Archivi giornalieri: 5 Luglio 2024

1984 – 5 luglio – 2024

L’epifania parthenopea: Diego, Napoli, l’universo!

 

 

 

Il sole splendeva alto nel cielo limpido di Napoli, quel 5 luglio 1984, irradiando una luce dorata che avviluppava la città. Le strade, i vicoli e le piazze erano in fermento, animate da un’energia palpabile che si mescolava con l’odore salmastro del mare e il suono delle onde che lambivano dolcemente la costa. Quel giorno, la città partenopea stava per accogliere un nuovo re, un giovane argentino destinato a diventare leggenda: Diego Armando Maradona.
Le persone si riversarono in massa fuori dallo stadio San Paolo, i volti pieni di speranza e curiosità. Il mormorio eccitato si trasformò in un boato di gioia quando l’autobus, ornato di bandiere e striscioni azzurri, fece la sua comparsa all’orizzonte. I bambini correvano accanto ai loro genitori, gli occhi brillanti di meraviglia, mentre gli anziani, con il cuore colmo di ricordi, si stringevano le mani in segno di buon augurio.
Maradona scese dall’autobus con un sorriso timido ma deciso, il pallone stretto sotto il braccio come un amuleto prezioso. Il suo sguardo incontrò quello di migliaia di napoletani e in quell’istante, come per magia, si creò un legame indissolubile tra il campione e la città. Le sue scarpe, consumate dalle innumerevoli partite giocate su campi polverosi, toccarono il suolo del San Paolo e l’eco di quel gesto semplice risuonò nel cuore di ogni tifoso.


Nel caldo abbraccio della folla, Diego sentì il peso delle aspettative, ma anche la forza di un amore incondizionato. Napoli, con le sue contraddizioni, le sue bellezze e le sue ferite, si offriva a lui come una musa ispiratrice. La città gli prometteva gloria e lui, con la sua classe innata e la sua passione ardente, giurò di restituire il favore.
Il cielo si tinse dei colori del tramonto, sfumando in tonalità di arancio e rosa, che sembravano dipinte da un artista divino. Maradona alzò gli occhi, contemplando quel capolavoro, e sentì nel profondo del cuore che quello era solo l’inizio di un’epopea. Napoli, con il suo spirito indomito, lo aveva accolto come un figlio prediletto e lui era pronto a scrivere una nuova pagina nella storia del calcio.
Le ombre della sera cominciarono a stendere il loro manto sulla città, ma la luce che brillava negli occhi dei napoletani rimase intatta. Diego Armando Maradona era arrivato e con lui un sogno di riscatto e grandezza, che avrebbe fatto battere i cuori di milioni di napoletani. La leggenda era iniziata e Napoli, come un vecchio cantastorie, avrebbe cantato le gesta del suo eroe per generazioni a venire.

 

 

 

De Cive di Thomas Hobbes

Stato di natura, stato civile, contratto sociale, “Leviatano”

 

 

 

