Archivio mensile:Settembre 2024

Le tragedie di Alessandro Manzoni

 

 

 

 

Manzoni 4Alessandro Manzoni, universalmente noto per aver scritto i Promessi Sposi, è stato anche autore di tragedie, che hanno rivoluzionato la struttura classica di questo particolare genere teatrale. Il letterato milanese avrebbe fatto molto arrabbiare Aristotele, massima autorità del campo, se quest’ultimo avesse potuto leggere le sue due opere drammatiche, “Il conte di Carmagnola” (1820) e “Adelchi” (1822), perché, in esse, le unità di tempo, di luogo e d’azione, come teorizzate dal filosofo greco nella Poetica e sulle quali era strutturata la tragedia greca classica, non sono assolutamente prese in considerazione. Aristotele, infatti, sosteneva che la rappresentazione tragica dovesse svolgersi nello stesso luogo e, al massimo, in due giorni. L’esposizione degli antefatti e di altre eventuali chiarificazioni sarebbero state compito del coro che avrebbe, così, informato gli spettatori. Manzoni, in barba al Filosofo, impiega sette anni per far morire il conte di Carmagnola e tre per Adelchi; situa le azioni in campi coltivati e campi di battaglia, nel palazzo del Senato Veneto per la prima tragedia e nell’accampamento di Carlo Magno, nella reggia del re Desiderio e nel convento dove langue Ermangarda per la seconda. All’Autore, evidentemente, interessava dimostrare altro, non la sua bravura ad accordarsi ad un modello che aveva fatto scuola per più di 2000 anni, quanto dar voce a virtù, atteggiamenti e modi di fare, passioni pure e rovinose, azioni spregiudicate, drammi interiori e collettivi, da lui descritti in modo impareggiabile e profondo, spesso velando riferimenti all’Italia del suo tempo. In più, sempre contro la lezione di Aristotele, adoperò i cori per esprimere, in versi, le sue personali riflessioni e il suo punto di vista, tanto che questi potrebbero essere eliminati dal dramma, senza impedirne la comprensione dello sviluppo. Anche nelle antologie scolastiche, infatti, sono i cori, anziché le restanti parti delle tragedie, ad essere solitamente letti e studiati. Capita, non di rado, che gli studenti ne confondano i versi con poesie indipendenti, piuttosto che considerarli parti di opere composte, comunque, più per la lettura che per la rappresentazione a teatro.

Il conte di Carmagnola

Francesco Bussone è un contadino di Carmagnola che diventa soldato di ventura e mercenario al servizio del duca di Milano, Filippo Maria Visconti. Il_conte_di_Carmagnola_HayezLa sua abilità con le armi gli permette una brillante carriera, culminante con la nomina a conte e col matrimonio con la figlia del suo signore. L’invidia dei colleghi, la quale è sempre stata una malattia vecchia come il mondo, fa sì che questi riescano a convincere il duca a cacciarlo da Milano. Il conte di Carmagnola non si perde d’animo e va al servizio dei Veneziani, che stanno preparando la guerra ai milanesi. Valoroso in battaglia come al solito, sbaraglia le truppe meneghine a Maclodio ma non fa rincorrere, per fare prigionieri, i nemici che si erano ritirati e neppure avanza per sfruttare la vittoria. Tutto questo viene considerato un tradimento dal Senato Veneziano che, attiratolo con una scusa a Venezia, lo processa e condanna a morte. L’Autore intende dimostrare come un uomo dallo spirito nobile e generoso, giunto all’apice del successo personale e del potere, possa, poi, cadere in disgrazia, travolto dalla forza malvagia che governa il mondo, trovando, infine, conforto nella fede cristiana.

