Archivi autore: Riccardo Piroddi

La Costituzione degli Ateniesi di Aristotele

Oltre la storia, oltre la democrazia

 

 

 

La Costituzione degli Ateniesi di Aristotele è un’opera fondamentale che offre uno spaccato dettagliato e critico della vita politica di Atene, risalente al IV secolo a.C. Nonostante la sua attribuzione ad Aristotele sia stata a lungo dibattuta, il testo resta un esempio pregevole di analisi politica e storica nell’antica Grecia.
L’opera, nella sua struttura attuale, si articola in due sezioni principali: la prima, di carattere storico-istituzionale, comprende i capitoli da I a XLI ed esamina le diverse fasi evolutive della costituzione ateniese, a partire dal processo contro gli Alcmeonidi fino al 403 a.C. La seconda sezione, di natura descrittiva, si focalizza sulle istituzioni della polis, esplorando temi quali i criteri per l’acquisizione della cittadinanza, le magistrature e i sistemi giudiziari. Il manoscritto inizia con una parte mancante e, basandosi su citazioni indirette, si presume che Aristotele abbia iniziato il discorso dal sinecismo di Teseo, anche se, nella versione giunta a noi, la narrazione inizia con il processo ai seguaci di Cilone, per poi trattare la costituzione pre-draconiana (cap. 3), i risultati delle riforme di Dracone (cap. 4-5), Solone, con estese citazioni dalle sue elegie, la tirannide di Pisistrato e dei suoi figli (cap. 6-19), Clistene (cap. 21) e le riforme fino alla restaurazione di Trasibulo, fornendo resoconti talvolta in contrasto con quelli di Senofonte e presentati in una chiave decisamente moderata.
Nel capitolo 41, dopo aver rilevato che i cambiamenti costituzionali dal tempo di Ione sono stati undici, si approfondisce l’analisi del regime ateniese. Qui, il termine politeia non si riferisce a una costituzione formale, ma, seguendo l’accezione platonica, denota l’organizzazione del governo, includendo un’ampia digressione sugli arconti. L’opera si conclude in modo abrupto al capitolo 69, con l’esposizione delle procedure dello scrutinio pubblico.

Il testo, unico sopravvissuto di una collezione più ampia che esaminava le costituzioni di 158 stati della polis greca, consegna un’analisi meticolosa delle leggi e delle istituzioni ateniesi. In particolare, Aristotele descrive la transizione di Atene da un governo monarchico a una democrazia complessa, attraverso varie fasi di oligarchia e tirannide. Ciò fornisce non solo un contesto storico ma anche una riflessione sulle dinamiche del potere e sulla lotta tra differenti classi sociali.
Aristotele esamina il funzionamento delle istituzioni democratiche, come l’Ecclesia (l’assemblea del popolo), il Consiglio dei Cinquecento e i vari tribunali popolari, sottolineando sia le loro virtù che le vulnerabilità. Attraverso questo esame, il filosofo critica alcuni aspetti della democrazia ateniese, come la tendenza alla demagogia e il rischio di corruzione, offrendo così una riflessione ancora attuale sulle fragilità delle strutture democratiche.
Dal punto di vista filosofico, l’opera si inserisce nel più ampio dibattito platonico-aristotelico riguardo la forma ideale di governo. Aristotele, a differenza di Platone, mostra una preferenza per le forme costituzionali miste, che equilibrano elementi di democrazia, oligarchia e monarchia, suggerendo che la stabilità politica si ottenga meglio attraverso un equilibrio tra le varie forze sociali. L’analisi dettagliata delle leggi e delle istituzioni permette ad Aristotele di elaborare una teoria della giustizia distributiva, fondamentale per la sua visione etica e politica. Egli argomenta che la legge deve servire a distribuire equamente sia i doveri che i benefici tra i cittadini, fondamento per una società equa e armoniosa.
La Costituzione degli Ateniesi, quindi, non è solo un testo di inestimabile valore storico, ma anche una riflessione profonda sui principi di giustizia, equità e potere. Aristotele, con la sua abilità di osservatore e critico delle realtà politiche, fornisce strumenti di analisi che superano i confini temporali e geografici, quasi interpellando lettori e studiosi interessati alla filosofia della legge e della politica. Quest’opera rimane, pertanto, un punto di riferimento essenziale per chiunque desideri comprendere non solo la storia politica di Atene, ma anche le dinamiche persistenti nelle strutture di potere e nelle società democratiche.

 

 

 

Alfonso Iaccarino, Dottore in Scienze dell’educazione
degli adulti e della formazione continua

 

 

 

Chi mi segue sui miei vari canali social sa che quando tratto questioni di famiglia intingo sempre la penna nel calamaio del mio cuore. Oggi, però, per celebrare il conferimento, da parte dell’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, della Laurea honoris causa in “Scienze dell’educazione degli adulti e della formazione continua” a mio zio Alfonso Iaccarino, voglio “istituzionalizzarmi”, consegnandovi un suo profilo nello stile usuale dei miei contenuti. Ecco a voi, allora (tra le tante qualifiche), il Dottore ad honorem Alfonso Iaccarino.

Alfonso Iaccarino, chef e proprietario del celeberrimo ristorante “Don Alfonso 1890” a Sant’Agata sui Due Golfi (Napoli), è una figura apicale e rappresentativa della cucina italiana. La sua carriera, che dura da cinquant’anni, è ancora contraddistinta da un costante impegno per l’eccellenza, l’innovazione e la valorizzazione della tradizione culinaria mediterranea.
Proveniente da una famiglia di albergatori e ristoratori, ha ereditato la passione per la cucina dai genitori. Con la moglie Livia ha fondato il ristorante di famiglia, il “Don Alfonso 1890”, diventato un vero e proprio punto di riferimento per la gastronomia nazionale e internazionale.
La filosofia culinaria di Iaccarino si basa su tre principi fondamentali: la qualità degli ingredienti, il rispetto per la tradizione e l’innovazione. La sua cucina è un tributo alla dieta mediterranea, con l’utilizzo di ingredienti freschi e di stagione, provenienti dalla sua azienda agricola biologica, “Le Peracciole”.
Pioniere delle pratiche sostenibili nella ristorazione di lusso e innovatore tecnologico, Iaccarino ha adottato tecniche avanzate e strumenti di precisione per esaltare i sapori naturali degli elementi e creare piatti anche esteticamente perfetti.
Sotto la sua guida, oggi affiancato dai figli Ernesto in cucina e Mario in sala, e dall’imprescindibile moglie Livia, il “Don Alfonso 1890” offre un’esperienza culinaria completa, curata in ogni dettaglio, per coinvolgere tutti i sensi, tanto da rendere il ristorante unico nel suo genere.
Iaccarino ha inoltre sempre investito molto nella formazione delle nuove generazioni di chef, promuovendo una cultura culinaria di eccellenza e, attraverso corsi e collaborazioni internazionali, ha diffuso la sua filosofia culinaria nel mondo.
Riconosciuto globalmente con numerosi premi, il “Don Alfonso 1890” è certamente uno dei ristoranti italiani più rinomati a livello mondiale.
Alfonso Iaccarino non è solo uno chef, ma un innovatore e un ambasciatore della cucina italiana. La sua capacità di combinare tradizione e innovazione ha elevato gli standard della ristorazione di lusso, prediligendo sostenibilità e autenticità e continuando a ispirare e influenzare le future generazioni di chef e appassionati di buona cucina. E, da oggi, Alfonso Iaccarino è anche dottore in Scienze dell’educazione degli adulti e della formazione continua!

