutions. He criticizes the pursuit of intuitive and spontaneous genius, as well as rejects any form of mystical ecstasy or charisma, abhorring the presumption of those who claim to be direct spokespersons of divinity or interpreters of the absolute through altered states of consciousness. Dialectics, for Hegel, is precisely that method of thought capable of organizing and synthesizing conflict through careful and gradual elaboration, merging universality with the vital needs of every single component.

 

 

 

 

 

Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza
tra gli uomini

di Jean-Jacques Rousseau

Un terreno recintato e la società civile

 

 

 

 

Jean-Jacques Rousseau, nel suo Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini, pubblicato nel 1755, esamina le radici profonde e le conseguenze della diseguaglianza umana, presentando una critica serrata alle società moderne, basate sulle istituzioni e sulla proprietà privata. Quest’opera si distingue quale uno dei testi fondamentali nella storia della filosofia politica e sociale, proponendo una riflessione profonda che interpella ancora oggi il lettore su temi di bruciante attualità.
Il Discorso è stato scritto in un’epoca di grande fermento intellettuale, il cosiddetto “secolo dei Lumi”, durante il quale in Europa si principiò a mettere in discussione le strutture tradizionali del sapere e del potere. Rousseau si inserisce in questo dibattito con una posizione originale e spesso in contrasto con altri pensatori illuministi, come Voltaire e Diderot, critici nei suoi confronti. Il suo pensiero si fa portavoce di un ritorno alla natura e alla semplicità originaria dell’uomo, concetti che prefigurano i temi romantici e rivoluzionari successivi.
Il trattato è diviso in due parti principali. Nella prima, è descritto lo stato di natura dell’uomo, un periodo ideale in cui gli individui vivevano isolati, pacifici e in armonia con la natura, liberi da bisogni artificiali e dalla corruzione morale. Questa condizione utopica è segnata da una perfetta eguaglianza tra gli uomini, in netto contrasto con lo stato attuale. Nella seconda parte, è analizzato come l’umanità sia passata da questo stato di natura a quello di società civile. “Il primo uomo che, avendo recinto un terreno, ebbe l’idea di proclamare questo è mio, e trovò altri così ingenui da credergli, costui è stato il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quante guerre, quanti assassinii, quante miserie, quanti orrori avrebbe risparmiato al genere umano colui che, strappando i pali o colmando il fosso, avesse gridato ai suoi simili: «Guardatevi dall’ascoltare questo impostore; se dimenticherete che i frutti sono di tutti e che la terra non è di nessuno, sarete perduti!»”, scrive Rousseau, ponendo l’accento sul ruolo della proprietà privata come origine principale delle diseguaglianze: con l’accumulo e la delimitazione della proprietà, si sviluppano invidia, competizione e, di conseguenza, il governo e le leggi come mezzi di protezione delle ricchezze acquisite. Questa transizione segna per Rousseau la perdita dell’originaria libertà e uguaglianza, dando vita a un’infelicità diffusa e a conflitti continui.
Uno dei pilastri filosofici del Discorso è proprio la riflessione su come la proprietà privata sia la radice delle diseguaglianze. Rousseau sostiene che, con la sua introduzione, gli esseri umani siano diventati competitivi, gelosi e aggressivi. Questa idea ha influenzato le successive teorie filosofiche e politiche, ponendo le basi per le discussioni moderne sul capitalismo e sul comunismo.