Adelchi

Ermengarda, moglie ripudiata da Carlo Magno, torna a Pavia dal padre Desiderio, re dei Longobardi. Questi, avendo invaso i territori del papato, ora alleato dei Franchi, e non avendo dato seguito all’ultimatum di Carlo, che gli intimava di ritirarsi, gli dichiara guerra. Ermengarda si reca dalla sorella badessa di un convento a Brescia. Qui, sapute delle nuove nozze del suo ancora amato Carlo, muore per il dispiacere. A questo punto, il famosissimo canto del coro, meglio noto come “La morte di Ermengarda“:

Sparsa le trecce morbide
sull’affannoso petto,
lenta le palme, e rorida
di morte il bianco aspetto,
giace la pia, col tremolo
sguardo cercando il ciel“.

(Adelchi, Atto IV, scena I, vv. 1 – 6)

Giuseppe Bezzuoli, Svenimento di Ermengarda, 1837 - Firenze, Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe

L’esercito franco, intanto, grazie alla spia di un traditore longobardo, riesce a valicare le Alpi, attraverso un passaggio non difeso, giungendo a Verona. Adelchi, il quale si era sempre opposto alla guerra, ma che niente aveva potuto contro il fermo volere del padre, viene ferito gravemente in battaglia ed è portato nella tenda di Carlo, dove si trova pure Desiderio, fatto prigioniero. Muore tra le braccia del padre.

Adelchi: “O Re de’ re tradito
da un tuo Fedel, dagli altri abbandonato!…
Vengo alla pace tua: l’anima stanca
accogli”.
Desiderio: “Ei t’ode: oh ciel! tu manchi! ed io…
In servitude a piangerti rimango“.

(Adelchi, Atto V, scena X, vv. 6-11)

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L’Adelchi è, innanzitutto, la tragedia della lotta dei personaggi contro i propri sentimenti. Bellissima la figura di Ermengarda, la quale, seppure ripudiata, vittima sacrificale della ragion di Stato, prova ancora forte e delicata passione per Carlo. Allo stesso modo, Adelchi, il quale, sottomesso alla volontà del padre, combatte, con valore, una guerra ingiusta e senza speranza di vittoria, trovandovi la morte. Chiaro è anche il contributo che Manzoni, con quest’opera, volle dare al risveglio degli italiani del Risorgimento. L’Adelchi, infatti, rappresenta il dramma di tre popoli: il longobardo in fuga, il franco vincitore, a prezzo, però, di grandi sacrifici, e l’italico, da sempre diviso, nell’illusione di poter riacquistare la libertà grazie agli stranieri i quali, invece, lo dominano ferocemente. L’indipendenza, secondo il futuro senatore del Regno d’Italia, sarebbe potuta essere conquistata soltanto se il popolo italiano si fosse unito e disposto a combattere qualunque invasore straniero.

 

 

La notte e i notturni nella letteratura e nella musica

 

 

di Carmela Puntillo

 

 

La notte è uno dei temi più ricorrenti nella letteratura e nella musica: ne hanno subito il fascino sia la prosa che la poesia (che hanno dato parole ai suoi paesaggi interiori), sia le composizioni di musicisti rinomati dall’Ottocento ai giorni nostri. Questi autori hanno descritto gli aspetti, le caratteristiche che le sono proprie ed i sentimenti che essa suscita…

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Sfumature di pallido

Musica e poesia in A Whiter Shade of Pale

 

 

Un commento critico

 

 