De Cive (Il Cittadino), pubblicato originariamente in latino, nel 1642 e, successivamente, in inglese, nel 1651, si colloca cronologicamente tra le due grandi opere di Thomas Hobbes, Leviatano (1651) e De Corpore (Il Corpo, 1655). Il contesto storico di De Cive è cruciale per comprenderne le tematiche. Hobbes scrive durante un periodo di instabilità in Inghilterra, caratterizzato dalla guerra civile (1642-1651). Il conflitto tra la monarchia di Carlo I e il Parlamento costituisce un retroscena di caos e incertezza, che influenza profondamente il pensiero di Hobbes. La sua speculazione filosofica è una risposta diretta al disordine e alla paura di anarchia che percepisce attorno a sé, cercando di trovare soluzioni teoriche per la pace e la stabilità sociale.
L’Autore sviluppa in quest’opera una visione del mondo radicalmente nuova e meccanicistica. L’uomo è visto come un corpo in movimento, guidato da appetiti e avversioni, le cui interazioni determinano la struttura della società. Nel trattare gli aspetti antropologici, Hobbes dipinge un ritratto dell’uomo mosso primariamente dall’istinto di autoconservazione. Questa concezione pessimistica dell’essere umano, essenzialmente egoista e trasportato dal desiderio di potere, è fondamentale per comprendere il suo appello a un’autorità assoluta.
Il filosofo introduce il concetto di stato di natura, in cui gli uomini sono liberi e uguali. Tale libertà, però, conduce inevitabilmente al conflitto. Da qui, l’esigenza di un potere sovrano che imponga l’ordine e garantisca la pace, attraverso il contratto sociale: gli individui cedono i loro diritti al sovrano in cambio di protezione, un’idea che avrebbe influenzato profondamente il pensiero politico successivo.
Hobbes approfondisce in modo significativo la distinzione tra lo stato di natura e lo stato civile, concetti fondamentali per la comprensione del suo pensiero politico e filosofico. Questi servono a fondare la sua rappresentazione del contratto sociale e a delineare la transizione necessaria dalla natura alla società, per garantire sicurezza e ordine civile.
Secondo Hobbes, lo stato di natura è una condizione ipotetica, in cui gli esseri umani vivono senza una struttura politico-legale superiore che regoli le loro interazioni. In De Cive, così come nel più celebre Leviatano, il filosofo descrive lo stato di natura con la famosa frase homo homini lupus (l’uomo è lupo per l’uomo). Non vi esistono leggi oltre ai desideri e alle paure individuali; è un ambiente in cui vigono il sospetto perpetuo e la paura della morte violenta. Tutti gli uomini sono uguali, nel senso che chiunque può uccidere chiunque altro, sia per proteggersi sia per prevenire potenziali danni. Di conseguenza, lo stato di natura è caratterizzato da una guerra di tutti contro tutti (bellum omnium contra omnes), la vita è “solitaria, povera, brutale, brutta e breve”, come scriverà poi in Leviatano.


La transizione dallo stato di natura allo stato civile avviene mediante il contratto sociale, un’idea che Hobbes sviluppa per spiegare come gli individui possano uscire dallo stato di natura. Sostiene, infatti, che questi, mossi dalla razionale paura della morte violenta e dal desiderio di una vita più sicura e produttiva, decidano di istituire un’autorità sovrana a cui cedere il proprio diritto naturale di governarsi autonomamente. Questo sovrano, o “Leviatano”, è autorizzato a detenere il potere assoluto per imporre l’ordine; non è parte del contratto sociale e, quindi, non è soggetto alle leggi che impone. La sua autorità deriva dalla consapevolezza collettiva che senza un tale potere la società regredirebbe allo stato di natura. Gli individui accettano di vivere sotto un’autorità assoluta per evitare il caos e la violenza che altrimenti prevarrebbero.
La contrapposizione tra stato di natura e stato civile ha profonde implicazioni filosofiche e politiche. Hobbes sfida le nozioni precedenti di società governata dalla morale o dal diritto naturale, sostituendo questo modello con la necessità di un potere sovrano e indiscutibile per mantenere l’ordine. La visione hobbesiana del contratto sociale ha influenzato profondamente la teoria politica moderna, anticipando questioni di consenso, diritti individuali e natura del potere politico. La sua analisi rimane pertinente per le discussioni contemporanee sui fondamenti della legittimità del governo e sui diritti degli individui rispetto al potere statale. La dicotomia tra stato di natura e stato civile, in definitiva, costituisce anche una riflessione profonda sulla condizione umana e sulla società.
In De Cive, Hobbes articola una visione del mondo e una filosofia politica che riflettono le sue profonde preoccupazioni riguardo alla natura umana e alla necessità di ordine. In un’epoca di grandi turbamenti propone una soluzione radicale al problema della coesistenza umana, ponendo le basi per la moderna teoria politica. L’opera, quindi, non solo riflette il tumulto del suo tempo, ma offre anche spunti di riflessione ancora attuali sulla natura del potere e sulla condizione umana.