Rousseau, poi, esamina la relazione tra libertà individuale e accettazione del potere politico, interrogandosi sulla legittimità delle istituzioni che privano l’individuo della libertà a favore dell’ordine sociale. Questo dibattito, tra l’altro, è fondamentale nella storia della filosofia politica e continua a influenzare il pensiero liberale e democratico.
Il filosofo ginevrino è chiaro nel distinguere le diseguaglianze naturali (di forza o intelligenza) da quelle sociali, che derivano da convenzioni umane, come la legge e la proprietà. La sua opera spinge anche a riflettere su come le strutture sociali modellino e, talvolta, distorcano le relazioni umane.
Sebbene Rousseau sia stato un filosofo dell’Illuminismo, molte sue idee conducono una critica radicale del concetto di progresso tecnologico e culturale che altri suoi contemporanei celebravano. Infatti, vede proprio nel progresso la causa di nuove diseguaglianze e dipendenze, una visione che prefigura le moderne critiche al neoliberismo e alla globalizzazione. La sua visione di un’armonia perduta tra l’uomo e la natura è diventata un riferimento per i movimenti ecologisti, mentre la sua critica delle diseguaglianze alimenta il dibattito sulla redistribuzione delle risorse e sulla giustizia economica.
L’analisi di Rousseau, quindi, invita a una riflessione critica sulle basi stesse delle nostre società moderne. Egli suggerisce che le diseguaglianze non siano un inevitabile prodotto naturale ma il risultato di scelte politiche e sociali, spesso radicate in istituzioni ingiuste. La sua critica alla proprietà privata e il suo ideale di un ritorno a uno stato più naturale e egualitario continuano a influenzare le discussioni contemporanee su giustizia sociale, diritti umani e ambientalismo.
Nel Discorso, Rousseau non solo traccia un ritratto critico dell’evoluzione sociale dell’umanità ma pone anche le fondamenta per una filosofia della libertà e dell’eguaglianza. Le sue considerazioni filosofiche e sociali continuano a essere di straordinaria attualità, sfidando le nostre concezioni di giustizia, potere e umanità. La sua opera, quindi, rimane una lettura essenziale per chiunque sia interessato a comprendere le radici filosofiche delle diseguaglianze sociali ed economiche.
La capacità di Rousseau di connettere la filosofia con le questioni sociali concrete rende il suo lavoro immortale, provocatorio e profondamente umano, offrendo spunti di riflessione validi ancora oggi, in un’epoca in cui le diseguaglianze continuano a essere al centro del dibattito politico e sociale globale.

 

 

 

Alano di Lille e il libro che pochissimi leggono

 

 

 

Che la Natura fosse un grande libro, nelle cui pagine sono scritte tutte le cose riguardanti i viventi, fu chiaro già ai primi uomini. Essi, infatti, impararono dalla Natura a conservare sé stessi e da essa trassero le condizioni migliori e più opportune per la loro sopravvivenza. Vi fu un uomo, però, che su quel libro ne scrisse un altro, intitolandolo De planctu Naturae (Il pianto della Natura). Costui si chiamava Alano ed era originario di Lille, in Francia, ove nacque intorno al 1125. qFu così colto che i contemporanei lo chiamarono doctor universalis perché, quando lo ascoltavano, sembrava loro di sfogliare il romanzo con cui era stato costruito l’Universo mondo. L’opera di Alano, ad ogni modo, non è di piacevolissima lettura, specialmente per il lettore contemporaneo, perché risente del pessimismo schiettamente medievale nei confronti della condizione umana (mi sovvengono anche il De contemptu mundi, Il disprezzo del mondo, di Lotario di Segni, il futuro papa Innocenzo III, e la Elegia de diversitate fortunae, Elegia sull’avversità della fortuna, di Arrigo da Settimello, che pure si muovono in quel senso). Ciononostante, bisogna essere a lui grati per alcuni versi riportativi: “Omnis mundi creatura/ quasi liber et pictura/ nobis est in speculum/ nostrae vitae, nostrae mortis/ nostri status, nostrae sortis/ fidele signaculum” (Ogni creatura dell’universo, quasi fosse un libro o un dipinto, è per noi come uno specchio della nostra vita, della nostra morte, della nostra condizione, segno fedele della nostra sorte). qTroppo spesso si confonde il sapere soltanto con quanto è scritto nei libri e ci si affanna ad apprendere quante più notizie possibili, quasi come se la conoscenza dipendesse esclusivamente dal numero delle date dei maggiori eventi storici che si riuscisse a mandare a memoria o da quanti nomi di personaggi famosi si conoscano. Il primo modo di apprendere il sapere è leggere il libro della Natura o, sarebbe meglio dirla con Alano, il libro delle creature della Natura. A ciò fa eco un altro pensatore, l’inglese Thomas Hobbes, il quale affermò, circa cinquecento anni dopo, nella prefazione del suo Leviatano, che la sapienza non si acquistasse leggendo i libri, ma leggendo gli uomini. Il problema cruciale per il genere umano, purtroppo, consiste nel fatto che molti non passino neppure un’ora né in biblioteca, né in campagna.