A Whiter Shade of Pale è una delle canzoni più iconiche degli anni ‘60 e rappresenta un perfetto esempio di come la musica pop rock possa fondersi con la musica classica e la poesia, creando un’opera unica e senza tempo. Pubblicata nel 1967 dai Procol Harum, è nota per il suo suono organistico e per il testo enigmatico, che ha ispirato interpretazioni diverse nel corso degli anni.
L’aspetto più distintivo di A Whiter Shade of Pale è l’uso dell’organo Hammond, suonato da Matthew Fisher, che domina l’introduzione e gran parte della canzone. Questa melodia ricorda chiaramente Bach, in particolare il suo Oratorio di Natale e il Preludio n. 1 in Do maggiore dal Clavicembalo ben temperato. Tuttavia, Fisher ha spesso dichiarato che l’intenzione non era quella di copiare direttamente il grande compositore tedesco, ma di ispirarsi alla sua struttura armonica per creare un sound sofisticato e classico.
La progressione degli accordi della canzone segue un ciclo che richiama le composizioni barocche, creando un’atmosfera solenne e, al tempo stesso, nostalgica. L’uso dell’organo è accompagnato da un arrangiamento strumentale minimale, che lascia spazio alle note delicate e all’effetto ipnotico del brano. Questo tipo di approccio compositivo ha segnato una delle prime fusioni tra rock e musica classica, una tendenza che sarebbe poi cresciuta durante gli anni ‘70 con il progressive rock.
Dal punto di vista strumentale, uno degli elementi chiave della canzone è la semplicità e l’efficacia dell’arrangiamento. L’organo Hammond B3 è lo strumento principale e Fisher lo suona in modo magistrale. La melodia si basa su accordi ampi, con l’uso di riverbero e sustain per creare un effetto maestoso e quasi liturgico. Anche la linea di basso (David Knights), gioca un ruolo importante, fornendo una struttura armonica stabile su cui poggia l’intero brano. La chitarra elettrica (Robin Trower), pur non essendo centrale, appare discretamente a tratti, offrendo un’ulteriore texture sonora, mentre la batteria di B.J. Wilson resta quasi sommessa, accompagnando senza dominare. Questo minimalismo strumentale contribuisce all’atmosfera sospesa e onirica della canzone. E, poi, la voce di Gary Brooker, che si distingue per il suo timbro caldo e profondo, conferendo alla canzone un senso di solennità, sposandosi perfettamente con il suono dell’organo Hammond e con l’influenza classica della melodia. L’uso di dinamiche sottili, crescendo e diminuendo in determinati punti della canzone, sottolinea i momenti di tensione emotiva e rende ogni frase più carica di significato. Ad esempio, nel verso Her face, at first just ghostly, Brooker pronuncia le parole con delicatezza, per poi crescere d’intensità su turned a whiter shade of pale, creando, così, un effetto narrativo che accompagna l’evoluzione del testo. La voce di Brooker è uno strumento perfetto per mantenere l’equilibrio tra il lirismo del testo e il mistero che lo avvolge. Nonostante il testo di Keith Reid sia complesso e aperto a diverse interpretazioni, Brooker lo canta in modo naturale e credibile, senza forzare spiegazioni o emozioni. Questo lascia spazio all’ascoltatore per interpretare la canzone a livello personale, senza che la voce guidi troppo pesantemente in una direzione.


