Archivi giornalieri: 31 Ottobre 2024

Something

Quel qualcosa che sfugge

 

 

 

 

Something, pubblicata in UK il 31 ottobre del 1969, è una confessione intima, una finestra aperta sul cuore di George Harrison, molto più di una semplice canzone d’amore. In quei 3 minuti sospesi, Harrison dipinge il ritratto di un’emozione che non si lascia mai del tutto afferrare. Something cattura la delicatezza di un amore fatto di incertezze, di attese. È un inno a ciò che non può essere espresso con parole, a quel “qualcosa” che sfugge, persino quando sembra di tenerlo stretto tra le dita.
Quando Harrison canta “Something in the way she moves, attracts me like no other lover”, non sta raccontando solo una storia d’amore. Sta parlando del mistero stesso del sentimento, del modo in cui l’amore riesce a evocare il desiderio e la nostalgia, come il riflesso della luna sull’acqua. La musa ispiratrice, Pattie Boyd, sua moglie all’epoca, è una rappresentazione dell’eterno femminino, del fascino inafferrabile che Harrison non tenta nemmeno di definire. La sua bellezza è un’ombra danzante, una presenza che non si lascia rinchiudere nelle parole, eppure domina ogni nota, come un’eco che risuona nel vuoto.
Musicalmente, la composizione di Something è un capolavoro di equilibrio e armonia. Harrison si allontana dalle sperimentazioni ardite dei Beatles per abbracciare una struttura semplice ma perfetta, quasi come una preghiera recitata a bassa voce. Gli accordi di apertura, in tono maggiore, portano una dolcezza che sfiora la perfezione, mentre le variazioni minori suggeriscono un mesto retrogusto che accompagna ogni parola. L’uso sapiente della chitarra, il timbro leggero e vibrante, fa sì che ogni nota risuoni come una goccia d’acqua che cade su una superficie ferma, creando poi cerchi che si allargano verso l’infinito.
La melodia è un continuo avvicinamento e allontanamento, come un respiro trattenuto, una confessione mai completamente svelata. Le orchestrazioni, dolci e discrete, circondano la voce di Harrison senza mai sovrastarla, lasciando che ogni pausa, ogni sospensione, sia carica di significato. La musica stessa diventa una danza fragile, un tentativo di avvicinarsi a quel “qualcosa” senza mai sfiorarlo davvero.

Dietro la composizione, però, si nasconde una storia di vulnerabilità e desiderio irrisolto. Harrison, spesso descritto come il Beatle “silenzioso”, in Something lascia emergere una parte di sé che raramente si è concessa. Pattie Boyd è l’ispirazione, ma anche l’incarnazione di una bellezza sfuggente, quasi sovrumana. Lei, come il loro amore, diventa un simbolo della tensione tra il desiderio e la malinconia, tra il possesso e l’inevitabile perdita. Pattie rappresenta un amore che non può essere completamente vissuto, che sfugge, che svanisce. È il riflesso di un ideale che si dissolve appena ci si avvicina troppo.
È impossibile ascoltare Something senza percepire il conflitto interiore di Harrison, la sua consapevolezza che ciò che ama è destinato a restare un mistero. C’è una tristezza soave nelle sue parole, una rassegnazione davanti all’idea che certe bellezze non possono essere trattenute, solo osservate da lontano. La canzone si trasforma così in un atto di adorazione silenziosa, una resa alla meraviglia di un sentimento che non si può comprendere né possedere.
In Something, la musica diventa un ponte tra il finito e l’infinito, un filo invisibile che unisce ciò che è umano a ciò che è ineffabile. Ogni nota, ogni pausa sembra voler dire: “Non capirò mai del tutto ciò che amo, ma è proprio in questa incomprensibilità che risiede la sua compiutezza”. È una malinconia che non chiede consolazione, una bellezza che accetta il proprio destino di essere incompleta, ma proprio per questo, eterna.
Alla fine, Something è un pezzo d’arte che va oltre la sua stessa musica. È un tributo alla forza delle emozioni, alla vulnerabilità dell’amore, all’incapacità di afferrare il “qualcosa” che si ama di più. E in questo risiede la sua grandezza: nel suo saper rendere universale il personale, nel trasformare l’esperienza intima di un uomo in un’ode all’amore universale, a tutto ciò che non si può spiegare, ma solo sentire.

Ascolta Something

 

 

 

 

Libertà e redenzione nella Storia

Gioacchino da Fiore a confronto con Sant’Agostino

 

 

 

 

Gioacchino da Fiore, monaco cistercense e mistico originario della Calabria, vissuto tra il 1130 e il 1202, propose una visione escatologica che trasformò profondamente la tradizionale interpretazione cristiana della storia. La sua riflessione teologica si basa su un’interpretazione trinitaria della storia, suddivisa in tre età: l’età del Padre, corrispondente all’Antico Testamento, rappresenta un periodo di legge e di giustizia, in cui il rapporto con Dio è mediato da norme e prescrizioni ed è un’epoca che riflette l’autorità, la disciplina e la distanza tra l’uomo e la divinità; l’età del Figlio, coincidente con il Nuovo Testamento e la venuta di Cristo, identificata quale seconda epoca, quella della grazia e della redenzione, in cui il legame con Dio si fa più vicino e personale grazie a Gesù, ed è un’età che celebra l’amore e la misericordia, pur mantenendo una distanza tra l’uomo e la perfezione divina; l’età dello Spirito Santo, l’età futura profetizzata, in cui l’uomo vivrà in un rapporto di intimità spirituale diretta con Dio, senza la necessità di mediatori o istituzioni ecclesiastiche tradizionali e delinea l’avvento di una libertà spirituale piena, in cui la grazia divina sarà accessibile a tutti in modo diretto, portando a una società rigenerata in cui l’uomo è libero di scegliere il bene.


