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Kingsland Blues
A John Ray Cash
Il sangue del tuo stesso sangue tra le braccia sporche e sudate di tuo padre, il caldo insopportabile nei campi di cotone dell’Arkansas dove piegavi l’esile schiena di ragazzino sognando una chitarra blu con la tracolla marrone per dare suono a quelle parole che già ti venivano fuori dal cuore indurito dalla fatica e dal dolore. E intanto il treno continuava a correre rotolando in curva e tu ci salisti, senza pensarci due volte. Memphis, Tennessee, e poi chissà, lontano dalla piccola casa di Dyess, dalla tua canna da pesca e dal ricordo di Jack, dalla luna sul Mississipi e dalla colpa che credevi di avere, dall’amore che non ricevesti mai. Inseguendo quelle maledette pastiglie bianche, la bocca piccola e i capelli bruni di June, per le arenas e le prigioni degli stati del Sud, la tua voce bassa e potente spiattellò senza controllo la libertà della miseria di chi ha solo una 44 Magnum e un paio di tiri di coca, poche lacrime quando le luci hanno perso il loro splendore o una bottiglia vuota che qualcun altro ha bevuto per sbronzarsi. La chitarra blu con la tracolla marrone imbracciata come un fucile, il sorriso ammiccante e l’impermeabile nero, il microfono acceso, il pubblico urla applaudendo, “Hello, I’m Johnny Cash!”.