Uno degli aspetti più discussi di A Whiter Shade of Pale è proprio il suo testo, che risulta profondamente simbolico e aperto a diverse interpretazioni. Alcuni lo hanno visto come un riferimento alla cultura psichedelica degli anni ‘60, mentre altri vi leggono un’allegoria di esperienze esistenziali o spirituali.
We skipped the light fandango
Il brano si apre con questo verso, che introduce immediatamente un senso di movimento caotico e surreale. Il fandango è una danza vivace spagnola, e skipped the light fandango potrebbe suggerire un ballo frenetico, un’esperienza disorientante o un passaggio oltre i limiti della realtà. Alcuni lo vedono come una metafora per una serata selvaggia o un viaggio psichedelico, tipico della cultura degli anni ‘60. Il verbo skipped (saltammo) potrebbe indicare una deviazione dai comportamenti normali, un tentativo di evadere la realtà o una fuga mentale.
Turning cartwheels ‘cross the floor
Questo verso rafforza l’immagine di un ambiente scomposto e caotico. Le capriole (cartwheels) evocano l’idea di movimento incontrollato, forse legato a uno stato di confusione mentale. Questa scena potrebbe essere intesa come la rappresentazione di un’esperienza psichedelica, in cui la percezione della realtà si distorce, o come un’allegoria di una situazione in cui il narratore sente che il mondo attorno a lui è fuori controllo.
The room was humming harder
Il “ronzio” nella stanza suggerisce una crescente tensione o ansia, come se il mondo esterno stesse diventando sempre più opprimente. Ciò può essere interpretato in vari modi: come una sensazione fisica e mentale di perdita di controllo (ancora una volta, collegata all’esperienza psichedelica) oppure come un simbolo di disagio emotivo e confusione.
As the miller told his tale
Questo riferimento a un mugnaio che racconta una storia è uno dei passaggi più enigmatici del testo. La figura del mugnaio potrebbe essere un riferimento letterario o simbolico. Alcuni critici lo collegano alla poesia The Miller’s Tale dai Racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer, che tratta di inganno e amore illecito. Tuttavia, Reid ha dichiarato che non c’era un intento specifico di rifarsi a Chaucer. Potrebbe, quindi, trattarsi di una figura archetipica, un narratore che introduce un senso di fatalismo o di ciclicità nella vita, come il mugnaio che macina continuamente il grano.
Her face, at first just ghostly, turned a whiter shade of pale
Questa è forse la frase più famosa e discussa della canzone. Il “viso spettrale” che diventa ancora più pallido richiama un’immagine di malattia, morte o shock emotivo. Il pallore potrebbe simboleggiare una perdita: di innocenza, di amore, di speranza o, persino, della vita stessa. Alcuni hanno interpretato questo come un riferimento a una relazione che si sta spegnendo, dove l’amore un tempo vibrante diventa sempre più distante e insipido.
One of sixteen vestal virgins who were leaving for the coast
Il riferimento alle “sedici vestali” introduce un’immagine classica. Le vestali erano sacerdotesse nell’antica Roma, votate alla castità e incaricate di mantenere il fuoco sacro acceso. Il fatto che “stiano partendo per la costa” può essere visto come un abbandono del loro dovere o un allontanamento dai loro princìpi sacri e potrebbe simboleggiare una perdita di purezza, di dedizione o di scopo. Alcuni hanno ipotizzato che le vestali rappresentino un gruppo di persone in cerca di una nuova direzione spirituale o esistenziale, mentre coast (costa) potrebbe alludere a una transizione o a un viaggio verso l’ignoto.
Il tema centrale di A Whiter Shade of Pale sembra comunque essere quello della perdita. Che si tratti di una perdita emotiva (come la fine di una relazione), spirituale (la ricerca di un significato più profondo nella vita) o psicologica (la perdita di contatto con la realtà), il testo suggerisce uno stato di disorientamento e di riflessione interiore.
L’alienazione è un altro tema importante. Le immagini di persone che ballano capriole attraverso la stanza o di vestali che abbandonano il loro compito tradizionale evocano un senso di estraniamento dal mondo e dalle norme consuete. Il narratore sembra essere un osservatore passivo, incapace di fermare il declino che vede intorno a sé.
Infine, c’è un elemento di trascendenza. Molte interpretazioni vedono nel pallore crescente e nell’atmosfera surreale della canzone un tentativo di superare i limiti della realtà materiale. In questo contesto, la canzone potrebbe essere letta come un viaggio verso una forma di realizzazione spirituale o di accettazione dell’inevitabile.
Un’altra interpretazione comune è che il testo sia un’allegoria di una relazione amorosa in crisi. L’amore iniziale, rappresentato dal ballo e dall’energia dei primi versi, si spegne gradualmente, come indicato dal pallore crescente e dal tono sempre più malinconico del testo. La “vestale” potrebbe rappresentare la donna amata, che si allontana (partendo per la costa), mentre il narratore si sente impotente di fronte a questo cambiamento.
Non si può ignorare il fatto che A Whiter Shade of Pale sia stata scritta, come detto, durante l’epoca della controcultura e della sperimentazione psichedelica. Molti vedono nel testo un riferimento a esperienze con sostanze psichedeliche, con le immagini surreali e i cambiamenti di prospettiva tipici di quel tipo di esperienza. Versi come the room was humming harder e turned a whiter shade of pale potrebbero quindi facilmente adattarsi alla descrizione di un viaggio lisergico.
In definitiva, il testo di A Whiter Shade of Pale è un mosaico di immagini poetiche e simboli, che lascia spazio a una vasta gamma di interpretazioni. Che si tratti di una riflessione sulla perdita dell’innocenza, di una metafora di una relazione fallita o di un commento sull’alienazione moderna, la canzone rimane un enigma affascinante. Il suo linguaggio ricco e allusivo ha contribuito a renderla un classico senza tempo, permettendo agli ascoltatori di trovarvi significati personali e di rivisitarla continuamente con nuove prospettive.