 

 

 

La comunicazione politica nell’era delle nuove tecnologie
e dell’AI


di Riccardo Piroddi

 

 

In anteprima, la prefazione dell’on. prof. Raffaele Lauro al volume,
in uscita a settembre 2024, per i tipi di Eurilink University Press

 

 

La comunicazione politica nell’era delle nuove tecnologie e dell’AI di Riccardo Piroddi è un’opera che analizza, in profondità, le trasformazioni radicali che hanno investito la comunicazione politica negli ultimi decenni, influenzata dalla democratizzazione delle tecnologie digitali e dall’emergere dell’Intelligenza Artificiale (AI). E traccia, sapientemente, il percorso attraverso le diverse fasi della comunicazione politica, esaminando i cambiamenti nelle dinamiche tra politici, media e cittadini-elettori e documentando come le nuove tecnologie abbiano ridefinito le strategie e le modalità di interazione politica. L’opera presenta, da subito, le caratteristiche del manuale. La manualistica costituisce un genere letterario e tecnico essenziale, che funge da ponte tra la teoria e la pratica, offrendo ai lettori istruzioni chiare e precise su come utilizzare strumenti o apprendere determinate competenze. Per comprendere a fondo la progressione concettuale e argomentativa in questo tipo di testi, è necessario valutare, seppur brevemente, i vari elementi che contribuiscono alla loro efficacia. La prima sezione di un manuale è cruciale, perché stabilisce il contesto e le aspettative del lettore. L’autore vi introduce l’argomento, definisce il pubblico di riferimento e delinea gli obiettivi principali del testo, creando, così, una base solida, su cui costruire il resto della trattazione. Un aspetto fondamentale della manualistica, quindi, è costituito dalla sua struttura chiara, generalmente suddivisa in capitoli o sezioni, ciascuno dei quali copre un argomento specifico, facilitando la “navigazione” e consentendo al lettore di trovare rapidamente le informazioni necessarie. La progressione degli argomenti, pertanto, segue una sequenza logica, che facilita l’apprendimento. Si parte generalmente dalle nozioni più semplici e fondamentali per arrivare, gradualmente, a concetti più complessi e specifici. Tale metodo incrementale aiuta il lettore a costruire una comprensione solida di base, prima di affrontare temi più avanzati. Il linguaggio utilizzato nella manualistica deve essere netto, diretto e privo di ambiguità. La precisione diventa fondamentale per evitare malintesi che potrebbero portare a errori nell’applicazione delle istruzioni. La progressione concettuale viene predisposta per guidare l’utente attraverso un percorso di apprendimento intellegibile e ben strutturato. Ogni elemento risulta attentamente calibrato per facilitare la comprensione e l’applicazione pratica delle informazioni fornite. Tale approccio sistematico consente al lettore di poter acquisire nuove competenze, in modo efficace e senza frustrazione.
In La comunicazione politica nell’era delle nuove tecnologie e dell’AI, Riccardo Piroddi riesce ad articolare abilmente una narrazione che parte dalle origini della comunicazione politica, passando attraverso le sue trasformazioni epocali, fino a giungere ai più recenti sviluppi nel panorama contemporaneo. Con abilità, conduce il lettore in un viaggio nel tempo, illustrando come la comunicazione politica sia stata una forza motrice di libertà e di sviluppo nelle epoche storiche più recenti. Dalle prime forme di propaganda all’uso dei mezzi di stampa, fino all’era delle trasmissioni radiofoniche e televisive, fino alla rivoluzione digitale, ogni fase viene analizzata in modo approfondito e contestualizzato. Ciascun capitolo costituisce un tassello che contribuisce a costruire un quadro esaustivo e coerente, fornendo una comprensione completa delle dinamiche e delle strategie che hanno plasmato il modo in cui la politica comunica con il pubblico, evidenziando, soprattutto, come le innovazioni tecnologiche in atto abbiano rivoluzionato i metodi di comunicazione, trasformando il messaggio politico in un potente strumento di persuasione e di mobilitazione.
Piroddi non si limita a una mera descrizione storica, ma entra nel merito delle tecniche e degli strumenti utilizzati, mostrando come l’avvento dei social media e delle piattaforme digitali abbia radicalmente cambiato le modalità di interazione tra i leader politici e i cittadini. L’analisi delle campagne elettorali più recenti, delle strategie di marketing politico e della gestione delle crisi mediatiche offre al lettore, in tal modo, uno scenario, attuale e dettagliato, dei meccanismi contemporanei. Ogni capitolo risulta arricchito da esempi concreti e casi di studio, che permettono di comprendere meglio le teorie esposte. Non si tratta di una semplice cronologia degli eventi, ma di riflessioni critiche sui cambiamenti nei contenuti e nelle modalità della comunicazione politica.
La capacità di adattamento dei messaggi politici ai mezzi di comunicazione emergenti viene esaminata con acume, mettendo in luce come ogni fase storica abbia portato con sé un insieme di sfide e di opportunità innovative. Attraverso un’analisi dettagliata, Piroddi mostra come l’evoluzione dei media, dai giornali alla radio, dalla televisione all’era digitale, abbia influenzato il modo in cui i politici comunicano con il pubblico e con gli elettori.
Ad esempio, l’introduzione della stampa ha permesso la diffusione di pamphlet e giornali che hanno reso possibile un dibattito politico più ampio e accessibile, come evidenziato da Jürgen Habermas nella sua teoria della sfera pubblica. Con l’avvento della radio, si è assistito a una personalizzazione della comunicazione politica, fenomeno ben documentato da Paul Lazarsfeld e da Robert Merton, che, nel loro saggi sugli effetti della radio sulla propaganda politica, hanno evidenziato l’importanza della voce e della personalità, anche estetica, dei leader. L’introduzione della televisione ha ulteriormente trasformato la comunicazione politica, come approfondito da Marshall McLuhan, il quale, nella sua celeberrima opera Understanding Media, ha coniato la famosa frase “il medium è il messaggio”. McLuhan sostiene, infatti, che la televisione, con la sua capacità di trasmettere immagini visive, abbia alterato profondamente la natura della comunicazione politica e la ricerca del consenso, dando maggior rilievo all’immagine e alla presenza fisica, e persino all’abbigliamento e alla gestualità, dei politici.
Con l’avvento di Internet e dei social media, la comunicazione politica ha subìto un’altra radicale, quanto inizialmente imprevedibile, trasformazione. Andrew Chadwick e Jennifer Stromer-Galley, nelle loro opere sulla politica digitale, hanno sondato come le piattaforme social abbiano cambiato le dinamiche di interazione tra politici ed elettori, rendendo la comunicazione immediata e bidirezionale. La teoria del “Networked Public Sphere” di Yochai Benkler, inoltre, ha evidenziato, come Internet abbia prodotto una democratizzazione dell’informazione, consentendo a un numero sempre maggiore di individui di partecipare al dibattito pubblico. Piroddi sottolinea, appunto, come l’introduzione di nuovi media abbia non solo cambiato la forma e il contenuto dei messaggi politici, ma anche modificato le dinamiche del potere e della partecipazione democratica. Ad esempio, se l’avvento della televisione ha enfatizzato l’importanza dell’immagine e della personalità del candidato, l’era digitale ha portato alla ribalta la comunicazione istantanea e la possibilità di un’interazione diretta con gli elettori attraverso i social media. Questa trasformazione continua merita di essere esaminata non solo dal punto di vista tecnologico, ma anche sociale e culturale. Piroddi, difatti, indaga come i vari gruppi demografici abbiano risposto ai cambiamenti nei mezzi di comunicazione e come i politici abbiano dovuto adattare i loro messaggi per raggiungere efficacemente questi diversi segmenti di elettorato. Viene analizzato anche l’impatto della globalizzazione e come la comunicazione politica non sia più confinata nei limiti geografici di un singolo paese, ma debba considerare anche una platea globale. Inoltre, riflette criticamente sull’etica della comunicazione politica nell’era dei nuovi media, affrontando la questione della disinformazione e delle fake news e come questi fenomeni rappresentino nuove e allarmanti sfide per la trasparenza e l’integrità del processo democratico. Autentiche minacce per la stabilità delle istituzioni rappresentative e per rapporto di rappresentanza tra cittadini ed eletti. Nel contesto dei social media, Piroddi fa riferimento, in particolare, al concetto di echo chamber, descritto da Cass Sunstein, per il quale gli individui tendono a esporsi solo a informazioni e opinioni che confermano le loro convinzioni preesistenti, rafforzando polarizzazioni e divisioni. Questo fenomeno rappresenta una delle sfide più critiche per la comunicazione politica contemporanea, in quanto ostacola il dialogo e il confronto tra le diverse posizioni.