 

Pubblicato l’8 settembre 2011 su www.caravella.eu

 

 

 

La filosofia inglese e le sue leggi “concrete”

 

Perché gli inglesi hanno dominato il mondo per almeno quattro secoli

 

di

Riccardo Piroddi

 

 

Gli inglesi, per quel che concerne la storia del pensiero, si sono distinti dagli altri popoli europei, antichi e moderni, a causa di quella impronta, ad essi del tutto peculiare, tendenzialmente antimetafisica ed essenzialmente pragmatica. A scorrere rapidamente quella storia, infatti, ciò può essere facilmente notato: quando il Medioevo volgeva ormai al termine, mentre nelle scuole del resto d’Europa i dotti erano ancora impelagati nelle dispute scolastiche sulle prove dell’esistenza di Dio, sugli universali, sulla Trinità e sui quodlibeta, Roger Bacon, filosofo, scienziato e mago, il doctor mirabilis (dottore dei miracoli), fondava la gnoseologia empirica, secondo la quale l’esperienza sia il vero e unico mezzo per acquisire conoscenza del mondo. Tre erano, secondo il filosofo, i modi con cui l’uomo potesse comprendere la verità: con la conoscenza interna, data da Dio tramite l’illuminazione; con la ragione, la quale, però, non è bastevole, e, infine, con l’esperienza sensibile, ovvero tramite i cinque sensi, il non plus ultra di cui esso possa disporre e che gli consente di avvicinarsi alla reale conoscenza delle cose. Il frate francescano William of Ockham, il doctor invincibilis (dottore invincibile), con il suo famosissimo rasoio, semplificò al massimo la spiegazione dei fenomeni, mostrando l’inutilità di moltiplicare le cause e di introdurre enti al di là della fisica: “Frustra fit per plura, quod fieri potest per pauciora” (è inutile fare con più, ciò che si può fare con meno). Francis Bacon, il filosofo dell’adagio “Sapere è potere”, padre della rivoluzione scientifica e del metodo scientifico nell’osservazione e nello studio dei fenomeni attraverso l’induzione, meglio definita e rinnovata rispetto a quella aristotelica, fu avversatore dei pregiudizi, da lui chiamati idola (idoli o immagini), che impedivano la reale conoscenza e intelligenza della natura, e fu ispiratore di un’altra grande mente inglese, Isaac Newton, lo scienziato-osservatore empirico per eccellenza. Thomas Hobbes diede spiegazione a tutti gli aspetti della realtà col suo materialismo meccanicistico, annullando la res cogitans (sostanza pensante) di Cartesio e il suo ambiguo rapporto con la res extensa (sostanza materiale), retroterra sul quale basò la sua concezione della natura umana, della condizione di guerra di tutti contro tutti (l’homo homini lupus), del patto di unione e del patto di società, dai quali sarebbero poi nati, rispettivamente, la civiltà e, attraverso la rinuncia da parte di ogni uomo al suo diritto su tutto e la cessione di questo al sovrano, lo Stato, il Leviathan (Leviatano). John Locke, l’empirista, l’autore di An essay concerning human under standing (Saggio sull’intelletto umano), sosteneva che tutta la conoscenza umana derivasse dai sensi. Indagò le idee e i processi conoscitivi della mente, criticando l’innatismo cartesiano e leibniziano e, tra l’altro, fu strenuo propugnatore del liberalismo politico e della tolleranza religiosa. David Hume, l’estremo dell’empirismo inglese, asseriva, come Locke, che la conoscenza non fosse innata, ma scaturisse dall’esperienza. Egli negò sia la sostanza materiale che quella spirituale, tutto riducendo a sensazione e stato di coscienza. Demolì il concetto di causa, ritenendolo mero costume della mente, suscitato dall’abitudine, e postulò, quali conoscenze universali e necessarie, soltanto quelle della geometria, dell’algebra e dell’aritmetica. Adam Smith, filosofo ed economista, teorizzò l’idea che la concorrenza tra vari produttori e consumatori avrebbe generato la migliore distribuzione possibile di beni e servizi, poiché avrebbe incoraggiato gli individui a specializzarsi e migliorare il loro capitale, in modo da produrre più valore con lo stesso lavoro. E, infine, l’Utilitarismo di Jeremy Bentham e John Stuart Mill prima, con tutte le implicazioni morali (o moralmente inglesi), legate ai concetti di “utile” e di “felicità“, e quello di Henry Sidgwick, poi, col suo edonismo etico, mediante il quale aggiunse importanti precisazioni ai concetti dell’utilitarismo classico. Queste riflessioni filosofiche hanno certo corrispettivo pratico allorquando si osservano attentamente tutte le sfaccettature dell’English way of life e dei princìpi che, ancora oggi, lo animano. Il motivo per cui gli inglesi, fino a circa settant’anni fa, hanno realmente dominato il mondo (basti pensare al British Empire e al Commonwealth), ha le proprie basi nel pragmatismo che, dal 1200 in poi, ha caratterizzato le sue classi intellettuali e, di riflesso, quelle deputate all’azione. Un popolo non condizionato dalla religione, come lo sono stati, dal Medioevo alle soglie dell’età contemporanea, la maggior parte dei Paesi cattolici europei, libero di sottomettere altre genti, che non ha combattuto in nome di Dio ma degli uomini, era destinato ad avere il ruolo che ha avuto e che ancora ha. Del resto, negli stessi anni in cui un bardo venuto dalle Midlands incantava gli spettatori del Globe Theatre a Londra, mettendo in scena l’amore tra Romeo e Giulietta, la filosofia dell’essere e del non essere e la gelosia di Otello, la regina Elisabetta I nominava baronetto il più astuto e lesto pirata della storia: sir Francis Drake!