Ascolta la canzone

 

 

 

 

 

I Principi di Scienza Nuova di Giambattista Vico

Reinterpretare la storia

 

 

 

Principi di Scienza Nuova d’intorno alla comune natura delle Nazioni di Giambattista Vico, pubblicato in diverse edizioni tra il 1725 e il 1744, costituisce un punto di svolta nella storia del pensiero filosofico e storico dell’epoca moderna. Questo testo ridefinisce il ruolo della filosofia e della storia, introducendo un nuovo metodo di indagine sulla civiltà umana, basato su principi di variazione e ripetizione, che Vico chiama corsi e ricorsi storici.
Nel XVIII secolo, il contesto culturale europeo era dominato dal razionalismo cartesiano e dall’empirismo inglese, correnti che propugnavano la deduzione logica e l’esperienza sensoriale quali fonti principali della conoscenza. Vico propone un radicale cambiamento di prospettiva, ponendo l’accento sulla comprensione dell’umanità attraverso le fasi del suo sviluppo culturale e sociale. La sua visione contrappone un modello di conoscenza che valorizza la storia e la cultura come chiavi per interpretare la realtà.
Uno degli aspetti più rivoluzionari di Principi di Scienza Nuova è rappresentato dalla teoria dei corsi e ricorsi storici, secondo la quale la storia dell’umanità si sviluppa attraverso cicli di ascesa, declino e rinascita, riflettendo le leggi naturali della vita sociale. Questa teoria costituisce il portato più famoso e innovativo del pensiero vichiano. Il filosofo sostiene che la storia umana non progredisca in linea retta, ma si muova attraverso cicli ripetuti di ascesa, stasi e declino, che lui identifica con le tre età (degli dei, degli eroi e degli uomini). Ogni ciclo è un “corso”, che alla fine porta a un “ricorso”, ovvero una sorta di ripetizione o rinnovamento, che può anche comportare variazioni significative. In altre parole, i pattern storici tendono a ripetersi, ma ogni ripetizione porta con sé elementi nuovi che arricchiscono il tessuto culturale e sociale delle civiltà. Vico vede i corsi e ricorsi come meccanismi attraverso i quali le civiltà sorgono, fioriscono e poi cadono, solo per essere sostituite da nuove civiltà che, pur essendo diverse, passano attraverso fasi simili. Questo ciclo si osserva, secondo Vico, non solo in Europa ma in tutte le civiltà umane. Le leggi, che iniziano come norme religiose o mitiche, evolvono in codici eroici e, infine, in sistemi legali razionali. Questo processo di evoluzione si ripete ogni volta che una società collassa e si riforma. Anche il progresso tecnico e intellettuale segue un percorso ciclico, in cui la conoscenza si accumula, si perde e poi viene riscoperta o reinventata in nuove forme. Vico utilizza questi cicli per criticare l’idea illuminista di un progresso umano inarrestabile e lineare, proponendo, invece, una visione ricorrente del progresso, che riconosce l’importanza delle ripetizioni storiche e della memoria collettiva. Questo modello gli permette di integrare elementi di storia, filosofia, antropologia e psicologia in una sintesi che mira a comprendere la complessità del comportamento e dello sviluppo umano.
Anche teoria delle tre età della storia riflette la visione ciclica della storia, in cui ogni civiltà passa attraverso tre fasi distinte: l’età degli dei, l’età degli eroi e l’età degli uomini.
