I fondamenti religiosi della finanza islamica

 

di 

Riccardo Piroddi

 

 

Parte IV

Le banche islamiche: tra tradizione e innovazione

 

Le banche islamiche non sono quelle che operano esclusivamente nei paesi islamici o le loro filiali all’estero, ma (solamente) quelle banche che scelgono di agire, nel modo della finanza e del credito, nel rispetto assoluto dei precetti religiosi della Shari’ha, cioè la “via della salvezza, segnata da Dio e rivelata agli uomini dal Profeta”. A causa degli ingenti flussi finanziari che vengono scambiati tra il mondo islamico e quello occidentale, la finanza islamica, da realtà di nicchia, sta assumendo, a partire dalla fine degli anni sessanta e gli inizi degli anni settanta, un ruolo significativo nella finanza mondiale, sia sul piano qualitativo, che sul piano quantitativo. Si è già analizzato come tutto l’edificio della finanza islamica si regga sul concetto del divieto di riba e della pratica dell’interesse bancario: “Dio ha proibito il riba (Corano, II, 275) e quel che voi prestate a riba, perché aumenti sui beni degli altri, non aumenterà presso Dio”. Il riba (etimologicamente: aumento, accrescimento), quindi, non rappresenta soltanto un semplice divieto, ma assume il significato di principio religioso, etico e sociale, fondante la solidarietà, che ispira tutta la società islamica. La scelta degli intermediari bancari, per la raccolta del risparmio e per la concessione del credito, è diventata un passaggio obbligato per operare nel rispetto della legge coranica. Le banche islamiche, quindi, consentono di coniugare i vantaggi collettivi con il rispetto delle prescrizioni religiose: ne è esempio il contratto di assicurazione, che viene trasformato in mutualità collettiva, anche se alcune scuole di diritto coranico continuano a sollevare perplessità sull’elevato grado di incertezza. Come è intuibile, nella finanza islamica non trovano alcuna cittadinanza gli strumenti finanziari derivati, a causa della loro eccessiva volatilità e del disancoraggio dagli asset concreti, visibili e tangibili, dell’economia reale. Ciò non ha impedito, anzi favorito, l’espansione della finanza islamica in alcune capitali occidentali, già citate in articoli precedenti, e anche in Svizzera, dove sono proliferati gli sportelli del maggior gruppo bancario islamico mondiale, il saudita Dar al-Mal al-Islami, che ha la sede operativa a Ginevra. Anche se il motivo del ricorso alla finanza islamica, da parte degli occidentali, non va riferito certo alle virtù salvifiche dell’agire religioso, ma ad una particolare modalità di investimento, collegate alle comunità islamiche presenti nelle realtà europee, le cui rimesse sono in costante crescita, tanto da costituire una quota rilevante dei flussi finanziari verso i paesi di origine (alle rimesse ufficiali, tramite i canali in chiaro, vi sono rimesse non registrate, per un importo totale doppio, che transitano attraverso canali informali, secondo le regole non scritte dalla hawala). La hawala è la transazione più informale della finanza islamica. Si realizza quando un migrante si rivolge ad un intermediario (in genere, il titolare di un esercizio commerciale della stessa comunità etnica e religiosa), il quale regola la transazione sulla base della compensazione periodica del saldo complessivamente trasferito. Non vi è passaggio di denaro, ma l’assicurazione, sulla parola, dell’intermediario sulla consegna del denaro a destinazione, che avviene attraverso una fitta rete di fiduciari, presenti sul territorio di origine. Su questo segmento operativo, al fine di evitare il finanziamento occulto di movimenti fondamentalisti, sta diventando alta la guardia delle autorità di sicurezza occidentali. Man mano che la finanza islamica si afferma anche in occidente, molti studiosi tendono a stabilire analogie tra le banche islamiche e le nostre banche di credito cooperativo e le popolari, che mantengono un legame privilegiato tra i soci, con il fine, quasi mutualistico, dell’efficienza operativa. Le banche islamiche, sul mercato italiano, in futuro, potrebbero beneficiare, sia dal punto di vista normativo che organizzativo, proprio della grande esperienza maturata dalle banche di credito cooperativo e dalle banche popolari. Molti guardano al bacino del Mediterraneo allargato, come luogo di liberalizzazione del commercio e di associazionismo commerciale tra paesi europeo-mediterranei e paesi arabo-mediterranei, che trovi la sua leva protagonistica nella finanza islamica e nella cooperazione con le banche di credito cooperativo e banche popolari.  L’Italia è in grave ritardo su questo fronte, ma una politica finalizzata potrebbe far recuperare, in breve, il tempo perduto.

 

 

 

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