 

Sir Francis Bacon (1561-1626)

 

Pubblicato l’1 aprile 2017 su La Lumaca

 

Le Meditazioni Metafisiche di Cartesio

La luce della vera conoscenza

 

 

 

In un’epoca ancora dominata dalle ombre lunghe della scolastica medievale ma che presto sarebbero state spazzate via dal nascente uso della ragione, Cartesio (René Descartes), nelle Meditazioni Metafisiche, pubblicate in latino, col titolo Meditationes de prima philosophia, nel 1641, si inerpica in un cammino solitario e intimo nei meandri della mente umana e della stessa esistenza. Quest’opera non è solamente un testo filosofico, ma rappresenta un vero e proprio poema in prosa sulla ricerca dell’indubbia verità.
Descartes intraprende il suo percorso con il dubbio metodico, quella “notte oscura dell’anima” in cui tutte le certezze precedentemente accolte vengono messe in discussione, invitando il lettore a spogliarsi di ogni preconcetto per farsi accompagnare in una catabasi nelle profondità della propria coscienza. È un inizio che assomiglia più a un rito di purificazione che a un’esercitazione logica.
 
Prima Meditazione: Delle cose che si possono mettere in dubbio
Descartes principia con il processo del dubbio metodico, sfidando la validità delle proprie percezioni e delle conoscenze acquisite. Egli dubita di tutto ciò che è appreso tramite i sensi, poiché questi possono essere ingannevoli, e persino delle verità matematiche, considerando l’ipotesi di un “genio maligno” che potrebbe ingannarlo sistematicamente. Questa meditazione pone le fondamenta del suo inquisitorio filosofico, demolendo tutte le certezze per ricostruirle su basi più solide.
 
Seconda Meditazione: Della natura dello spirito umano; e che esso è più facile a conoscere del corpo
Dopo aver demolito tutte le sue credenze, Cartesio trova una certezza irrefutabile: il fatto stesso di dubitare dimostra la sua esistenza come entità pensante. Emerge il famoso Cogito, ergo sum (Penso, dunque sono), prima verità incontrovertibile dell’edificio cartesiano. Questa affermazione si erge come un faro di verità in mezzo alle tempeste del dubbio, un punto fermo da cui prendere le misure dell’esistenza. È un momento di rivelazione quasi mistica, dove il soggetto scopre la propria inalienabile essenza come essere pensante, indipendente dalle ingannevoli percezioni sensoriali e dalle opinioni altrui. In questa meditazione, l’Autore esplora la natura dell’io o res cogitans e stabilisce che le idee chiare e distinte siano quelle su cui si possa basare la conoscenza certa.
 
Terza Meditazione: Di Dio; che Egli esiste
L’argomentazione sulla prova dell’esistenza di Dio è intricata come un arazzo normanno, tessuto di logica e di intuizioni filosofiche. Nonostante le possibili controversie interpretative, la visione cartesiana di un Dio perfetto, causa prima di tutto, serve a stabilire un ordine cosmico dal quale nulla può prescindere. Descartes introduce l’argomento dell’esistenza di Dio partendo dal principio che debba esistere una causa per la sua idea di sostanza perfetta e infinita. Utilizzando l’argomentazione ontologica e quella dalla causalità, propone che solo un essere perfetto e supremo, come Dio, può essere la fonte dell’idea di perfezione assoluta che è presente nella mente umana, confermando, così, non solo l’esistenza di Dio, ma anche che Dio non può essere ingannatore.
 
