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Burchiello, il barbiere-poeta
I Medici, signori di Firenze, ebbero il loro circolo di intellettuali, poeti e filosofi (Poliziano, Pico della Mirandola, Pulci, solo per citare i più famosi). Allo stesso modo, un barbiere ne creò uno nella sua bottega: il Burchiello. Domenico di Giovanni nacque a Firenze nel 1404. Il padre, un umile legnaiolo, non poté certo mandarlo a scuola e il figlio dovette arrangiarsi, imparando a tagliare barbe e capelli. Il suo salone a Calimala, però, divenne una vera e propria associazione culturale e politica contro i Medici. Vi partecipavano tutti quelli che avevano la passione per i versi e quelli non sopportavano i padroni della città. Proprio per questo, il povero barbiere fu costretto a lasciare la città dell’Arno trasferendosi prima a Siena, dove, evidentemente, per arrotondare, si diede ai furti e fu più volte pizzicato, e, poi, a Roma, dove cercò di aprirsi un negozietto, ma morì come un miserabile, nel 1449. Le sue poesie, a dire la verità, sono abbastanza incomprensibili. Eccone una, ad esempio:
Nominativi fritti e mappamondi e l’arca di Noè fra due colonne cantavan tutti chirieleisonne per l’influenza dei taglier mal tondi. La Luna mi dicea: Ché non rispondi? E io risposi: “Io temo di Giasonne, però ch’io odo che ‘l diaquilonne è buona cosa a fare i capei biondi.” Per questo le testuggini e i tartufi m’hanno posto l’assedio alle calcagne dicendo: “Noi vogliam che tu ti stufi”. E questo sanno tutte le castagne: pei caldi d’oggi son sì grassi i gufi, ch’ognun non vuol mostrar le sue magagne. E vidi le lasagne andare a Prato a vedere il Sudario, e ciascuna portava l’inventario. (Nominativi fritti e mappamondi)
Il poeta intendeva prendere in giro gli umanisti e la loro perfezione linguistica. Come avrebbe potuto farlo meglio se non costruendo un linguaggio che non esprimesse proprio niente? In altri sonetti se la prese con la sorte, che, a suo dire, gli aveva riservato una vita schifosissima, piena di malattie, pidocchi, galera. In altri, con Petrarca e i suoi seguaci.