Come un fucile carico. La vita di Emily Dickinson

 

 

Recensione di Carmela Puntillo

 

 

 

Un libro appassionante e istruttivo per chi vuole affrontare la lettura delle lettere e delle poesie di Emily Dickinson, apportatrice della cultura e dei valori della società americana di estrazione puritana (utile soprattutto per gli studiosi di letteratura americana) è Come un fucile carico. La vita di Emily Dickinson, della scrittrice sudafricana Lyndall Gordon, Fazi Editore, 2017. La biografia traccia una panoramica molto approfondita dell’opera della Dickinson, vissuta nella seconda metà dell’Ottocento negli Stati Uniti, e lo fa attraverso le vicende personali e della famiglia, le quali figurano così come l’origine della sua produzione. Il libro scorre come una cronaca della vita e della mentalità di una piccola cittadina degli Stati Uniti, mentalità che viene presentata come causa e spiegazione del contenuto dei versi di Emily. È forse la maniera migliore per penetrare nel significato intrinseco del lavoro di una poetessa che era parte di un mondo che non palesava i suoi sentimenti (lei stessa aveva dato ordine che dopo la sua morte fosse bruciata la corrispondenza con le persone estranee). Partendo dall’educazione tendenzialmente religiosa a cui lei non aderiva totalmente, cercando una religione consapevole e non costrittiva (famoso è l’episodio in cui un’insegnante del seminario di Mount Holyoke, che Emily frequentava, chiese di alzarsi in piedi alle ragazze che volessero diventare cristiane e lei, unica fra tutte, non lo fece) e dalla sua vicinanza a quella corrente di pensiero che è all’inizio del movimento femminile in America (segnato dalle dichiarazioni di Seneca Falls), passando alle vicende della sua malattia, probabilmente l’epilessia, di cui non si sa nulla, e alle sue “passioni amorose” (forse solo amicizie) per due persone, Sam Bowles ed il reverendo Wadsworth, giungendo fino alle vicende legali della famiglia, come la causa intentata ai Todd per il lascito di un terreno, la sua poesia si snoda con scioltezza e può essere naturalmente compresa e ricordata anche dal lettore comune. Si presentano quindi ai nostri occhi i lavori domestici, che spesso nascondono con una parvenza di serenità avvenimenti tragici e dolori da cui era stata segnata, la sua attitudine alla dolcezza femminile ed all’intimità delle cose (in una poesia scrive: “Malati? Abbiamo bacche per placare la sete”), gli affetti e gli uomini amati (alcune poesie parlano di un “padrone” non meglio identificato, forse l’uomo che amava, il reverendo Wadsworth o Sam Bowles o forse una persona immaginaria che lei riteneva fosse un padrone), la sua malattia (non fu mai accertato, ma forse era l’epilessia, infatti in alcuni versi dice: “Avvertimento all’ombra sbigottita / che la tenebra sta per cominciare”, alludendo probabilmente ai sintomi di avvertimento dell’attacco), la natura a cui lei era affezionata e la sua creatività nella lingua (la Dickinson ha creato nuovi vocaboli come “perfettità”, perché secondo lei rendevano meglio il concetto, e ha rivoluzionato la punteggiatura, concependo il trattino come uno spazio che può essere riempito dai lettori), il senso del divino, fondamentale nella poetessa, che le parlava di un Dio a cui doveva tutto il suo talento (“È Dio che mi ha fatta – Signore – non mi sarebbe dato d’esser da me stessa”, dice in alcuni suoi versi) e che per lei era un’immagine di sicura giustizia (“Nessuno resta defraudato dal Cielo / anche se il Cielo sembra un ladro rende / in qualche dolce modo occultamente / secondo che decide il suo volere”). Così la biografia spiega indirettamente l’origine della creazione di quelle “perle” arrivate fino ai nostri giorni, che giustificano la burrasca sorta dopo la morte di Emily per la spartizione di questo gioiello immortale.

 

 

 

 

 

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