Recensione
del bestseller The School for Gods di Elio D’Anna
di Riccardo Piroddi
Il volume The School for Gods, European School of Economics, 2022, di Elio D’Anna, rappresenta, innanzitutto, un viaggio. Il viaggio del suo Autore che dura da una vita. “La propria destinazione non è mai un luogo, ma un nuovo modo di vedere le cose”, scrisse Henry Miller. Quanto è vera questa frase, e quanto è assolutamente vera se riferita a quest’opera, perché ciò che essa offre al lettore non è una meta, seppure ideale e da perseguire, ma, appunto, un nuovo modo di vedere le cose.
“This book is a map and an escape plan”, recita l’Autore nell’introduzione. Un intento sic et simpliciter partecipato a quanti intraprendono il viaggio insieme con lui. Una mappa, certo, perché è sempre bene avere chiaro il percorso da seguire, e un piano di fuga, perché, talvolta, si rende necessario fuggire, non già per pavidità o inadeguatezza, ma per poter osservare la realtà da una prospettiva diversa. Come la monade leibniziana, la mente si rappresenta il medesimo universo sotto un aspetto proprio e con una prospettiva particolare. “E così come una medesima città, se guardata da punti di vista differenti, appare sempre diversa ed è come moltiplicata prospetticamente, allo stesso modo, per via della moltitudine infinita delle sostanze semplici, ci sono come altrettanti universi differenti, i quali tuttavia sono soltanto le prospettive di un unico universo secondo il differente punto di vista di ciascuna monade”, scrisse Leibniz nella Monadologia. Questo volume dona, altresì, una prospettiva diversa da cui guardare la realtà.
Una nuova kantiana “estetica trascendentale”, che va, però, ben oltre i processi conoscitivi, è tracciata in questo vademecum per poter affrontare e dominare il reale. Un’estetica che è fondamento di un nuovo pensiero, un pensiero che travalica l’ordinario e si libra verso la straordinarietà. Un folle volo, come quello dell’Ulisse dantesco, il quale naviga oltre le Colonne d’Ercole e varca, con l’animo pieno di audacia e per seguir virtute e canoscenza, il limite imposto da Dio alla conoscenza umana. Ecco, l’Ulisse dantesco è il personaggio princeps, l’idealtipo weberiano di questo Bildungsroman, “romanzo di formazione”. Determinato, ambizioso, conscio della propria potenza, pronto a realizzare i propri desideri. Ma, prima di tutto, sognatore.
“I am the Dreamer”, he said. “I am the Dreamer and you are the dreamed. An instant of sincerity, a crack in the wall of your lies, like a flash of lightning, allowed you to see Me”, si legge nelle primissime pagine. Chi è questo Dreamer, che si palesa in modo così strano, a tratti inquietante, ma del tutto affascinante? Qual è il suo messaggio? Cosa prospetta, cosa delinea e, soprattutto, chi è il dreamed a cui rivolge i propri insegnamenti per plasmare demiurgicamente i leader del futuro, i “filosofi d’azione”? Al lettore la scoperta.
Una scoperta per gradi, come quelli di una scala, perché il volume porta ad ascendere la scala che conduce alla realizzazione di sé. Come non pensare, allora, a un precedente letterario illustrissimo, il Libro della Scala (Kitāb al-Miʽrāǵ), testo escatologico arabo-spagnolo del XIII secolo d.C., che, sviluppando un celebre passo del Corano, racconta la storia del viaggio che Maometto compie nell’aldilà, guidato dall’angelo Gabriele. Salito al Paradiso, attraverso una scala lucente, il profeta supera otto cieli e arriva a Dio, che gli affida il Libro Sacro. Dopo la catabasi alle sette terre infernali, ritorna sulla Terra e rivela ai meccani la sua visione.
Io vi vedo anche ciò in The School for Gods: ascesa, visione, realizzazione, come la triade dialettica hegeliana “Tesi-Antitesi-Sintesi” che ordina il divenire della realtà. E, allora, mi domando: è il Libro della Scala a essere moderno o The School for Gods a essere antico e a rifarsi a modelli antichi? È l’anonimo autore musulmano duecentesco a proporre una visione del futuro o Elio D’Anna a fornire il ritratto di un passato mitico? Né l’una, né l’altra. Entrambe le istanze si fondono. Sono sinolo aristotelico di materia e forma. Passato e futuro che, con i loro portati, concorrono a formare la realtà, la nuova realtà. “Il futuro influenza il presente tanto quanto il passato”, scrisse Nietzsche.
Un libro è indubbiamente un oggetto materiale ma, guardato da un’altra prospettiva, diviene l’oggetto spirituale par excellence, perché in ogni libro vi è anche, e soprattutto, l’anima del suo autore, l’auctor, che nella lingua latina deriva dal verbo augēre (accrescere, rafforzare, incoraggiare). Un oggetto spirituale, il libro, che apre ad altri mondi, ad altre dimensioni. Vi è un a battuta, in un film che vidi per la prima volta quando ero poco più che bambino, I predatori dell’arca perduta, di George Lucas e Steven Spielberg, dove l’Arca dell’Alleanza, il manufatto più sacro degli israeliti, viene definita quale “ricetrasmittente capace di mettere in comunicazione con Dio”. Ecco, questo libro-arca mette in comunicazione con gli dèi e tra gli dèì, i Gods del titolo.
E, allora, ripartiamo dall’inizio. Dal God-Dreamer e dai Gods della School. Dio, discepoli, dèi. Chi è, dunque, il God-Dreamer, chi i discepoli, chi gli dèi? E quali sono i rapporti che intercorrono tra loro? Chiamo in aiuto Friedrich Leopold von Hardenberg, meglio noto con lo pseudonimo di Novalis, poeta, teologo e filosofo, eminente rappresentante del Romanticismo tedesco, il quale ne I discepoli di Sais scrisse: “«Io sono tutto ciò che fu, ciò che è e ciò che sarà e nessun mortale ha ancor osato sollevare il mio velo». Ma un discepolo di Sais ebbe l’ardire di sollevare il velo della dea: Ebbene, che vide? Vide – meraviglia delle meraviglie – se stesso”.
Credo che queste parole di Novalis possano rappresentare una giusta chiave interpretativa del libro The School for Gods, così come dell’esperienza di vita e della visione del suo Autore.
Un forte invito a leggere, approfondire e ripensare il mondo!