Quarta Meditazione: Della verità e dell’errore
Questa meditazione si concentra sulla natura dell’errore, che Descartes attribuisce alla volontà umana quando opera senza il pieno supporto dell’intelletto. Qui, il filosofo affronta il problema di come possa esistere l’errore se un Dio perfetto ha creato un mondo che riflette la sua perfezione. La soluzione risiede nella libertà di arbitrio: l’errore emerge quando l’uomo estende il proprio libero arbitrio oltre ciò che la sua capacità intellettuale può supportare.


Quinta Meditazione: Delle cose materiali e dell’esistenza reale del mondo esterno e di Dio, riprovata
L’Autore ritorna alla prova dell’esistenza di Dio e presenta l’argomentazione ontologica più formalmente. Inoltre, inizia a trattare il problema dell’esistenza del mondo materiale, sostenendo che la chiarezza e distinzione delle percezioni sensoriali siano garanzia della loro veridicità, sotto la premessa dell’esistenza di un Dio non ingannatore.
 
Sesta Meditazione: Del concorso delle cose materiali
L’ultima meditazione completa l’opera con la discussione sull’esistenza del mondo materiale, considerando anche la materia e il suo rapporto con la mente. Qui, Cartesio stabilisce le basi del “dualismo cartesiano”, distinzione radicale tra res cogitans (la mente) e res extensa (la materia), due realtà ontologicamente diverse ma interconnesse, destinazione finale di questo pellegrinaggio filosofico. Introduce il concetto di esprits animaux (spiriti animali) e spiega come corpo e mente, sebbene completamente separati in natura, interagiscano e causino movimenti fisici e sensazioni. Conclude, quindi, che esiste un mondo esterno, i cui corpi hanno proprietà che corrispondono alle percezioni delle menti.
 
Le Meditazioni Metafisiche non sono solo un’indagine sulle fondamenta della conoscenza e dell’esistenza, ma sono anche un’opera d’arte che sfida il tempo. Descartes scrive con una prosa che è tanto rigorosa quanto evocativa, capace di trasportare il lettore in un’epoca di rivoluzioni intellettuali. Attraverso il suo stile, il filosofo non si limita a presentare argomenti, ma invita a un’esperienza, a un’esplorazione personale che va oltre il mero intelletto. Le Meditazioni rimangono una guida per chi cerca nella filosofia non solo risposte, ma anche domande più profonde, un invito a navigare nel mare aperto del pensiero, sotto il cielo stellato delle grandi questioni esistenziali. Un classico senza tempo, che continua a interrogare e ispirare, ponte tra il mondo antico e il moderno, tra la poesia dell’esistenza e la scienza.

 

 

 

Essere e Tempo di Martin Heidegger

Essere, esser-ci

 

 

 

Essere e Tempo di Martin Heidegger, pubblicato per la prima volta nel 1927, è uno dei testi fondamentali della filosofia contemporanea e costituisce un’opera cruciale nel pensiero del XX secolo. La complessità e la profondità delle tematiche affrontate lo rendono sfidante ma incredibilmente ricco.
Il nucleo centrale dell’opera è una profonda indagine sull’essere. Heidegger si propone di rivisitare e rifondare la metafisica attraverso una domanda che appare decettivamente semplice: “Che cos’è l’essere?” Questo interrogativo, nonostante la sua apparente immediatezza, si rivela di grande complessità e portata, poiché invita a un esame minuzioso e radicale dell’ontologia, la branca della filosofia che studia l’essenza delle cose.
Nel suo argomentare, l’Autore critica apertamente la tradizione filosofica occidentale, accusandola di avere spesso trascurato o assunto come scontata questa fondamentale questione. Secondo Heidegger, gran parte del pensiero precedente ha fallito nel dare una risposta adeguata a cosa effettivamente sia l’essere, limitandosi a trattare temi più superficiali o derivativi. Egli sostiene che un’autentica comprensione dell’essere sia vitale e necessaria per la filosofia, poiché solo partendo da una corretta interpretazione dell’essere si possono comprendere tutte le altre questioni ontologiche ed esistenziali.
Nel contesto della sua indagine filosofica, Heidegger introduce un concetto chiave, quello di Dasein. Questa parola tedesca, traducibile come “esserci” o “presenza”, è usata specificatamente per descrivere l’essere umano, ponendo l’accento sulla modalità particolare e concreta con cui gli esseri umani manifestano la loro esistenza nel mondo. L’uso di questo termine non è casuale, ma riflette l’intenzione del filosofo di sottolineare una distinzione fondamentale tra l’esistenza umana e quella degli altri enti.
Il Dasein è caratterizzato principalmente dal suo “essere-nel-mondo”, espressione che indica non solo come l’esistenza umana sia sempre un’esistenza con altri enti all’interno di un mondo condiviso, ma anche che questa immersione nel mondo sia una caratteristica inseparabile e definitoria del modo di essere dell’essere umano. Secondo Heidegger, l’essere umano non è un soggetto isolato che si trova in un mondo esterno, ma è profondamente integrato e interagisce continuamente con l’ambiente che lo circonda.
Approfondendo il concetto di Dasein, il filosofo esplora la natura dell’esperienza umana attraverso vari aspetti della vita quotidiana e delle strutture esistenziali fondamentali, come l’ansia, il tempo, la morte. Queste riflessioni portano alla luce come l’essere umano sperimenti il mondo e si relazioni a esso in modi che sono radicalmente diversi da quelli di qualsiasi altro ente. Il Dasein è quindi visto come un ente per cui, nel proprio essere, è in gioco il proprio stesso essere; è l’unico ente per cui vale la pena porsi la domanda dell’essere.