Questo “manuale”, quindi, si distingue per la capacità di collegare teoria e pratica. Piroddi combina una solida base teorica con esempi pratici e casi di studio, rendendo il libro accessibile non solo agli studiosi e agli studenti di scienze politiche e comunicazione, ma anche a un pubblico più ampio, interessato a comprendere le dinamiche del potere e dell’influenza politica. Ogni esempio pratico è scelto con accuratezza, per illustrare concetti chiave e per evidenziare le strategie comunicative che hanno avuto successo o che hanno fallito, fornendo lezioni preziose per i futuri comunicatori politici. Gli esempi spaziano da campagne elettorali di rilevanza storica a recenti eventi politici, consegnando una panoramica completa delle tecniche di persuasione e delle tattiche retoriche impiegate nei vari contesti. Ad esempio, si analizza la campagna elettorale di Barack Obama del 2008, che è stata rivoluzionaria per l’uso dei social media e del micro-targeting. La strategia di Obama ha sfruttato piattaforme, come Facebook e Twitter, per coinvolgere gli elettori giovani e creare un senso di comunità. La campagna ha utilizzato i big data per inviare messaggi personalizzati agli elettori, basati sulle loro preferenze e comportamenti online, mostrando come la tecnologia possa essere un potente alleato nella comunicazione politica. Il manuale affronta anche diverse tematiche cruciali, come il ruolo dei media nella formazione dell’opinione pubblica, l’influenza delle campagne sui social media, e le tecniche di framing utilizzate per modellare le narrazioni politiche. Ogni caso di studio è analizzato in profondità, evidenziando non solo gli aspetti vincenti, ma anche gli errori strategici che hanno portato ad esiti negativi. Questo approccio critico, dunque, permette ai lettori di sviluppare una comprensione più raffinata e completa delle dinamiche comunicative.
Non limitandosi a illustrare teorie astratte, Piroddi le collega direttamente alle pratiche quotidiane di chi opera nel campo della comunicazione politica. Vengono forniti strumenti pratici e metodologici per analizzare le campagne politiche, per valutare l’efficacia dei messaggi e per progettare strategie di comunicazione che siano, sia etiche che incisive. Questa integrazione di teoria e pratica rende questo manuale indispensabile per chiunque voglia comprendere e operare nel mondo della comunicazione politica. Particolare attenzione è dedicata alle nuove tecnologie, più innovative, e ai loro impatti sulla comunicazione politica, come i big data, l’analisi predittiva e l’Intelligenza Artificiale, che stanno trasformando le modalità con cui i politici interagiscono con gli elettori e come queste tecnologie possano essere utilizzate per migliorare l’engagement e la personalizzazione dei messaggi. Ad esempio, nel libro è descritto come le campagne elettorali moderne utilizzino strumenti di analisi dei sentimenti per monitorare in tempo reale le reazioni del pubblico sui social media, permettendo di adattare rapidamente le strategie comunicative. Un altro esempio pratico riguarda l’uso della disinformazione e delle fake news nelle campagne politiche. Il caso analizzato delle elezioni presidenziali statunitensi del 2016 evidenzia come la diffusione di notizie false attraverso i social media abbia influenzato l’opinione pubblica americana. Piroddi vaglia le tecniche utilizzate per creare e diffondere queste informazioni e si interroga sulle implicazioni etiche e legali di tali pratiche. Piroddi, non da ultimo, affronta l’importante tema dell’etica nella comunicazione politica. Viene dedicato molto spazio alle questioni morali, esplorando i dilemmi che i comunicatori politici devono affrontare, offrendo loro delle linee guida su come gestire queste sfide in modo responsabile. Questo aspetto appare particolarmente rilevante in un’epoca in cui la disinformazione e le fake news sono diventate minacce pressanti.
Questo libro, orbene, costituisce una risorsa preziosa per chiunque voglia approfondire la conoscenza della comunicazione politica. La sua progressione concettuale, basica e logica, unita alla completezza delle argomentazioni e alla capacità di trattare temi innovativi, lo rende un contributo significativo nel campo degli studi politici e della comunicazione. Ed insieme una lettura indispensabile per comprendere appieno le trasformazioni storiche e i contenuti innovativi che hanno caratterizzato e continuano a caratterizzare questo settore cruciale della società moderna. L’opera invita il lettore a riflettere non solo sui mezzi e sui metodi della comunicazione politica, ma anche sulle implicazioni etiche e sociali di un mondo, in cui l’informazione e la persuasione giocano un ruolo sempre più centrale nelle dinamiche del potere. Questo aspetto è di fondamentale importanza, poiché viviamo in un’epoca in cui la velocità e la diffusione delle informazioni possono influenzare profondamente l’opinione pubblica e, di conseguenza, le decisioni politiche.
Un altro punto di forza della trattazione risulta l’analisi delle dinamiche di potere all’interno della comunicazione politica. Il testo si distingue per la sua capacità di svelare come il controllo dell’informazione possa essere utilizzato non solo per mantenere il potere, ma anche per influenzare le masse in modo sottile e pervasivo. Vi sono trattate, in particolare, le strategie attraverso cui i leader politici e i governi manipolano l’informazione per consolidare il loro potere, includendo l’uso selettivo delle notizie, la censura, la propaganda e la disinformazione. Viene evidenziato anche come la manipolazione dei media e delle piattaforme digitali possa modellare l’opinione pubblica, creando narrazioni che favoriscono chi detiene il potere. Tra le tecniche analizzate spiccano il gatekeeping (il controllo di quali notizie vengono diffuse e quali vengono soppresse); il framing (presentazione delle notizie in un modo che influisca sulla percezione del pubblico); l’agenda setting (l’abilità di stabilire quali temi diventino oggetto di discussione pubblica). Tali tecniche diventano fondamentali per comprendere il modo in cui le informazioni possano essere usate per indirizzare il dibattito pubblico e orientare le opinioni delle masse. Viene rivelato anche come il controllo dell’informazione non solo influisca sulle opinioni politiche, ma anche sulla percezione della realtà sociale. Le narrazioni costruite dai media possono creare immagini distorte della realtà, enfatizzando o minimizzando determinati aspetti della società. Il testo non solo denunzia queste dinamiche di potere, ma offre anche strumenti pratici per riconoscere e contrastare tali pratiche manipolative, nonché fornisce anche una guida dettagliata su come analizzare criticamente le informazioni e sviluppare un pensiero indipendente. Non limitandosi a un approccio teorico, Piroddi offre anche strumenti pratici per chi lavora nel campo della comunicazione politica, proponendo metodologie di analisi e suggerimenti per sviluppare campagne comunicative efficaci ed eticamente sostenibili. Questi consigli risultano utili non solo per i professionisti del settore, ma anche per chiunque desideri comprendere meglio le dinamiche comunicative che influenzano la politica odierna.
Un’altra significativa proposta risulta l’introduzione delle metodologie di analisi avanzate. Queste permettono ai professionisti di valutare l’efficacia delle loro campagne di comunicazione, identificare punti di forza e di debolezza, onde apportare modifiche strategiche basate su dati concreti. Tra le tecniche presentate, si rileva l’analisi del discorso, l’analisi dei contenuti e il monitoraggio dei social media, strumenti indispensabili per chi deve navigare il complesso panorama della comunicazione politica moderna. Il manuale, però, come in avanti già evidenziato, non si limita alla teoria e all’analisi, ma fornisce anche suggerimenti pratici per sviluppare campagne comunicative di successo. Viene esplorato il processo di pianificazione delle campagne, dalla definizione degli obiettivi alla selezione dei canali di comunicazione più appropriati. Inoltre, vengono presentate strategie per la creazione di messaggi chiari e persuasivi, capaci di raggiungere e coinvolgere diversi segmenti di pubblico. Un elemento distintivo riguarda l’attenzione rivolta all’etica nella comunicazione politica. In un’epoca in cui la disinformazione e le notizie false sono all’ordine del giorno, il testo sottolinea l’importanza di garantire standard etici elevati. Viene discusso, pertanto, come sviluppare campagne che risultino non solo efficaci, ma anche trasparenti e rispettose dei principi democratici. Questo aspetto diventa fondamentale per costruire e mantenere la fiducia del pubblico. I consigli (e le metodologie) sviluppati sono pensati per essere utili a un’ampia gamma di lettori. I professionisti della comunicazione politica vi troveranno la conferma di strumenti avanzati per migliorare il loro lavoro, mentre gli studenti e gli appassionati del settore potranno acquisire una comprensione più profonda delle dinamiche comunicative che influenzano la politica contemporanea. Anche chi non lavora direttamente nel settore, quindi, potrà trarre beneficio dalla lettura, sviluppando una maggiore consapevolezza critica rispetto ai messaggi politici che riceve quotidianamente.
Per entrare nel merito dei contenuti, il manuale è suddiviso in undici capitoli, ciascuno dei quali affronta un aspetto specifico della comunicazione politica.
1. Le diverse generazioni della comunicazione politica
Introduce le generazioni della comunicazione politica, dal contatto diretto tra politici e cittadini, all’era della televisione, fino all’attuale epoca digitale. Viene illustrata l’evoluzione storica della comunicazione politica e come ciascuna generazione abbia influenzato le dinamiche di interazione tra politici e opinione pubblica.
