Roberto Bellarmino nacque nel 1542 in una nobile famiglia toscana. Entrato nella Compagnia di Gesù (Gesuiti) nel 1560, proseguì la sua formazione a Roma, dove studiò teologia e si specializzò nella polemica contro le dottrine protestanti emergenti. I suoi studi lo portarono a diventare uno dei più grandi teologi del suo tempo.
Nel 1576, fu nominato professore all’Università Gregoriana, dove il suo insegnamento e le sue opere lo resero uno dei principali difensori della dottrina cattolica contro le eresie dell’epoca. Tra i suoi scritti più importanti c’è la monumentale opera Disputationes de Controversiis Christianae Fidei adversus hujus temporis hereticos (1586-1593), che divenne un punto di riferimento per la teologia cattolica post-Tridentina.
Uno degli aspetti più controversi della vita di Roberto Bellarmino fu il suo coinvolgimento nelle attività dell’Inquisizione, in particolare nei processi contro due importanti figure del pensiero scientifico e filosofico coevo: Giordano Bruno e Galileo Galilei.
Giordano Bruno era un filosofo e cosmologo noto per le sue teorie rivoluzionarie sull’infinità dell’universo e la pluralità dei mondi. Le sue idee furono considerate eretiche, poiché contraddicevano non solo la cosmologia aristotelico-tolemaica, ma anche la dottrina cattolica. Bellarmino, come membro del Santo Uffizio (l’Inquisizione), prese parte alle deliberazioni del processo, che culminò nella condanna di Bruno. Dopo anni di interrogatori e discussioni, il frate filosofo fu infine bruciato sul rogo, a Roma, nel 1600.
Sebbene Bellarmino non fosse l’unico responsabile della sentenza di morte, il suo ruolo fu significativo nel confermare l’eresia di Bruno e la necessità di salvaguardare la dottrina della Chiesa contro simili minacce intellettuali.
Il caso di Galileo Galilei fu forse ancora più complesso. Galileo sosteneva il sistema copernicano, che affermava che la Terra non fosse il centro dell’universo, ma orbitasse attorno al Sole. Questa teoria metteva in discussione la concezione tradizionale dell’universo sostenuta dalla Chiesa e dall’aristotelismo.
Nel 1616, Bellarmino fu incaricato di notificare formalmente a Galileo che le sue idee erano in contrasto con la dottrina cattolica e gli fu ordinato di abbandonare la difesa del copernicanesimo. Benché contrario all’idea di forzare Galileo ad abiurare subito, suggerì un approccio più cauto: mentre la teoria copernicana poteva essere discussa come ipotesi matematica, non doveva essere presentata come verità fisica.
Tuttavia, nel 1633, il Santo Uffizio processò nuovamente Galileo, che fu costretto all’abiura delle sue idee e condannato agli arresti domiciliari per il resto della sua vita. Anche se Bellarmino era già morto al momento del processo finale, la sua influenza e i suoi interventi nel primo processo furono decisivi per la sorte di Galileo.
Nel 1930, Bellarmino fu canonizzato da papa Pio XI e, nel 1931, fu proclamato Dottore della Chiesa. La sua figura è ricordata per la sua brillante intelligenza, la sua profonda fede e il suo impegno nella difesa della Chiesa, anche se il suo ruolo nei processi inquisitoriali rimane un tema delicato e ancora dibattuto tra gli storici.