Archivi categoria: Arte

Antonio Canova, l’armonia del Classicismo

 

da

libreriamo.it

 

 

Antonio Canova fece suo l’ideale di bellezza classica e fu in grado di farlo rivivere attraverso il marmo. Le sue sculture, caratterizzate dalla compostezza dei gesti, dall’eleganza armoniosa delle forme e da una estrema levigatezza del modellato sono famose in tutto il mondo. L’arte del Canova ebbe…

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Antonio Canova (1757 – 1822)

 

 

Beato Angelico, il frate e la Luce. Perché le sue opere abbagliano lo spettatore

 

di

Giuseppe Fusari

 

 

l punto di partenza è lo stesso: la “Madonna delle ombre”, affresco tra i più intriganti nella produzione dell’Angelico; immerso in una sorta di umore crepuscolare, dove le ombre si stirano lunghe sui muri candidi e le forme delle figure (i soliti santi addolciti del pittore) si torniscono con una forza plastica nuova, che prelude alle massicce sculture degli affreschi per papa Nicolò V in Vaticano.

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Beato Angelico (1395 – 1455)

 

 

E se la figura al centro della Primavera di Botticelli non fosse Venere?

 

da

Finestresullarte.info

 

Da Vasari in poi, al centro della Primavera di Botticelli si è sempre pensato ci fosse Venere. Ma se in realtà la dea non fosse lei?

La Primavera, il grande capolavoro che Sandro Botticelli eseguì verso la metà degli anni Ottanta del Quattrocento per Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici (Firenze, 1463 – 1503) e che oggi è protagonista assoluta del percorso espositivo della Galleria degli Uffizi a Firenze, è sicuramente uno dei dipinti più studiati dell’intera storia dell’arte: da Giorgio Vasari in poi, moltissimi storici dell’arte si sono cimentati nell’interpretazione del dipinto, arrivando…

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Sandro Botticelli (1445 – 1510)

 

Sandro Botticelli, “La Primavera” (1478 – 1482)
Firenze, Galleria degli Uffizi

 

 

 

Leon Battista Alberti: poliedricità e ingegno

 

di

Lorenzo Naturale

 

 

L’Italia del Quattrocento visse un periodo di splendore: infatti, è proprio in quegli anni che si manifestano in tutto il loro splendore, originalità ed ingegno, l’Umanesimo ed il Rinascimento, fenomeni di grandezza e prestigio tale da essere ammirati in tutta Europa. L’Italia offrì un vastissimo numero di intellettuali, artisti e scienziati eccelsi; tra di questi non può non essere ricordato Leon Battista Alberti: egli è forse uno dei personaggi che meglio concretizza…

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Leon Battista Alberti (1404 – 1472)

 

 

Borromini a Sant’Ivo alla Sapienza: un capolavoro assoluto

 

da

RestaurArs

 

 

Che Roma sia la città del Barocco è un dato di fatto. Ma la straordinaria abilità di Francesco Borromini – troppo spesso forse – passa in secondo piano rispetto alle opere realizzate in città dall’altro grandissimo artista a lui contemporaneo, Gian Lorenzo Bernini. Ma ad onor del vero l’idea esecutiva a livello architettonico espressa dalle loro opere non potrebbe essere più diversa…

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Francesco Borromini (1599 – 1667)

 

 

La grande “burla” di Michelangelo Buonarroti

 

 

 

Ebbene sì!!! La più grande burla della storia è stata propinata alla Chiesa proprio sotto il naso e, per di più, in un capolavoro collocato, in saecula saeculorum, presso la sede “santa”, in modo che, quotidianamente, possano ammirarlo e continuare a credere di non vedervi nulla. Eh sì, perché ad osservare bene il drappo con angeli nel quale è Dio, si vede chiaramente come esso altro non rappresenti che il cervello umano, nella forma che tutti noi, oggi, conosciamo, grazie a quella libera scienza che molti “santi” hanno avversato con condanne a morte e roghi. Questo perché, anche il sommo Michelangelo, nonostante fosse vissuto cinque secoli fa, ne aveva contezza, in quanto dissezionava cadaveri, per studiarne l’anatomia e le parti interne. L’eccelso artista, quindi, ha voluto significare ai suoi “santi” committenti e al mondo: Dio è stato creato dal cervello umano che, di conseguenza, crea anche il mondo dei fenomeni. Il resto sono favole!!! Sono più chiaro: Dio non esiste perché è una creazione della mente dell’uomo e se Dio non esiste, non dovreste esistere neppure voi intesi come associazione che lo rappresenta, a vario titolo, in Terra!
Strano, però, che quegli unici e “santi” detentori della verità non si siano ancora accorti di questa impercettibile sottigliezza. Evidentemente, oggi come nel Cinquecento, sono troppo impegnati a contare danari e non hanno il tempo di alzare il naso al cielo, neppure per contemplare un capolavoro dell’arte universale!

 

Michelangelo Buonarroti, “La creazione di Adamo” (1511)
Cappella Sistina, Roma

 

 

Leonardo da Vinci, l’Ultima Cena e la scelta della damnatio

 

 

 

Esiste un aneddoto nella storia dell’arte italiana secondo il quale a Leonardo da Vinci mancasse soltanto un ultimo personaggio da dipingere alla sacra mensa dell’Ultima Cena: Giuda. Ebbene, il sommo artista si recò in una taverna malfamata, l’unico luogo confacente, insieme con una galera, dove poter rintracciare il modello cui ispirarsi per ritrarre uno degli uomini più vituperati dell’umanità. Vi trovò un baro ubriaco, col viso e l’anima segnati dagli eccessi. Lo ritenne perfetto. Terminato il suo celeberrimo capolavoro parietale, scoprì che quello stesso uomo, ormai ridotto ad una carogna, gli aveva fatto da modello, precedente-mente, per dipingere, al medesimo desco benedetto, le fattezze di Gesù Cristo
Che sia vero o meno, questo racconto può divenire metafora dell’esistenza di alcuni uomini. Quegli uomini, i quali, seppure destinati all’elezione, hanno scelto di vivere la damnatio, la dannazione!

