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Alfonso Iaccarino, Dottore in Scienze dell’educazione
degli adulti e della formazione continua

 

 

 

Chi mi segue sui miei vari canali social sa che quando tratto questioni di famiglia intingo sempre la penna nel calamaio del mio cuore. Oggi, però, per celebrare il conferimento, da parte dell’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, della Laurea honoris causa in “Scienze dell’educazione degli adulti e della formazione continua” a mio zio Alfonso Iaccarino, voglio “istituzionalizzarmi”, consegnandovi un suo profilo nello stile usuale dei miei contenuti. Ecco a voi, allora (tra le tante qualifiche), il Dottore ad honorem Alfonso Iaccarino.

Alfonso Iaccarino, chef e proprietario del celeberrimo ristorante “Don Alfonso 1890” a Sant’Agata sui Due Golfi (Napoli), è una figura apicale e rappresentativa della cucina italiana. La sua carriera, che dura da cinquant’anni, è ancora contraddistinta da un costante impegno per l’eccellenza, l’innovazione e la valorizzazione della tradizione culinaria mediterranea.
Proveniente da una famiglia di albergatori e ristoratori, ha ereditato la passione per la cucina dai genitori. Con la moglie Livia ha fondato il ristorante di famiglia, il “Don Alfonso 1890”, diventato un vero e proprio punto di riferimento per la gastronomia nazionale e internazionale.
La filosofia culinaria di Iaccarino si basa su tre principi fondamentali: la qualità degli ingredienti, il rispetto per la tradizione e l’innovazione. La sua cucina è un tributo alla dieta mediterranea, con l’utilizzo di ingredienti freschi e di stagione, provenienti dalla sua azienda agricola biologica, “Le Peracciole”.
Pioniere delle pratiche sostenibili nella ristorazione di lusso e innovatore tecnologico, Iaccarino ha adottato tecniche avanzate e strumenti di precisione per esaltare i sapori naturali degli elementi e creare piatti anche esteticamente perfetti.
Sotto la sua guida, oggi affiancato dai figli Ernesto in cucina e Mario in sala, e dall’imprescindibile moglie Livia, il “Don Alfonso 1890” offre un’esperienza culinaria completa, curata in ogni dettaglio, per coinvolgere tutti i sensi, tanto da rendere il ristorante unico nel suo genere.
Iaccarino ha inoltre sempre investito molto nella formazione delle nuove generazioni di chef, promuovendo una cultura culinaria di eccellenza e, attraverso corsi e collaborazioni internazionali, ha diffuso la sua filosofia culinaria nel mondo.
Riconosciuto globalmente con numerosi premi, il “Don Alfonso 1890” è certamente uno dei ristoranti italiani più rinomati a livello mondiale.
Alfonso Iaccarino non è solo uno chef, ma un innovatore e un ambasciatore della cucina italiana. La sua capacità di combinare tradizione e innovazione ha elevato gli standard della ristorazione di lusso, prediligendo sostenibilità e autenticità e continuando a ispirare e influenzare le future generazioni di chef e appassionati di buona cucina. E, da oggi, Alfonso Iaccarino è anche dottore in Scienze dell’educazione degli adulti e della formazione continua!

 

 

 

25 ottobre 2023, Roma,
Presentazione del volume “Muta a piedi”

 

 

 

Mercoledì 25 ottobre, alle ore 18.00, presso il Tempio di Adriano in Piazza di Pietra, a Roma, sono intervenuto, come relatore, insieme con l’ex Presidente del Senato, Pietro Grasso, e il vicedirettore de Il Foglio, Salvatore Merlo, alla presentazione dell’interessante volume di Maria Sole Sanasi d’Arpe, “Muta a piedi”, edito da Eurilink University Press.

Un libro che vale davvero la pena di leggere!

 

 

Intervento di Riccardo Piroddi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Editoria. “Dizionario Critico della Democrazia Antica e Moderna”, di Patricio Emilio Marcos, Eurilink Univeristy Press, sarà presentato il 28 maggio presso la Link Campus University” di Roma

 

 