2. I protagonisti e le fasi della comunicazione politica
Esamina il ruolo del sistema politico, dei media e dei cittadini-elettori nelle diverse fasi storiche della comunicazione politica, delineando, altresì, le funzioni e le interazioni tra i tre protagonisti fondamentali della comunicazione politica, descrivendo opportunamente le principali fasi storiche che hanno segnato l’evoluzione del rapporto tra politica e comunicazione.
3. La comunicazione politica tradizionale
Analizza i metodi tradizionali di comunicazione politica, caratterizzati da una comunicazione unidirezionale e mediata, focalizzandosi su come i messaggi politici venivano veicolati attraverso i media tradizionali, quali stampa e televisione, e il ruolo dei gatekeeper nel controllo e nella diffusione delle informazioni politiche.
4. Evoluzione della comunicazione politica mediatica
Approfondisce il passaggio dalla comunicazione statica a quella dinamica, grazie alla moltiplicazione dei canali televisivi e all’avvento di Internet. Viene discussa la transizione dal modello di comunicazione centralizzato e controllato a uno più frammentato e interattivo.
5. Dal sito internet al blog
Studia l’evoluzione della comunicazione politica online, dal sito web al blog. È illustrato come la creazione di contenuti su piattaforme personali abbia trasformato il modo in cui i politici comunicano con il pubblico e come i blog siano diventati strumenti potenti per il dibattito politico e la diffusione delle idee.
6. Dal blog al social network site
Esplora l’impatto dei social network sulla comunicazione politica, vagliando piattaforme come Facebook, Twitter (o X), YouTube, Instagram, TikTok e LinkedIn. Viene approfondito il ruolo dei social media nella creazione di comunità virtuali, nella mobilitazione politica e nell’influenzare l’opinione pubblica.
7. La comunicazione politica e il web writing
Sviluppa le tecniche di scrittura per il web, applicate alla comunicazione politica. Si discute come la scrittura digitale differisca da quella tradizionale e come le tecniche di web writing possano essere utilizzate per creare contenuti politici, efficaci e coinvolgenti.
8. La nuova comunicazione politica
Illustra le caratteristiche della comunicazione politica moderna, interattiva e partecipativa, e le sue implicazioni per la democratizzazione dell’informazione e la polarizzazione del dibattito pubblico. Viene esposto come la comunicazione immediata e non filtrata sui social media abbia cambiato il panorama politico e le dinamiche del dibattito pubblico.
Le nuove strategie di comunicazione politica
Espone e spiega le strategie moderne di comunicazione politica, inclusa la micro-targetizzazione, l’impatto delle fake news e il ruolo degli influencer. Ed esamina come i politici utilizzino tecniche avanzate di marketing digitale per raggiungere e mobilitare gli elettori e come la disinformazione e le fake news rappresentino una minaccia per la democrazia.
10: La comunicazione politica e l’AI
Partendo da una panoramica storica sull’Intelligenza Artificiale, scandaglia le sue origini e i principali sviluppi che l’hanno portata a diventare una componente cruciale della moderna comunicazione politica. È tracciato il percorso dalle prime teorie sull’AI fino agli avanzamenti tecnologici contemporanei, illustrando come sia passata da una fase sperimentale a un elemento integrato nei processi di analisi e di strategia politica.
L’AI è descritta come una tecnologia che utilizza algoritmi di machine learning per analizzare grandi quantità di dati, individuare pattern e fare previsioni. Le sue applicazioni spaziano dall’analisi dei sentimenti sui social media alla profilazione degli elettori, consentendo una comprensione più approfondita delle tendenze elettorali e dei comportamenti dei votanti. Prosegue, poi, approfondendo le principali applicazioni dell’AI nella comunicazione politica contemporanea. L’AI permette di raccogliere e analizzare enormi volumi di dati provenienti da diverse fonti, come sondaggi, social media e registri elettorali. Gli algoritmi di machine learning possono identificare tendenze e pattern che sarebbero impossibili da individuare manualmente. Grazie alla capacità di profilare gli elettori in base a comportamenti e preferenze, l’AI consente campagne di micro-targeting altamente personalizzate. I messaggi politici possono essere adattati a segmenti specifici dell’elettorato, aumentando l’efficacia delle campagne elettorali. L’AI viene utilizzata anche per creare chatbot, che interagiscono con gli elettori in tempo reale, rispondendo a domande, fornendo informazioni sui candidati e le loro politiche, e raccogliendo feedback. Gli algoritmi di AI possono analizzare i sentimenti espressi nei post sui social media, nei commenti e negli articoli di news, fornendo ai politici una visione immediata di come vengono percepiti dal pubblico e quali sono le tematiche più sensibili. Approfondisce, altresì, l’integrazione dell’AI nella comunicazione politica, mostrando i benefici e le criticità che ne derivano. L’AI permette una personalizzazione estrema dei messaggi politici, adattandoli alle esigenze e ai bisogni specifici di diversi segmenti dell’elettorato. Questa capacità di personalizzare i contenuti aiuta a creare una connessione più forte e diretta con gli elettori. L’utilizzo dell’AI, quindi, aumenterà l’efficienza delle campagne elettorali, consentendo di indirizzare le risorse in modo più preciso, ottimizzando i messaggi per massimizzarne l’impatto. Piroddi non si limita a trattare dei benefici, ma affronta, in maniera problematica, anche i rischi associati all’uso dell’AI nella politica, come la manipolazione dell’opinione pubblica, la diffusione di fake news e la creazione di echo chambers, che polarizzano ulteriormente il dibattito politico. Un altro aspetto cruciale trattato riguarda la questione aperta e, allo stato, oggetto di polemiche scientifiche, destinate ad intensificarsi, sulle implicazioni etiche e sulle minacce derivanti da un utilizzo letale, anche sul piano bellico, dell’AI. Piroddi, responsabilmente, invoca l’urgente e irrinunciabile bisogno di regolamentare, in maniera efficace, sul piano nazionale e internazionale, la “rivoluzione” in atto dell’AI, affinché venga impiegata in modo trasparente e responsabile, evitando abusi, sopraffazioni, anche della criminalità organizzata, e proteggendo la privacy dei cittadini.
11. Conclusioni
Riporta le riflessioni finali di Piroddi sul futuro della comunicazione politica nell’era digitale. Viene sottolineata l’importanza di un uso etico e responsabile delle nuove tecnologie nella politica e la necessità di promuovere una partecipazione democratica più inclusiva e informata.
Riassumendo, questo saggio-manuale costituisce una guida essenziale per chiunque voglia comprendere le complesse interazioni tra politica e comunicazione. Attraverso un’analisi dettagliata e rigorosa, offre una visione approfondita e sfaccettata di un campo in continua evoluzione, mettendo in luce le dinamiche che governano la comunicazione politica, nei contesti locali e globali. Non si limita a descrivere gli aspetti teorici della materia, ma fornisce anche strumenti pratici per analizzare criticamente il panorama politico contemporaneo. Grazie a esempi concreti, case studies e un ricco apparato di riferimenti bibliografici, inseriti alla fine di ciascun capitolo, il lettore viene accompagnato in un percorso di apprendimento che lo rende capace di decifrare i messaggi politici, riconoscere le strategie comunicative e comprendere l’impatto dei media sulla formazione dell’opinione pubblica. Uno degli aspetti più rilevanti di questo pregevole lavoro di Piroddi risulta la sua capacità di stimolare la riflessione e il dibattito. Le questioni affrontate, infatti, vengono trattate con un approccio multidisciplinare che abbraccia la sociologia, la psicologia, la scienza politica e gli studi sui media, offrendo così una comprensione completa e integrata del fenomeno, con un invito al lettore a interrogarsi sulle proprie percezioni e a sviluppare una consapevolezza critica delle informazioni ricevute, diventando un osservatore più consapevole e un partecipante più informato del discorso politico: in sintesi, una partecipazione attiva e un pensiero critico, come strumenti fondamentali per una cittadinanza responsabile. In un’epoca caratterizzata da una sovrabbondanza di informazioni e da una crescente polarizzazione politica, la capacità di distinguere tra informazione e disinformazione diventa cruciale, per il futuro stesso della democrazia.
Ecco perché l’opera di Riccardo Piroddi si rivolge ad un pubblico ampio, comprendendo studenti e studiosi di scienze sociali e della comunicazione, nonché professionisti del settore politico e mediatico, ma anche, e soprattutto, i cittadini interessati a migliorare la propria comprensione delle dinamiche politiche. Il linguaggio chiaro e accessibile, unito alla profondità dell’analisi, la rende un prezioso strumento educativo e formativo, a livello generale, in quanto, arricchisce il lettore di conoscenze e lo trasforma in un soggetto attivo e consapevole, capace di navigare con cognizione di causa nel complesso mondo della politica e della comunicazione. Un’opera che merita di essere letta, studiata e discussa, in quanto rappresenta un contributo significativo al dibattito contemporaneo sulla politica, i media e il futuro, tanto precario, delle democrazie occidentali.

