Breve storia dell’idea democratica nell’antichità

 

Parte I

 

 

Popolo e Re

Si racconta nell’apologo biblico pronunciato dall’alto del monte Garizim da Jotham, l’unico scampato alla strage dei settanta fratelli ad opera di Abimelech, che il popolo degli alberi si mosse “per crearsi un re”.
Dopo aver invano offerto la corona all’ulivo, al fico e alla vite, che non vollero rinunciare alla loro funzione naturale – cioè a produrre i frutti – esso si rivolse infine al rovo, pianta infruttifera (per l’uomo), invasiva e pestifera (per le altre): “Se in verità ungete me come vostro re – rispose questi – venite, rifugiatevi nella mia ombra: se no, esca un fuoco dal rovo e divori i cedri del Libano”.

 

Il rovo rappresenta Abimelech figlio della concubina di Gedeone, che ha usurpato il trono e al quale Javhè riservò infine il castigo, per non morire disonorato adopera di una donna che l’aveva pesantemente ferito al capo, di farsi passare a fil di spada dal proprio scudiero.
Si può a buon diritto definire democratica questa procedura per la scelta del re da parte del popolo delle piante?… Ma la corona non designa il governo di uno, in contrapposizione a quello dei molti, c’era la democrazia?
Non è difficle intravedere, dietro la vicenda dell’offerta popolare della corona (che potrebbe anche essere da noi interpretata nella prospettiva di un tipo di democrazia plebiscitaria rovesciata), quel patto fra re e cittadini che potrebbe rinviare all’alleanza fra Javhè e il popolo eletto, ma che, in forme diverse, si ritrova in genere alle origini della società politica nelle fonti più antiche, se non arcaiche; patto che sta alla base (giustificazioni sta) dell’autorità politica stessa. Potremmo, più in genere, parlare di teoria ascendente o consensuale del potere che si contrappone a quella discendente, sia essa trascendente (tutto il potere da Dio) o immanente (la tradizione avita alla base del potere legittimo e della sua trasmissione o le personali qualità carismatiche del leader, ecc.). Non pare scorretto, allora, definire la prima teoria come democratica perché, sulla base dell’uguaglianza e della libertà di tutti i titolari dell’autorità politica – e, dunque, di quella che verrà poi definita “sovranità popolare”, attribuita, ai “tutti” del popolo -, si procede ad una elezione-selezione di colui, o di coloro, a cui si chiede di esercitare il potere, cioè di governare (monarchia o, rispettivamente, aristocrazia o infine democrazia, secondo la più nota classificazione ellenica).
Più spesso, come vedremo, si presenta ulteriormente come democratica la procedura stessa, perché prevede un voto (popolare) a maggioranza per questa prima e primaria decisione sulla forma di governo.
Ma se come democratica viene assunta la teoria generale che sta alla base del potere – autorità (cioè del titolo della sovranità), perché lo legittima con il consenso, ben prima, logicamente, che vengano decisi i titolari investiti della funzione di esercitare il potere-autorità e le modalità di questo esercizio della sovranità, è chiaro, allora, che altro – pur analogo o affine – è il significato specifico e tecnico di quella forma di governo – cioè di esercizio del potere – che passa sotto il nome di “democrazia” (intesa, quindi, in senso stretto).
Democrazia, dunque, sia come titolarità del potere supremo (quella che nel corso dei secoli verrà definita, appunto, sovranità popolare) sia come esercizio effettivo dello stesso.
In breve: usiamo lo stesso termine – democrazia – sia per indicare quella teoria o dottrina del potere volta a giustificare il fondamento e l’origine (consensuali) da un lato, il fine generale implicito, dall’altro, del potere-autorità sia per designare la teoria o dottrina della forma di governo in senso stretto e specifico, con cui si intende l’esercizio del potere (e dunque, si designano coloro cui tale esercizio è affidato e i modi – le istituzioni, le procedure, le regole corrispondenti – in una parola, il sistema politico). Si tratta di due livelli di riflessione che, pur non antitetici, rivelano diverse fasi di sviluppo intellettuale: il primo rimanda ad una prospettiva filosofica ed ansi, più precisamente, metafisica, che, ponendosi il problema politico come problema di fondamento, di fondazione, di origine e di fine del potere dell’autorità, da questo fa derivare più o meno coerentemente i soggetti titolari del potere supremo stesso (Dio, la tradizione dinastica, la leadership carismatica, la comunità, ecc.): questa prospettiva indica contestualmente giudizi di valore (che per la democrazia si identificano con la libertà e l’uguaglianza dei soggetti componenti il popolo); il secondo, invece, opta per una prospettiva scientifica che, da Machiavelli in poi, portando l’attenzione sul fenomeno più vistoso della politica, il potere, di questo studia come – secondo quali leggi e regole – si conquista, si conserva e si perde e ad opera di chi e su chi: questa prospettiva, a differenza della precedente (prescrittiva), è descrittiva, proprio perché prescinde (almeno intenzionalmente e tendenzialmente) da qualunque criterio di valore (che non sia quello politico o della politica – in buona sostanza, del potere – inteso tuttavia in senso autoreferenziale). L’epilogo di tale seconda prospettiva si può storicamente trovare, oggi, nelle teorie elitistiche per le quali chi governa – cioè chi esercita effettivamente il potere – è (ritenuta) sempre una minoranza organizzata rispetto alla maggioranza che subisce in vari modi il comando politico, quale che sia non solo la corrispondente giustificazione o “formula politica”, ma anche la forma di governo – uno, pochi, molti (forma di governo che, così, perde la sua importanza tradizionale). Anche la democrazia – per l’elitismo – è contrassegnata da una minoranza governante, fondata sulla base – e attraverso il controllo – del consenso popolare. Quest’ultimo, in quanto strumento specifico di legittimazione, viene definito (come accennato) dagli elitisti (più precisamente da G. Mosca) “formula politica”, che, in tal modo, prende scientificamente il posto della giustificazione filosofico-metafisica propria della prima prospettiva ( riguardante, cioè, la fonte e il fondamento dell’autorità politica) e che noi abbiamo definito “teoria del potere”.
Ritorniamo ora all’episodio biblico. Abbiamo, anzitutto, un “popolo” (quello degli alberi) che “si muove” “per crearsi un re”: non vi è accennato, ma si può presumere un dibattito in una assemblea che precede l’offerta della corona. Siamo, comunque, in presenza di una implicita (deliberazione) scelta popolare in favore della forma di governo monarchica; c’è, quindi, una seconda fase, quella più empirica della ricerca – e della investitura – del soggetto cui affidare l’esercizio del governo.

 

 

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