In contrapposizione, Sant’Agostino concepisce la storia come un percorso che non conosce una terza “età” di redenzione collettiva sulla Terra, ma che è piuttosto segnata da una tensione continua tra la Città di Dio e la Città dell’Uomo. Per Agostino, il tempo storico è una lotta ininterrotta tra il bene e il male, fino alla conclusione escatologica nel Giudizio Universale. In questo senso, l’idea agostiniana della storia è lineare e meno ottimistica, poiché la vera salvezza è raggiungibile solo nell’eternità e non all’interno del processo storico.
Gioacchino, poi, elabora una concezione della libertà umana che appare decisamente innovativa per il suo tempo. Vede l’uomo come dotato di un libero arbitrio che può esercitarsi in modo attivo e positivo, contribuendo al progresso spirituale dell’umanità. Questa libertà è il fondamento della “collaborazione” umana con il progetto divino: l’uomo, secondo Gioacchino, non è solo soggetto passivo, ma un co-creatore della storia sacra. Questo approccio riflette una fiducia nell’uomo e nel suo potenziale per raggiungere una vera emancipazione spirituale. Al contrario, Agostino concepisce la libertà dell’uomo come limitata dalla sua natura corrotta a causa del peccato originale. Secondo il vescovo d’Ippona, ogni essere umano è segnato dalla condizione di peccatore e senza la grazia divina non è in grado di scegliere il bene supremo. La sua libertà è dunque circoscritta: senza il dono della grazia, la volontà dell’uomo tende naturalmente verso il peccato. Agostino sostiene che il libero arbitrio non è realmente libero, poiché è incline al male e necessita dell’intervento di Dio per trovare la vera libertà nella salvezza.
Gioacchino, quindi, ha una visione ottimistica della libertà umana, che include la capacità di scegliere attivamente il bene e di contribuire al progresso spirituale della storia. La libertà non è solo individuale ma collettiva e proiettata verso un futuro di rigenerazione spirituale. Agostino, invece, propugna una visione pessimistica della libertà, che si trova solo nell’adesione alla grazia divina e nella lotta contro l’inclinazione naturale al peccato. La libertà agostiniana è essenzialmente una scelta di adesione alla volontà di Dio più che una libertà di autodeterminazione.
Gioacchino immagina una rigenerazione collettiva che coinvolge l’intera umanità in una dimensione comunitaria e universale. La sua visione dell’età dello Spirito Santo comporta un’umanità che sperimenta una libertà nuova e condivisa, senza necessità di mediazioni ecclesiastiche. L’uomo, secondo Gioacchino, raggiunge Dio direttamente, in una sorta di illuminazione interiore e sociale. In quest’ottica, l’idea di libertà è legata a una visione di progresso collettivo, con la Chiesa che si evolve da struttura di controllo a strumento di unione spirituale. Per Sant’Agostino, invece, la Chiesa rappresenta un elemento fondamentale e indispensabile per la salvezza. Egli sostiene la centralità della Chiesa come corpo mistico e veicolo di grazia, attraverso cui l’individuo può entrare in comunione con Dio. La libertà è dunque personale e individuale, vissuta all’interno della comunità ecclesiastica ma con un’enfasi sulla salvezza dell’anima individuale.
Le idee di Gioacchino da Fiore, incentrate sulla libertà umana e sulla possibilità di una trasformazione storica dell’umanità, hanno esercitato un’influenza profonda nel Medioevo e nei secoli successivi. La sua visione di un’età dello Spirito Santo ha ispirato molti movimenti millenaristici e riformatori, che intravedevano in essa la promessa di un’umanità rinnovata e di una Chiesa rigenerata. Alcuni gruppi spirituali e mistici, come i Francescani spirituali, hanno adottato queste idee, vedendo nella loro epoca l’inizio della nuova età profetizzata da Gioacchino.
La teologia agostiniana, al contrario, ha dato una base solida alla dottrina cattolica, mantenendo centrale l’idea di una libertà umana subordinata alla grazia. Il pessimismo antropologico di Agostino è diventato un pilastro della visione cattolica dell’uomo e della sua relazione con Dio. La sua concezione del peccato originale e della dipendenza dell’uomo dalla grazia divina ha influenzato profondamente il pensiero cristiano, anche nella Riforma protestante, dove l’accento sulla corruzione umana e sul bisogno della grazia rimane centrale.