 

 

 

Giuseppe Parini e i “giovin signori” di oggi

 

 

 

 

Giuseppe Parini è stato certamente stato il più frizzante degli illuministi milanesi, colui il quale sferzò, con la sua ironia, la classe nobiliare della Lombardia “austriaca” della seconda metà del ’700. qNella sua opera più celebre, Il Giorno, narra, in versi endecasillabi, la tipica giornata del “giovin signore”, l’esemplare esponente del patriziato milanese, dal risveglio a tarda mattina fino al rientro a casa a notte fonda. L’Autore funge da “precettor d’amabil rito”, com’egli stesso si definisce, sempre pronto a mostrare al suo signore i trucchi e i modi per riempire, con stuzzicanti e coinvolgenti avventure, i tanti momenti di noia. L’opera è un capolavoro insuperato di umorismo. Parini, d’altronde, conosceva bene gli ozi e le abitudini della nobiltà milanese, secondo quello stile di vita condensato nell’adagio “vizi privati e pubbliche virtù”, perché l’aveva frequentata a lungo, quando era stato precettore presso le aristocratiche famiglie dei Serbelloni e degli Imbonati. Emerge, quindi, un ritratto sì caricaturale, ma rispondente al vero. Tutto è teso alla presa in giro e alla messa alla berlina dei nobili e dei loro stravaganti modi di vivere. Finanche il linguaggio, il cui uso è così volutamente fine e ricercato, denso di metafore fascinose e richiami mitologici dal sapore barocco, in modo da risultare spesso comico, serve alla causa. La critica di Parini (immagine a destra) al mondo nobiliare non è stata, però, soltanto distruttiva. Non semplice disapprovazione o preconcetta avversione: egli sperava che i nobili la smettessero di vivere da parassiti e partecipassero attivamente alla vita sociale, che si impegnassero in politica e, forti della loro posizione e della loro ricchezza, contribuissero a migliorare la società. Il portato di queste riflessioni è più attuale che mai, oggi, che si sta facendo un gran parlare di caste e presunta negligenza dei politici.

 

Pubblicato il 22 luglio 2011 su www.caravella.eu

 

 

 

Geopolitics: a Philosophical Approach

 

 

 

These my brand-new reflections on geopolitics present it as a philosophical field, emphasizing the influence of geography on political strategies and the impact of geopolitical actions on collective identities and human conditions. It integrates classical philosophical thoughts on power and State acts, aiming to deepen the understanding of nations’ strategic behaviours and ethical considerations. This reflective approach seeks to enhance insights into global interactions and the shaping of geopolitical landscapes.

 

Geopolitics and Philosophy

Part I

 

It is essential to clarify from the outset the following: this discussion treats philosophy and geopolitics as if they were monolithic entities, which they decidedly are not. Therefore, let us immediately define our points of reference: the geopolitical perspective referred to here can be termed “geopolitical humanism,” found in key journals and think tanks; philosophically, it aligns with the thought of Hegel.
Further clarification is necessary: unlike philosophical orthodoxy, which is quick to excommunicate those who engage with thoughts of others through a “cut and sew” approach—selecting the admirable elements, adding parts, and discarding the rest to construct their thesis—we elevate such excommunication to a virtue. We adhere to the teachings of Alexandre Kojève who stated, “I was relatively unconcerned with what Hegel himself intended to convey in his book; I delivered a course on phenomenological anthropology using Hegelian texts, only expressing what I deemed to be the truth, disregarding what seemed erroneous in Hegel.”
We prefer this approach, extracting the valuable contributions of Hegel, the unparalleled genius from whom numerous thinkers and geopolitical analysts have inevitably drawn insight.
With this premise set, let us begin at the beginning. Geopolitics has become a ubiquitous term. Used either appropriately or inappropriately, praised or obstructed, it is undeniable that it has made significant inroads into public opinion, intellectual circles, and even the academic realm. For many, the explanation for its success is readily articulated: the proliferation of crises and chaos, the reshaping of the international order, and the emergence of new challenges among major powers raise questions to which geopolitics provides answers. However, this response is not adequate. We should first ask why similar success has not been observed for political science and international relations, or why economics, which once seemed sufficient to describe and predict the world’s course, is not appealed to in the same way.
Naïve critics of geopolitics—often belonging to the aforementioned disciplines—superficially attribute its success to media overexposure. This explanation is fundamentally flawed. It suggests exposure as the cause of success rather than its effect and fails to explain why the same principle does not apply to all disciplines that have enjoyed similar visibility.
Reducing the success of any discipline to the mediation of knowledge does a disservice to both humanity and scholarship. This mistake is due to a logical fallacy that imagines the worlds of media and civil society developing in parallel—as if the former is not included in the latter, as if it is not a representation of it.


The success of geopolitics can be explained differently. It addresses the distinctly human need (and often criticized) to understand the world’s full expressive range. The necessity to comprehend the entirety through a holistic approach; to know the whole from every possible angle. Geopolitics is not merely a specialized knowledge but a catalyst of knowledge, and its explanatory power (and thus its appeal) lies precisely in its ability to facilitate dialogue between specific knowledges to achieve a comprehensive representation of the whole. “Truth is the whole. However, the whole is merely the essence completing itself through its development.”
When geopolitics critiques economism, for instance, it is merely cautioning against the fallacy of specialized knowledge. Economics is not excluded from geopolitical analysis; rather, it is not elevated to the role of a deus ex machina of reality.
The need for philosophy and geopolitics arises when history ceases to progress inertly; when the present begins to show its age. When the Aufhebung is underway, humanity feels the need to drive change. It is at this juncture that these disciplines become indispensable: philosophy allows us to understand our own time through thought (as Hegel’s owl of Minerva, which takes flight at dusk, when the phase is just completed) and geopolitics, incorporating this understanding of the previous phase, seeks to determine the next phase based on this awareness.
Truth is the whole because the concrete is the entirety, while the abstract is the partial. Deceived by decades of scientism, we have internalized the notion that, contrary to fact, the concrete is found in the part, in the specificity, in the irreducible multiplicity of diversity which would negate any totality because such a totality would obliterate all heterogeneity “like a gunshot.” This ontological principle correlates with the methodological one, which finds its raison d’être in the experimental method: to isolate the part from the whole to understand its specificity and, from this, attempt to deduce universal laws. This stance is suitable for the natural sciences, but in human affairs, it can only contribute, not dominate. In the impersonality of nature, indeed, an accurate abstraction of the part from the whole can rightly be considered a faithful representation of the Whole itself, if it reproduces its properties. However, humanity has an ontological surplus that prevents such an approach. Consciousness and volition are inseparable from the place and time in which they are immersed. It is not feasible to isolate individuals, study them in a laboratory, and from them derive universal laws that would hold for the past and the future. Thus, contrary to common belief today, the concrete is the whole because only when immersed in the entirety does it reveal its true nature; while separation from the context, the construction of the “case,” and the partiality of observation lead to mere abstractions. These are not falsehoods, but the plausible, hence the non-true. It is clear, then, that the totality of being can only be grasped with the totality of knowing, that is, through knowledge that observes being from various angles and through reason that synthesizes the parts, recognizing them as participants in the determination of the Whole.