L’età degli dei si caratterizza per la predominanza del mondo religioso e mitologico. In questo periodo, la società è guidata dalla paura degli dèi e dalle credenze religiose, che sono utilizzate per spiegare la realtà. Le leggi sono percepite come divine e immutabili, imposte da entità sovrannaturali, e non esiste ancora una chiara distinzione tra il naturale e il soprannaturale. La conoscenza è tramandata attraverso miti e simboli, che hanno la funzione di conservare le norme sociali e morali. Segue l’età degli eroi, un periodo in cui emergono figure carismatiche e dominanti, che assumono il controllo delle comunità. Questi eroi, spesso visti come semi-divini o discendenti diretti degli dèi, stabiliscono gerarchie sociali rigide e sono i protagonisti di grandi gesta e conquiste. In questa fase si sviluppano le distinzioni di classe e le strutture feudali o monarchiche. Le leggi iniziano a essere codificate, ma mantengono un forte legame con l’autorità divina. L’ultima è l’età degli uomini, caratterizzata dallo sviluppo di istituzioni più democratiche e dall’affermazione del diritto civile. La religione perde il suo ruolo centralizzante e le leggi vengono viste come prodotti dell’intelletto umano e del consenso sociale, piuttosto che come imposizioni divine. In questa età, la società si organizza attorno ai principi di uguaglianza e di diritto comune, favorendo lo sviluppo delle repubbliche e delle forme di governo partecipativo. L’educazione si diffonde e con essa cresce l’importanza della scrittura e del dibattito pubblico nella vita civile.
Questo schema delle tre età non solo permette a Vico di analizzare la storia umana in termini di sviluppo e declino, ma offre anche uno strumento per comprendere come le società interpretano e integrano i cambiamenti.
Anche il concetto di provvidenza occupa un posto di prim’ordine nell’opera vichiana. La provvidenza divina non è intesa come un intervento miracolistico negli affari umani, ma piuttosto quale principio ordinatore che guida il corso della storia verso fini di giustizia e razionalità. Questa visione differisce radicalmente dall’interpretazione meccanicistica o completamente laica della storia, tipica di molti suoi contemporanei illuministi. Secondo Vico, la provvidenza agisce attraverso le azioni umane e i loro risultati, inserendo un ordine e un fine morale nel flusso degli eventi storici. La provvidenza non elimina il libero arbitrio, ma lo indirizza verso lo sviluppo di civiltà e istituzioni sempre più complesse e giuste.
Il filosofo, inoltre, critica il metodo matematico di Cartesio, proponendo un approccio basato sulla “fantasia”, che considera fondamentale per la comprensione delle istituzioni umane. La sua metodologia si fonda sulla “poetica”, intesa come la capacità di creare connessioni tra eventi storici attraverso narrazioni che rispecchiano le mentalità e i valori di un’epoca. In questo modo, Vico anticipa tecniche di interpretazione che saranno centrali nelle scienze umane moderne, come l’ermeneutica e la filologia.
Principi di Scienza Nuova ha avuto un impatto profondo su molti campi del sapere, influenzando pensatori come Hegel e Marx nella filosofia, Croce nella critica letteraria e Joyce nella narrativa modernista. La visione vichiana della storia come processo dinamico e culturalmente determinato ha aperto nuove strade per la comprensione del ruolo delle narrazioni e dei simboli nella vita sociale.
L’opera di Vico, pertanto, nonostante la complessità stilistica e la densità concettuale, rimane una pietra miliare nella storia del pensiero occidentale. Offrendo uno straordinario intreccio di analisi storica e riflessione filosofica, il testo invita a riconsiderare le nostre idee sulla conoscenza e sulla civiltà, proponendo una visione della storia umana come teatro di infinite possibilità interpretative e trasformative.