Attraverso l’analisi del Dasein, Heidegger mira altresì a rivelare come le strutture fondamentali dell’essere umano siano configurate dalla loro specificità esistenziale e dalla loro capacità di riflettere e interrogarsi sull’essere. Ciò porta a una comprensione più profonda della condizione umana, che si distacca dall’approccio più tradizionale della metafisica, orientato piuttosto verso una descrizione oggettiva degli enti. Heidegger, con la sua focalizzazione sul Dasein, apre quindi una nuova via per comprendere non solo cosa significhi esistere come essere umano, ma anche come questo modo di essere influenzi la percezione di tutto ciò che ci circonda.
La temporalità è una componente essenziale dell’essere per Heidegger. Egli sostiene che l’essere sia intrinsecamente temporale e che il tempo non sia solo un mero sfondo neutro per gli eventi: è un elemento attivo che forma l’essere stesso. L’analisi della temporalità conduce il filosofo a esplorare la storicità del Dasein, ovvero la sua capacità di comprendere e configurare il proprio passato e futuro.
Uno degli aspetti più noti di Essere e tempo è l’analisi dell’angoscia come stato fondamentale del Dasein. L’angoscia rivela la verità sull’essere del Dasein, mostrando la sua completa solitudine e separazione dagli altri enti. Attraverso l’angoscia, il Dasein si confronta con la propria mortalità e finitudine, portando alla luce la realtà dell’essere verso la morte.
Heidegger distingue tra le modalità di esistenza autentica e inautentica del Dasein. L’inautenticità si verifica quando il Dasein vive in modo superficiale, seguendo convenzioni sociali senza riflettere sulla propria esistenza. Al contrario, l’autenticità è uno stato in cui il Dasein si assume la responsabilità del proprio essere, vivendo in modo pienamente consapevole e deliberato.
Essere e Tempo, pertanto si presenta come un’opera profondamente critica nei confronti della metafisica tradizionale. Heidegger sfida le concezioni prevalenti di verità, conoscenza e realtà, proponendo un nuovo modo di pensare che enfatizza la questione dell’essere piuttosto che la ricerca di essenze fisse o immutabili.
La sua opera più famosa non è solo un’indagine filosofica profonda sull’essere, ma anche una sfida lanciata al lettore a riflettere sulla propria esistenza in modi nuovi e sorprendenti. La ricchezza delle sue tematiche e la profondità del suo sguardo filosofico, infatti, continuano a influenzare e provocare pensatori in molteplici campi.

 

 

 

Archeologia ricoperta in via delle Botteghe Oscure, a Roma

 

 

 

Ho ritrovato queste foto nel mio pc. Le scattai, se non ricordo male, a settembre del 2012, alla cieca, intrufolando il braccio e la macchina fotografica tra le protezioni che delimitavano il cantiere. Si tratta di Via delle Botteghe Oscure, a Roma, tra Piazza Venezia e Largo di Torre Argentina. Erano in corso lavori per il prolungamento della linea tranviaria “8”, che dal vecchio terminale di Largo di Torre Argentina sarebbe dovuta giungere a Piazza Venezia. Bene, i resti della città antica sono stati, in breve tempo, ricoperti per permettere il passaggio dei binari del tram. Una testimonianza fotografica di ciò che, probabilmente, non sarà mai più visibile ad alcuno!