 

 

 

 

Il Canto IV del Paradiso

 

 

 

Sono molto felice di pubblicare sul mio blog, a partire da oggi, gli scritti di Carmela Puntillo. Carmela si è laureata in Lettere all’Università degli Studi di Padova, ha partecipato a concorsi per diventare bibliotecaria e ha insegnato nelle scuole medie, sostenendo anche il concorso a cattedra per l’insegnamento di materie letterarie (classi A043 e A050). Ha collaborato con centri culturali come insegnante, preparando conferenze per il Centro Scaligero degli Studi Danteschi e della Cultura Internazionale di Verona, per la Cordata di Verona e per la Fondazione Toniolo, sempre della stessa città. È stata iscritta all’AMIS (Antiquae Musicae Italicae Studiosi) per 27 anni ed ha un diploma in musica. È membro da 23 anni al Centro Scaligero degli Studi Danteschi e della Cultura Internazionale di Verona e, da più di 10 anni, dell’Associazione Amici dei Musei e dei Monumenti di Vicenza.

 

LEZIONE DEL CENTRO SCALIGERO DEGLI STUDI DANTESCHI

CANTO IV DEL PARADISO: SPIEGAZIONE E COMMENTO

08/02/2021

 

Il canto ha un carattere prevalentemente dottrinale, secondo quanto avevano elaborato la cultura e la teologia del tempo, e si divide in due parti, costituite a loro volta da ulteriori suddivisioni: nella prima parte Beatrice dà spiegazioni a Dante sui due dubbi che gli legge nel pensiero (cioè quello sulla verità della dottrina di Platone, che nel Timeo affermava che la sede delle anime sono le stelle, e quello sul merito delle anime che hanno mancato ai voti per violenza subita); nella seconda parte Dante ringrazia Beatrice per i chiarimenti avuti, glorificando Dio, Verità Assoluta, da cui solo possiamo avere la spiegazione dei nostri dubbi, e formula una nuova domanda a cui Beatrice risponderà nel canto successivo… 

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Il Tractatus Logico-Philosophicus
di Ludwig Wittgenstein

Linguaggio logico e realtà

 

 

 

 

Il Tractatus Logico-Philosophicus di Ludwig Wittgenstein, filosofo che ha segnato profondamente il pensiero del XX secolo, fu pubblicato nel 1921. Volume molto denso, intreccia logica, linguaggio e realtà e ha influenzato la filosofia coeva e il successivo sviluppo della linguistica e delle scienze cognitive.
Il Tractatus fu scritto durante gli anni della Prima guerra mondiale, quando Wittgenstein si arruolò nell’esercito austriaco, partecipando attivamente al conflitto. Gli eventi bellici condizionarono la sua visione del mondo, spingendolo a cercare una forma di espressione che potesse catturare l’essenza della realtà in modo chiaro e inequivocabile. Il lavoro risentì anche dei suoi studi con Bertrand Russell a Cambridge e delle teorie logiche di Gottlob Frege, pur distanziandosi significativamente dai loro approcci più tradizionali alla filosofia del linguaggio.
Il nucleo filosofico del Tractatus è costituito dalla relazione tra linguaggio e mondo. Wittgenstein propone una struttura logica del linguaggio che riflette quella della realtà. Il famoso principio “Il limite del mio linguaggio significa il limite del mio mondo” suggerisce che si possa parlare solo di ciò che si possa pensare; tutto quanto è al di fuori del linguaggio è ineffabile. Il filosofo introduce anche l’idea che la filosofia non debba generare teorie o dottrine, ma piuttosto chiarire i pensieri: il suo scopo è terapeutico e non teoretico.
Dal punto di vista logico, il Tractatus indaga i fondamenti della logica e del pensiero. Wittgenstein utilizza la notazione logica per costruire e dimostrare le sue proposizioni, argomentando che quelle del linguaggio abbiano valore solo in quanto rappresentazioni logiche di fatti del mondo. Questo punto di vista ha dato un contributo fondamentale alla filosofia analitica e alla logica matematica, ispirando, in seguito, movimenti quali il Positivismo Logico del Circolo di Vienna, che cercava di ridurre la filosofia all’analisi logica del linguaggio.
L’opera presenta una struttura rigorosamente organizzata, che riflette l’ambizione dell’Autore di catturare l’essenza della logica e della realtà attraverso il linguaggio. La sua composizione è tanto logica quanto filosofica, ordinata in una serie di proposizioni numerate che si sviluppano in modo gerarchico e deduttivo.
Il Tractatus è diviso in sette proposizioni principali, ciascuna delle quali è espansa da sottoproposizioni numerate in modo decimale. Questa impostazione permette a Wittgenstein di costruire argomenti complessi in modo progressivo e strutturato.
1. Il mondo è tutto ciò che accade
Questa proposizione contempla il concetto di mondo come totalità dei fatti, non delle cose, inteso dal filosofo quale insieme di tutti gli eventi o situazioni fattuali, non una collezione di oggetti.
2. Ciò che accade, i fatti, è il sussistere degli stati di cose
Qui Wittgenstein introduce l’idea degli “stati di cose” (Sachverhalt), combinazioni specifiche di oggetti (Sachen) che possono sussistere o meno. Un fatto è, quindi, una configurazione di oggetti connessi in un modo particolare che esiste nel mondo.
3. Il pensiero logico è l’immagine riflessiva del mondo
Il pensiero è rilevato quale rappresentazione (Bild) del mondo. Tali rappresentazioni hanno una configurazione logica che corrisponde a quella dei fatti che rappresentano. Il pensiero può essere vero o falso, a seconda che abbia o meno un corrispettivo nella realtà.


4. Il pensiero deve occuparsi di ciò che è pensabile e ciò deve essere possibile
Il pensiero deve essere realizzabile nella realtà. La proposizione estende il concetto di logica del pensiero, sostenendo che il pensiero valido deve avere una possibile applicazione pratica o esistenziale.
5. La proposizione è una funzione di verità degli elementi
Le proposizioni sono espressioni del nostro linguaggio che possono essere vere o false. Wittgenstein postula il concetto di “funzione di verità”, suggerendo che il valore di verità di una proposizione dipenda dalle condizioni di verità degli elementi (proposizioni elementari) che la compongono.
6. La forma generale della funzione di verità è: [p, ξ, N(ξ)]
Questa proposizione complessa dettaglia l’idea che ogni proposizione possa essere vista come una funzione di verità e che esista una forma generale per queste funzioni. Il simbolismo utilizzato è tecnico, indicando una funzione che coinvolge proposizioni (p), variabili (ξ) e negazioni (N). Questa è una delle parti più tecniche del trattato, collegando direttamente la logica alla filosofia del linguaggio.
7. Di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere
La celebre conclusione del Tractatus traccia un confine epistemologico ed etico. Wittgenstein delimita il territorio della filosofia a ciò che può essere chiaramente espresso attraverso il linguaggio logico. Tutto ciò che ne è al di fuori – valori etici, estetici, metafisici – dev’essere lasciato al silenzio, non perché sia meno importante, ma perché trascende i limiti del linguaggio.
Ogni proposizione principale ha sotto di sé una serie di proposizioni secondarie, che approfondiscono e chiariscono i contenuti delle prime. Questa struttura numerica non è solo un metodo di disposizione, ma anche un mezzo per mostrare come ciascun pensiero sia logicamente collegato al precedente e prepari il terreno al il successivo. Wittgenstein utilizza questa sistemazione proprio per esplorare e definire i limiti del linguaggio e del pensiero. Ogni proposizione, infatti, mira a delimitare cosa possa essere detto chiaramente – ciò che può essere espresso logicamente – e ciò che, invece, sfugge alla capacità descrittiva del linguaggio, come l’etica e l’estetica, che secondo il filosofo si collocano al di là dei confini del linguaggio.
Il Tractatus Logico-Philosophicus rimane un volume profondo anche se a tratti enigmatico. Sebbene Wittgenstein stesso, n alcune sue opere successive, principalmente in Ricerche Filosofiche, ne abbia criticato talune conclusioni, continua a essere un testo imprescindibile per chiunque sia interessato alla filosofia del linguaggio, alla logica e alla relazione tra linguaggio e realtà. Attraverso la sua concisa e talvolta criptica scrittura, Wittgenstein sfida a riflettere sulle limitazioni del linguaggio e sull’essenza della comunicazione umana.

