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Api
Dalle api dipende il nostro destino. Dalle cose microscopiche i fatti epocali, la Storia. Che terribile, superba metafora, vi pare? Si spezza un’unghia, scricchiola una vertebra, un dente si caria. E dopo viene giù tutto. Malgrado le pomate, la ginnastica, tonnellate di fluoro. Tutto quanto. Come sono vani. I nostri piccoli, miseri, astuti accorgimenti, dico. La nostra prudenza ancora così piccolo-borghese. E, ugualmente, niente che possa impedire ai ghiacci di sciogliersi. Niente che trattenga una slavina dal travolgerci. Ho imparato che più si è cauti più si soffre. Più si risparmia agli altri il ritratto di noi che marcisce in soffitta, più gli altri ci verranno a cercare proprio in quella soffitta. Perché chi vince davvero è colui che non tradisce se stesso, che non commette passi falsi. Ma come si fa? Io ad esempio inciampavo. E molto. Inciampavo negli altri, nella loro indifferenza, nella loro schiena. Alla quale bussavo con colpi furibondi. Inascoltato. I loro piedi d’argilla non li volevo vedere, non li potevo accettare. Anelavo alla loro superficie rifiutandone il sottosuolo, la corruzione. Ed ero supremamente cauto. E scaltro. E truffaldino. Ma non è bastato. Perché alla fine ciascuno ha un proprio orrore privato, una propria scia di rovine e sangue. Una propria solitaria carneficina. Cadaveri fatti a pezzi, sepolti da qualche parte in giardino. E api. Cui abbiamo impedito di nidificare. Che abbiamo appestato. Senza provare alcun sentimento.