 

 

 

BREVIARIO MASSONICO

Terre Sommerse, 2024

 

 

 

I miei interessi di studio sulla conoscenza esoterica (che parte, in maniera eminente, da Platone e Aristotele, per giungere, attraverso i secoli e le varie correnti di pensiero, al nostro tempo) e, soprattutto, le tematiche filosofiche a essa connesse, mi hanno spinto a pubblicare questa raccolta, intitolata Breviario massonico, Terre Sommerse, 2024, in cui ho collezionato citazioni, aforismi, motti e massime di pensatori, filosofi, letterati e politici, grandi uomini e idealisti di ogni epoca, offrendo uno sguardo sulla Libera Muratoria, sub specie della fratellanza e della ricerca della verità, secondo quell’ecumenismo, anche e anzitutto culturale, quale auspicato, tra gli altri, da Giovanni Pico della Mirandola nella Oratio de hominis dignitate del 1486, che, se realizzato, porterebbe grandi benefici all’intera umanità.

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Jean-Jacques Rousseau e l’armonia perduta:
il contratto sociale per una nuova libertà

 

 

 

La politica, per Jean-Jacques Rousseau, è molto più di una fredda architettura di leggi e poteri: è il fragile filo che lega l’uomo alla sua libertà primigenia, un ritorno alle radici della condizione umana prima che la corruzione della società ne oscurasse la natura. In un mondo disgregato dagli egoismi individuali e dalle disuguaglianze, Rousseau immagina un “contratto sociale” come un patto sacro che ridà all’uomo quella libertà che egli stesso ha perduto, vivendo in una società ingiusta. Il contrattualismo di Rousseau si distingue nettamente da quello dei filosofi che lo precedono, come Hobbes e Locke: per lui, l’uomo, nello stato di natura, non è né belva né predatore, ma un essere libero e profondamente buono, che solo la società ha incatenato con le sue convenzioni artificiali e i suoi desideri egoistici. Il “contratto sociale” non deve, dunque, difendere le disuguaglianze esistenti, ma rovesciarle, creando una nuova comunità di uguali, dove la “volontà generale” diventa la vera legge sovrana.
In questo patto, Rousseau vede la possibilità di una politica etica e autentica, dove ogni individuo rinuncia al proprio interesse egoistico per fondersi in una volontà collettiva che non rappresenta la somma degli interessi particolari, ma il bene comune. La volontà generale, quasi come una forza invisibile e trascendente, esprime la più alta aspirazione umana: quella di una società giusta in cui ciascuno sia libero nella misura in cui tutti lo sono. Ecco, allora, che la politica si fa sogno di armonia e purezza, che supera la lotta dei singoli, un luogo ideale in cui l’uomo riscopre la sua vera essenza. È in questa dimensione che si trova il cuore del contrattualismo rousseauiano, un invito a riscrivere il patto sociale, non come vincolo di oppressione, ma come riscoperta della nostra comune umanità, nel segno di una libertà condivisa e di una giustizia universale.

 

 

 

 

 

Il giardino della Libertà:
il contrattualismo di John Locke tra Ragione e Giustizia

 

 

 

La filosofia politica di John Locke fiorisce come un giardino filosofico, dove la libertà e la ragione crescono fianco a fianco, alimentate dal principio inviolabile del diritto naturale. In questo spazio di riflessione e giustizia ogni individuo è detentore di una sovranità innata, inalienabile, che precede qualunque autorità statale. L’uomo nasce libero e uguale, con un diritto originario alla vita, alla libertà e alla proprietà. Tali diritti non sono concessi da un sovrano, ma emergono naturalmente dalla condizione umana stessa, come un fiume che scorre dalla sorgente della ragione.
Il contratto sociale, secondo Locke, non è un patto di sottomissione, ma un accordo razionale che gli individui stipulano per proteggere i propri diritti e assicurarsi una convivenza ordinata. È il consenso della comunità a dare vita al governo e non l’arbitrio del potere assoluto. Il governo esiste solo per servire il popolo e il suo potere è legittimato dalla fiducia e dal consenso dei governati. Quando questo contratto viene tradito – allorché il governo abusa della sua autorità o viola i diritti fondamentali – il popolo ha non solo il diritto, ma il dovere di revocare il potere, di ribellarsi e ricostruire un ordine che sia nuovamente fondato sulla giustizia.
Il contrattualismo di Locke risuona come una sinfonia di libertà, dove il ruolo dello Stato non è quello di dominare, ma di custodire e proteggere. L’autorità è sempre limitata e condizionata dalla legge naturale e il contratto che lega i cittadini allo Stato è una promessa reciproca di rispetto, diritti e dignità. In questa visione, lo Stato non è una forza opprimente, ma uno scudo, un custode che protegge i fiori della libertà e della proprietà dai venti sferzanti della tirannia.
Così, la filosofia politica di Locke diventa un’ode alla libertà, un inno all’autodeterminazione, e il contratto sociale si rivela non come catena che vincola, ma quale filo invisibile che unisce gli individui in una danza armoniosa di giustizia e partecipazione, sempre pronti a difendere, con la forza della ragione, quel giardino prezioso che è la propria libertà.