 

 

 

 

La Cybersecurity nel ‘Metaverso’ di Giuseppe Ferrigno

 

 

Recensione di Riccardo Piroddi

 

  

La Cybersecurity nel ‘Metaverso’ di Giuseppe Ferrigno, edito da Eurilink University Press, 2024, presenta un’analisi approfondita e strutturata delle sfide e delle prospettive legate alla sicurezza informatica nei mondi virtuali, un argomento di crescente rilevanza nell’era digitale.
Il testo si articola in dodici capitoli, che esaminano vari aspetti della cybersecurity nel contesto virtuale, iniziando con una panoramica storica e tecnologica, passando per la disamina delle attuali piattaforme e approfondendo le applicazioni e le problematiche specifiche legate alla sicurezza dei dati, dell’identità dell’avatar, dell’economia virtuale e della psicologia cibernetica.
Il capitolo I introduce il lettore ai mondi virtuali, tracciandone la storia e l’evoluzione tecnologica, mentre il II elenca e descrive le principali piattaforme di realtà virtuale in uso oggi, come Second Life, Roblox e Fortnite, evidenziando la loro popolarità e il numero di utenti attivi. Questo capitolo fornisce una base essenziale per comprendere il contesto in cui la cybersecurity diventa rilevante. Nel capitolo III, l’Autore esplora le diverse applicazioni dei mondi virtuali, che spaziano dai luoghi di lavoro virtuali all’istruzione, dai giochi alla socializzazione, fino alla moda e al turismo virtuale. Questo capitolo illustra l’ampio raggio di interazioni e transazioni che possono necessitare di protezione da rischi informatici.
Il cuore del testo si trova nei capitoli dal IV all’VIII, dove si analizzano i quattro layer della cybersecurity nel metaverso: la rete Internet, l’identità dell’avatar, l’economia e la cyberpsychology. Questi capitoli espongono un’analisi dettagliata delle minacce specifiche e delle strategie di mitigazione, ponendo l’accento sulla complessità e l’interdipendenza dei vari aspetti della sicurezza nei mondi virtuali. Il capitolo IX si concentra sulla blockchain e il suo impiego per la gestione della proprietà intellettuale e delle transazioni nel metaverso, argomento che unisce considerazioni tecniche e legali. Gli ultimi capitoli trattano le prospettive future, i problemi normativi aperti e il ruolo crescente dell’Intelligenza Artificiale nei mondi virtuali.


Il volume costituisce un’opera essenziale e tempestiva. Attraverso una disamina dettagliata e meticolosamente organizzata, il testo fornisce un panorama esaustivo delle minacce, delle soluzioni tecniche e delle implicazioni legali legate alla crescente prevalenza dei metaversi nella vita quotidiana.
Una delle principali forze di questo libro è la sua capacità di integrare una varietà di temi – dalla tecnologia blockchain all’identità digitale e alla psicologia cybernetica – in un unico tessuto narrativo coeso. L’Autore riesce a guidare i lettori attraverso la storia e l’evoluzione tecnologica dei mondi virtuali, fornendo un contesto critico che aiuta a comprendere la natura e la scala delle sfide di sicurezza attuali. Questo approccio storico non solo arricchisce la comprensione del lettore ma stabilisce anche una solida base per le discussioni sui moderni aspetti della cybersecurity nel metaverso. Il volume brilla particolarmente quando tratta le specifiche applicazioni dei mondi virtuali. Dall’istruzione al lavoro, passando per il turismo e il sociale, l’Autore indaga come ogni ambito presenti sfide uniche in termini di sicurezza e privacy. Questa analisi multisfacettata non solo aumenta la consapevolezza delle potenziali vulnerabilità ma stimola anche la riflessione su come mitigarle in modo efficace.
Un altro punto di forza significativo del libro è l’esame dettagliato dei “quattro layer” della cybersecurity nel metaverso. Questa strutturazione permette di sondare in profondità le diverse dimensioni della sicurezza, dal livello di rete fino agli aspetti più personali e psicologici. Il trattamento olistico di queste tematiche informa e invita anche a un approccio più integrato e sistematico alla sicurezza nei mondi virtuali.
Il volume, inoltre, offre una riflessione critica sull’uso della blockchain e delle tecnologie associate quali strumenti per la gestione della proprietà intellettuale e delle transazioni sicure nel metaverso. L’Autore presenta una discussione equilibrata sui benefici e sui rischi di queste tecnologie, fornendo una valutazione ponderata che è rara nella letteratura attuale su questi argomenti.
La Cybersecurity nel ‘Metaverso’ è, dunque, un’opera preziosa, che propone un contributo significativo al campo della sicurezza informatica, consegnando un’analisi approfondita e comprensiva che è sia educativa che provocatoria. È una risorsa indispensabile per professionisti della sicurezza, sviluppatori di software, legislatori e quanti siano interessati al futuro della nostra interazione con i mondi virtuali.

 

 

 

La poetica della luna: Giacomo Leopardi e Lucio Dalla

 

 

 

Giacomo Leopardi e Lucio Dalla. Un poeta-filosofo e un cantautore. Cosa possono avere mai in comune? Lo scoprirete presto! Voglio, però, condurvici pian piano, cominciando da un elemento naturale, visibile, di notte, da qualche parte nel cielo: la luna. La luna ha eccitato la fantasia dei poeti sin dalla notte dei tempi. Gli antichi greci la deificarono, arrivando a conferirle una triplice personificazione: Proserpina, moglie di Ade e regina degli Inferi (simbolo della luna calante); Artemide, dea della caccia (simbolo della luna crescente), e Selene, la luna propriamente detta (la luna piena). Anche Dante Alighieri cedette al fascino di questa triplice personificazione e, nel canto X dell’Inferno, ai versi 79-81, mise in bocca a Farinata degli Uberti, fiero capo ghibellino, una profezia post eventum, scritta, cioè, quando gli eventi predetti erano già accaduti: “Ma non cinquanta volte fia raccesa/ la faccia de la donna che qui regge/ che tu saprai quanto quell’arte pesa”. Dante si riferiva proprio alla luna (Proserpina, la donna che qui regge, in una commistione tra mitologia classica, dottrina cristiana e astronomia medievale), e le cinquanta volte in cui si sarebbe “riaccesa” rappresentavano i cinquanta mesi mancanti alla sua condanna all’esilio. Più vicino a noi, come non citare i tenerissimi versi di uno dei miei migliori conterranei: il principe De Curtis, Totò, il quale, nella poesia “A cunsegna”, esplora il topos poetico della luna quale benevola protettrice degli innamorati: “’A sera quanno ‘o sole se nne trase/ e dà ‘a cunzegna a luna p’ ‘a nuttata/ lle dice dinto ‘a recchia: I’ vaco ‘a casa:/ t’arraccumanno tutt’ ‘e nnammurate”. La luna, quindi, è il trait d’union tra i due protagonisti di questo mio breve scritto.

 