 

cenacolo100Leonardo Da Vinci, l’Ultima Cena, 1495-1498
Milano, Refettorio del Convento di Santa Maria delle Grazie

 

ultima_cena_da_vinci_partParticolare dall’Ultima Cena
In primo piano, Giuda Iscariota con la mano al collo dell’apostolo Giovanni

 

 

Venere, la Dea Madre e la Donna Madre

 

 

Quanto è poco materna la donna, oggi! È nella maternità che essa sublima la sua natura superiore, non negli smalti o nei belletti, nei tacchi e nelle silhouette filiformi. Bisognerebbe tornare ai tempi in cui Tiziano dipingeva le sue Veneri o, molto più indietro, al matriarcato delle società delle origini, quando gli uomini veneravano, nella Dea Madre, il grembo della Donna Madre.

 

downloadTiziano Vecellio, “Venere d’Urbino”, 1538
Firenze, Galleria degli Uffizi

 

tumblr_muob3ekL681qc7fmjo3_1280“Venere di Willendorf” (Dea Madre)
Austria, XXII millennio a.C.

 

 

John William Waterhouse, Giacomo Leopardi e la Primavera

 

 

Perchè i celesti danni
ristori il sole, e perchè l’aure inferme
Zefiro avvivi, onde fugata e sparta
delle nubi la grave ombra s’avvalla;
credano il petto inerme
gli augelli al vento, e la diurna luce
novo d’amor desio, nova speranza
ne’ penetrati boschi e fra le sciolte
Ppuine induca alle commosse belve;
forse alle stanche e nel dolor sepolte
umane menti riede
la bella età, cui la sciagura e l’atra
face del ver consunse
innanzi tempo? Ottenebrati e spenti
di febo i raggi al misero non sono
in sempiterno? Ed anco,
Primavera odorata, inspiri e tenti
questo gelido cor, questo ch’amara
nel fior degli anni suoi vecchiezza impara?

vivi tu, vivi, o santa
Natura? vivi e il dissueto orecchio
della materna voce il suono accoglie?
Già di candide ninfe i rivi albergo,
placido albergo e specchio
furo i liquidi fonti. Arcane danze
d’immortal piede i ruinosi gioghi
scossero e l’ardue selve (oggi romito
nido de’ venti): e il pastorel ch’all’ombre
meridiane incerte ed al fiorito
margo adducea de’ fiumi
le sitibonde agnelle, arguto carme
sonar d’agresti Pani
udì lungo le ripe; e tremar l’onda
vide, e stupì, che non palese al guardo
la faretrata Diva
scendea ne’ caldi flutti, e dall’immonda
polve tergea della sanguigna caccia
il niveo lato e le verginee braccia.

Vissero i fiori e l’erbe,
vissero i boschi un dì. Conscie le molli
aure, le nubi e la titania lampa
fur dell’umana gente, allor che ignuda
te per le piagge e i colli,
ciprigna luce, alla deserta notte
con gli occhi intenti il viator seguendo,
te compagna alla via, te de’ mortali
pensosa immaginò. Che se gl’impuri
cittadini consorzi e le fatali
ire fuggendo e l’onte,
gl’ispidi tronchi al petto altri nell’ime
selve remoto accolse,
viva fiamma agitar l’esangui vene,
spirar le foglie, e palpitar segreta
nel doloroso amplesso
dafne o la mesta Filli, o di Climene
pianger credè la sconsolata prole
quel che sommerse in Eridano il sole.

Né dell’umano affanno,
igide balze, i luttuosi accenti
voi negletti ferìr mentre le vostre
paurose latebre Eco solinga,
non vano error de’ venti,
ma di ninfa abitò misero spirto,
cui grave amor, cui duro fato escluse
delle tenere membra. Ella per grotte,
per nudi scogli e desolati alberghi,
le non ignote ambasce e l’alte e rotte
nostre querele al curvo
etra insegnava. E te d’umani eventi
disse la fama esperto,
musico augel che tra chiomato bosco
or vieni il rinascente anno cantando,
e lamentar nell’alto
ozio de’ campi, all’aer muto e fosco,
antichi danni e scellerato scorno,
e d’ira e di pietà pallido il giorno.

Ma non cognato al nostro
il gener tuo; quelle tue varie note
dolor non forma, e te di colpa ignudo,
men caro assai la bruna valle asconde.
Ahi ahi, poscia che vote
son le stanze d’Olimpo, e cieco il tuono
per l’atre nubi e le montagne errando,
gl’iniqui petti e gl’innocenti a paro
in freddo orror dissolve; e poi ch’estrano
il suol nativo, e di sua prole ignaro
le meste anime educa;
tu le cure infelici e i fati indegni
tu de’ mortali ascolta,
vaga natura, e la favilla antica
rendi allo spirto mio; se tu pur vivi,
e se de’ nostri affanni
cosa veruna in ciel, se nell’aprica
terra s’alberga o nell’equoreo seno,
pietosa no, ma spettatrice almeno. 

(Giacomo Leopardi, “Alla Primavera o delle favole antiche“, gennaio 1822)

 

 

John William Waterhouse, “Flora and the Zephyrus” (1898), olio su tela (video da www.restaurars.altervista.org)