L’attuale modello di potere sembra ridotto alla pretesa di vendere, come se fosse una scienza, l’ideologia corruttrice della vita nobile. La transizione, quindi, tra il vecchio e il nuovo regime è caratterizzata dalla sostituzione delle oligarchie dell’onore con quelle del denaro, in modo che il mondo attuale contempli l’egemonia dei neoplutoi o nuovi ricchi, quelli privi di nobiltà, consci del fatto che la vera dignità umana sia crittografata nella capacità e nel piacere che provoca fare del bene. Dal confronto tra i paradigmi teorici e ideologici, l’autore evidenzia come il paradigma classico si basi sui consistenti studi empirici dei ricercatori dell’Accademia platonica e del Liceo aristotelico mentre il paradigma moderno è ideologico, non scientifico e valutativo, poiché il suo obiettivo fondamentale è quello di giustificare la conservazione della vita dormiente e passiva, vita che Benjamin Constant chiama “di godimenti”. Patricio Marcos sottolinea che nel mondo moderno la vecchia scienza o conoscenza politica è designata col nome di “filosofia politica”, fingendo si tratti di un inutile, obsoleto orpello, in chiara contraddizione con quel tipo di conoscenza costruita dagli antichi saggi. Infatti, Platone, ad esempio, non titola i suoi dialoghi “Filosofia della Repubblica” ma “Repubblica”, non “Filosofia delle Leggi” ma, semplicemente, “Leggi”. Questo sforzo di denigrare la scienza politica antica si manifesta anche nelle caratteristiche che oggi vengono attribuite all’autentica scienza politica, che è antifilosofica, antivaloriale e si basa sulla quantificazione e su dati concreti; questo atteggiamento, però, ignora che la vecchia scienza politica non è “valoriale”, perché si basa su una molteplicità di indagini storiche su individui e popoli. Finché è scientifico, il suo interesse è di dare un resoconto completo delle idee sulla felicità e, fondamentalmente, come si intersechino le contingenze storiche nell’organizzazione politica, sociale, economica e familiare dei popoli di tutti i tempi. L’opera, in due volumi, contiene 192 voci selezionate dalle opere di: Socrate, Platone, Aristotele e Alexis de Tocqueville. Ciascuna voce include i commenti di autori della democrazia liberale, che costituisce il modello moderno: americani quali Washington, Jefferson e Hamilton; inglesi quali Hobbes, Burke e Locke; italiani quali Machiavelli e Guicciardini; francesi quali Bodin, Montesquieu e Constant, e molti altri. Delle voci, 11 appartengono a Socrate, 32 ad Aristotele, 54 ad Alexis De Tocqueville e 95 a Platone. 1.420 pagine, che ripercorrono la storia della democrazia e ne analizzano ciascun aspetto, passando in rassegna e mettendo a confronto importanti questioni, nonché quanto di più importante è stato scritto sull’argomento. Si tratta di un’opera che potrà interessare tutte le scuole, le librerie e gli accademici nei settori della filosofia politica, della storia, del diritto, della sociologia, ma anche i politici e il pubblico in generale, in tutto il mondo. I saggi, ordinati in ordine alfabetico, contengono elementi teorici e ideologici di tutti gli argomenti relativi ai regimi democratici del mondo: contesto, origini, leggi, istituzioni chiave, cicli e spiega la loro diversità secondo i vari tipi di democrazia. L’opera definisce la democrazia in base alla classe sociale che prende e controlla il potere e descrive l’organizzazione istituzionale relativa. Compara anche i princìpi, le leggi e le istituzioni di altri regimi, in modo particolare delle varie forme di governo dei pochi (oligarchie), ma anche delle tirannie e delle monarchie. Esamina la ragion di Stato che conduce alla creazione, alla conservazione e alla distruzione delle democrazie; le fonti interne ed esterne che ne minacciano i vari generi e ciò che porta alla corruzione dei regimi popolari e delle rivoluzioni. Inoltre, vengono esaminati i vari modi di vivere con i loro usi, le loro abitudini e le loro caratteristiche. Patricio Emilio Marcos Giacomán insegna Filosofia e Scienza della Politica presso la Universidad Nacional Autónoma de Mèxico (UNAM). Ha effettuato i suoi studi di Economia presso l’Istituto Tecnologico di Studi Superiori di Monterrey; di Filosofia all’Istituto Superiore di Filosofia e di Psicoanalisi, presso la Facoltà di Pshycology di Lovanio, in Belgio; ha conseguito il Ph.D. in Scienze Politiche presso l’UNAM in Messico. E’ stato consulente del Governo messicano con diversi incarichi ed è autore di numerose pubblicazioni nei settori della politica, dell’economia e della filosofia tra i quali: Grandeza y decadencia del poder presidencial en México, 2015; La política de las reformas en México, 2015, La vida política en Occidente: pasado, presente y futuro, 2011; Diccionario de la democracia, 2010; Qué es democracia?Historia del ciclo político de Atenas del s. XIII al s. IV a.n.e., 1997; Psicoanálisis antiguo y moderno, 1993; Lecciones de política, 1990. La presentazione dell’opera, edita da Eurilink University Press, casa editrice dell’Università degli Studi “Link Campus University”, inserita nel dibattito dal titolo “Una bussola per orientarsi nelle democrazie del nostro tempo”, si terrà martedì 28 maggio, alle ore 17.00, presso l’Antica Biblioteca dell’Università degli studi “Link Campus University” di Roma. Parteciperanno Scotti, presidente della “Link Campus University”, Raffaele Galano, professore straordinario della “Link Campus University”, Vincenzo Diego Lazzarich, professore associato di Storia delle Dottrine Politiche presso l’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, Giacomo Marramao, professore ordinario di Filosofia Politica presso l’Università degli Studi “Roma 3”, Giulio Tremonti, presidente Aspen Institute Italia, e Patricio Marcos, autore del Dizionario. Il dibattito sarà moderato da Marco Filoni, filosofo della politica e ricercatore presso l’École Normale Supérieure di Parigi. Interverranno Alessandro Corbino, già professore ordinario di Istituzioni di Diritto Romano presso l’Università di Catania, Marco Emanuele, docente di Democrazia e Totalitarismi presso la “’Link Campus University”, Marco Morganti amministratore delegato Banca Prossima – Gruppo Intesa San Paolo, Jesus Ortega Martines, direttore di ‘”Sintropia”, Istituto di Studi Strategici e Politiche Pubbliche, Messico, Claudio Roveda, rettore della “Link Campus University”, Pasquale Russo, direttore generale della “Link Campus University”, e Claudio Vasale, professore straordinario di Storia delle Dottrine Politiche presso la “Link Campus University’”.