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Nonostante tutto ciò, mi si potrebbe obiettare: “Cosa c’entra uno dei più grandi, se non il più grande poeta italiano con Lucio Dalla, un cantante, seppure famoso? Cosa possono avere in comune un uomo che, a 10 anni, aveva una cultura vasta quanto quella di un paio di centenari messi insieme con un personaggio che ha giusto terminato le scuole medie? Cosa c’entra, dunque, Giacomo Leopardi con Lucio Dalla? Posso assicurarvi che hanno molti punti in comune e cercherò, qui, di esporveli nel modo più breve ma più esauriente possibile. Il materialismo del pensiero marxista, dal punto di vista filosofico-letterario (ciò, in Italia, è avvenuto soprattutto grazie all’opera di Antonio Gramsci), ha avuto il merito di permettere ai critici di concentrarsi su problematiche, relative agli autori, non soltanto di poetica ma anche, e soprattutto, di vita reale, materiale. Ecco perché, allora, gli elementi biografici di un autore assumono una importanza fondamentale nel tentativo di imagesricostruire e motivare l’arte dello stesso. Detto questo, andiamo ad analizzare cosa successe nelle vite di questi due personaggi, Leopardi e Dalla, in quella fase delle loro vite dove, per usare una felice espressione, andò in scena, per entrambi, il “preludio del genio”. Giacomo Leopardi, il conte Giacomo Taldegardo Leopardi (immagine a destra), nacque a Recanati, il 28 giugno 1798. Era figlio di genitori molto particolari. Il padre Monaldo, nobile, intellettuale, era il responsabile del dissesto economico familiare. Un uomo che viveva con la testa tra le nuvole, o, meglio, tra i libri, e incapace ad amministrare i beni di famiglia, terreni, fattorie, campi. Fu scrittore anch’egli, eclissato, ovviamente, dalla fama del figlio. Fu lui ad istillare nel piccolo Giacomo l’amore per le lettere. Aveva una biblioteca prodigiosa, visitabile, ancora oggi, a Recanati. Era un brav’uomo, a modo suo affettuoso con i dieci figli, ma, ripeto, totalmente incapace nella gestione degli affari di famiglia. La madre, Adelaide dei marchesi Antici, fu l’amministratrice economica della casa, riuscendo anche ad assestare il patrimonio, a prezzo di grandi sacrifici. Una donna dura, che non mostrava affetto, arida, molto religiosa, ai limiti della superstizione. Una figura, quindi, tutt’altro che materna. Il rapporto di Leopardi con la madre è, ancora oggi, oggetto di studio. Vi è un solo luogo nella sua opera, nelle Operette morali, in cui il poeta identifica la cattiva Natura con la madre, ma è comunque troppo poco per ritenere che sia l’interpretazione preponderante del suo rapporto con donna Adelaide. Lucio Dalla nacque a Bologna, il 4 marzo 1943. Il padre, Giuseppe, era un commesso viaggiatore, poco impegnato nel suo lavoro, quanto piuttosto nelle sue passioni, la caccia e la pesca. Un bell’uomo, alto e prestante. Morì di tumore quando Lucio aveva solo 6 anni. Il dolore di quella perdita avrebbe accompagnato il cantante per tutta la vita, influenzandone anche la poetica. La madre, Iole, era una sarta, una donna energica e risoluta, che dovette farsi carico dell’educazione del figlio e della sua crescita, in una Italia che usciva devastata dalla guerra. Una figura fondamentale nella vita di Lucio. La balena bianca, come è stata spesso chiamata. Giacomo Leopardi trascorse l’infanzia e la prima giovinezza nel palazzo di famiglia a Recanati, più propriamente, nella biblioteca del palazzo, in lunghissime ore di studio. A quindici anni già conosceva il latino, il greco, l’ebraico, l’inglese e il francese. Componeva trattati di astronomia e di chimica. Era già un vero e proprio erudito. Aveva mostrato, quindi, a quell’età, le caratteristiche del genio letterario che lo avrebbero consacrato alla fama immortale. Lucio Dalla (immagine a sinistra) ebbe, in sua madre, il vero incentivo della sua carriera d’artista. La donna lo faceva esibire prima delle sfilate di moda che teneva d’estate, a Manfredonia, dove si recava per vendere i capi delle sue collezioni. A dieci anni, Lucio era un animale da palcoscenico. Ci sono delle bellissime fotografie nel libro di Angelo Riccardi, “Ti racconto Lucio Dalla” (2014), che lo ritraggono con gli abiti di scena. Fa tenerezza. Era davvero un bel bimbo, disinvolto, sicuro di sé. Gli insuccessi scolastici, l’abbandono della scuola al quinto ginnasio e l’amore per la musica, per quel clarinetto, che gli era stato regalato da un amico di famiglia, il forsennato studio dello strumento, da autodidatta, e l’arrivo a Roma, lo proiettarono nel mondo della musica, grazie anche alla protezione di Gino Paoli. Questi, infatti, gli aveva consigliato di affrancarsi da I Flippers e di intraprendere la carriera solista. Appare chiaro, quindi, come entrambi, sin dall’infanzia, manifestassero quelle qualità che, poi, avrebbero sublimato nelle proprie creazioni artistiche. Vi ho già detto della luna. La poetica di Leopardi e di Dalla è una poetica naturalistica, in cui con gli elementi della natura è costante. Sono riuscito a contare almeno cinquanta occasioni in cui, nelle canzoni di Dalla, compaia la luna. Di meno nelle poesie e prose di Leopardi. Questo dialogo dei due, però, si compie in modi differenti. Dalla vi dialoga come un innamorato che si rivolge al garante del suo amore per la natura. Nella poetica dalliana la luce della luna illumina l’esistenza notturna degli uomini, nella notte della vita, quando le cose non appaiono ben chiare e definite nei loro contorni. La luna di Dalla ha anche una funzione salvifica e apotropaica. Pensate ai versi di Caruso: “Ma quando vide la luna uscire da una nuvola/ gli sembrò più dolce anche la morte”. In Leopardi, invece, le invocazioni alla luna sono disperate richieste di aiuto contro una Natura che il poeta giudica essenzialmente maligna e dannosa per gli uomini. Sono grida infelici di una grande mente che si sforza di ricercare qualche positività in un sistema di elementi che lui giudica pernicioso per l’uomo. Questa concezione viene fuori, principalmente, nel Canto notturno di un pastore errante per l’Asia e in Alla luna, opere al cui dialogo con l’astro l’autore affida lo svelamento delle proprie concezioni filosoficheScreen-shot-2011-10-22-at-1.26.05-AM-425x450 sulla natura, sulla vita e sulla condizione degli uomini. Un altro elemento che accomuna i due autori, è un concetto di derivazione classica: il binomio Eros-Thanatos, Amore e Morte. Esso sottintende al capolavoro di Dalla, Caruso, perché ha attraversato anche la sua vita. Lucio si è portato dietro, per sempre, il ricordo della tragica fine del padre e, altre volte nella vita, ha perso persone a lui care. Questi sentimenti sono presenti nella sua canzone più celebre. Il grande tenore Enrico Caruso, nell’ora della morte, è innamorato della fanciulla sorrentina, alla quale sta dando lezioni di canto. L’amore, Eros, nell’ora della Morte, Thanatos, la rende più dolce, in un binomio indissolubile. “Amore e morte”, invece, è il titolo di un canto di Leopardi, scritto all’epoca dello sfortunato amore per Fanny Targioni Tozzetti, per cui, certamente risente della delusione per la mancata corrispondenza amorosa. Anche per Leopardi, Amore e Morte rappresentano un binomio indissolubile: “Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte/ ingenerò la sorte”, recita il citato canto. Nella concezione leopardiana, tipicamente estremista, la morte non è soltanto un male a cui bisogna rassegnarsi, ma, vista in contrapposizione con il dolore, la malattia e le pene dell’esistenza, assume connotazioni positive, come una sorta di miglioramento rispetto allo stato abituale dell’uomo, una liberazione dai laceranti dolori dell’animo. La morte è un punto di arrivo, una soluzione finale, una meta verso cui tendere, un traguardo indolore e quieto, che rappresenta la fine di ogni tormento. Un ultimo, importante legame, che accomuna questi due personaggi straordinari: l’amore per Napoli. Quello di Lucio Dalla per Napoli, per Sorrento e per il Sud Italia, come è ormai noto, grazie anche alle recenti pubblicazioni di Raffaele Lauro (“Caruso The Song – Lucio Dalla e Sorrento”, 2015, “Lucio Dalla e San Martino Valle Caudina – Negli occhi e nel cuore”, 2016, e “Lucio Dalla e Sorrento Tour – Le tappe, le immagini e le testimonianze”, 2016), è stato un amore fatto di rapporti sinceri con le persone, di lunghe frequentazioni, Veduta-di-Napoli-e-del-Vesuvio-420di curiosità per gli aspetti della vita delle genti del Sud. Lucio era interessato alla vita del Sud. Aveva dei taccuini neri sui quali annotava sempre tutto. Era un curioso come il don Ferrante de I promessi sposi. Anche Leopardi amò Napoli, seppure di un amore bisbetico e insofferente, per un ambiente, soprattutto intellettuale, che considerava alquanto arruffato. Leopardi morì a Napoli, a 39 anni, più precisamente, a Villa delle Ginestre, a Torre del Greco, ospite del fidato amico Antonio Ranieri. A Napoli è, ancora oggi, la sua tomba. In quella villa aveva composto il suo testamento spirituale, quella La ginestra, che nel 2014, è stata protagonista della scena di chiusura del film di Mario Martone, Il giovane favoloso, dedicato proprio alla breve esistenza del poeta di Recanati. L’attore Elio Germano, che interpreta Leopardi, ne recita alcuni versi, mentre il Vesuvio, lo “sterminator Vesevo”, erutta. Pochi giorni prima di morire, a Torre, Leopardi aveva composto Il tramonto della Luna. Ancora una volta, la luna.