 

 

 

 

L’immutabile ordine del Cielo: Filmer e il diritto divino dei re

 

 

 

Nell’opera Patriarcha or the natural power of kings, Robert Filmer tesse una trama di idee che si stagliano contro il sorgere delle moderne concezioni di democrazia e sovranità popolare. Non si limita a contestare le teorie contrattualistiche di pensatori come Hobbes o Locke; rivendica un’autorità che trascende il volere umano, radicata non nel consenso, ma nel diritto divino e naturale, immutabile come il firmamento. Il suo argomentare è intriso di riferimenti sacri: il potere monarchico affonda le sue radici nel terreno biblico, germogliando dall’archetipo di Adamo, primo patriarca e sovrano per decreto divino. Così, ogni re non è solo un governante tra gli uomini, ma il legittimo erede di una linea sacra, un successore naturale del Primo Uomo, investito di un potere che non ammette contesa, perché sancito dall’Altissimo stesso. Filmer, così, si erge a implacabile difensore del diritto divino dei re, raffigurando la monarchia come una realtà non solo giusta, ma intangibile. Qualsiasi tentativo di resistenza diventa un atto di ribellione e, addirittura, un’offesa all’ordine divino, un’eresia contro il volere celeste. Patriarcha si trasforma in un manifesto contro il vento impetuoso del cambiamento, contro l’ideologia nascente del governo limitato (nel potere) e della separazione dei poteri. Filmer invoca un ritorno alle radici, fornendo una visione che lega la legittimità politica a un passato venerabile, dove il re non è soltanto un sovrano ma il custode dell’ordine divino sulla Terra, una figura che regge il destino dei popoli con mano ferma, sotto lo sguardo benevolo e inesorabile del cielo.

 

 

 

 

Visita guidata alla collezione di icone russe
delle gallerie di Palazzo Leoni Montanari

 

 

di Carmela Puntillo

 

 

Il Palazzo Leoni Montanari accoglie chi si dispone alla visita con una facciata poco appariscente; solo la teoria scultorea di divinità al sommo dei prospetti anticipa il trionfo olimpico che si dispiega nella decorazione degli ambienti. Il portico, vigilato da creature mostruose, con la sua penombra evoca la dimensione sotterranea degli inferi, tanto da ospitare un gruppo scultoreo di eloquente iconografia, ovvero il Ratto di Proserpina…

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Il patto con il Leviatano: la politica di Hobbes
tra caos e ordine

 

 

 

Thomas Hobbes, ritenendo la politica non mera gestione degli affari pubblici, la reputa, invece, quale fondamentale risposta alla natura intrinsecamente violenta e caotica dell’essere umano. A differenza delle teorie politiche a lui precedenti, che sovente consideravano la società come un riflesso dell’ordine naturale o divino, rompe con questa tradizione, proponendo una visione radicalmente nuova: l’uomo, nello stato di natura, è in perenne conflitto, una “guerra di tutti contro tutti”. Per uscire da questo stato di anarchia, gli individui scelgono di stipulare un patto sociale, un accordo collettivo in cui rinunciano a parte della loro libertà in cambio di protezione e ordine. In tale contesto, pertanto, la politica diventa l’arte di costruire e mantenere uno Stato forte e centrale, un Leviatano, capace di esercitare un potere assoluto. Questo potere, concentrato nelle mani di un sovrano, è l’unico baluardo in grado di garantire ordine, stabilità e sicurezza, prevenendo il ritorno al caos primordiale e alla violenza.