 

Massa Lubrense (NA). Giornata di studi folenghiani 2018 Intervento integrale di Riccardo Piroddi

 

 

IL “MACARONICO” TRA STORIA, IPERBOLE E PARADOSSO

 

 

Signore e Signori, buon giorno.

 
Grazie per essere intervenuti. Permettetemi di ringraziare il presidente dell’Archeoclub Massa Lubrense per aver organizzato, insieme con gli amici di Bassano del Grappa, questa lodevole iniziativa. Celebriamo, infatti, un gemellaggio ideale tra la nostra bella Massa Lubrense e l’altrettanto bella Bassano, in nome di due fratelli, Teofilo e Giambattista Folengo, due letterati che hanno condiviso alcune vicende delle loro esistenze con le nostre cittadine. Grazie!
Permettetemi, altresì, brevemente, di rivolgere un pensiero al dottor Fabris. Caro dottore, ho avuto il piacere di conoscerla di persona soltanto qui, ma la sua fama l’aveva ben preceduta. Qualche giorno fa, infatti, Stefano mi ha girato una sua mail, a lui indirizzata, nella quale lei rivolgeva un accorato plauso al fatto che in questa iniziativa fossero stati coinvolti dei giovani. Nonostante io abbia già quarant’anni, mi sento ancora giovane e posso ritenere, quindi, che quelle parole fossero rivolte anche a me. Ciò, tuttavia, che mi ha maggiormente colpito è stato l’equilibrio formale della sua scrittura. Il mio intervento tratterà del “macaronico” il quale è, sotto molti aspetti, una lingua, per cui, queste mie parole non sono una mera captatio benevolentiae, quanto invece, tendono a porre l’accento su una questione che mi corruccia oltremodo in questi tempi: il sostanziale imbarbarimento dei registri della nostra comunicazione linguistica, verbale e scritta, non già a causa dell’adozione, da parte della nostra lingua italiana, di esterismi, quanto di quelle pratiche esiziali di sostituire parole con lettere, con simboli, con disegni, emoticon, che impoveriscono un patrimonio linguistico di cui dobbiamo andare fieri e che abbiamo il dovere di conservare. Pensate, ad esempio, alla comunicazione istantanea, quella degli sms, delle email e capirete bene il senso di queste mie parole. Le giunga, quindi, il mio personale ringraziamento, affinché molti possano seguire il solco che lei continua a tracciare.
Bene, come avrete potuto intuire, l’argomento della mia relazione è costituito dal “macaronico”, la lingua “macaronica”, quella con cui Teofilo Folengo ha composto alcune tra le sue opere più famose, il “Merlin Cocaii macaronicon”, ad esempio. Quindi, avventuriamoci in una breve storia di questo registro linguistico, non inventato, ma certamente reso famoso dal nostro Teofilo.
Cominciamo con una data: il 1525. Folengo aveva 34 anni. Cosa successe di così importante nel 1525? Pietro Bembo, patrizio veneziano, non ancora cardinale (lo sarebbe stato creato nel 1539 da papa Paolo III), diede alle stampe, a Venezia, per i tipi dello stampatore Tacuino, un’opera fondamentale per la storia della lingua italiana: le “Prose della volgar lingua”. In questo dialogo in tre libri, Carlo Bembo, fratello di Pietro, Ercole Strozzi, umanista di Ferrara, Giuliano de’ Medici duca di Nemours e Federigo Fregoso, futuro cardinale, discutono sulla lingua volgare, fornendo il pretesto all’autore per ritenere che, quale modello per la composizione in poesia, si ci dovesse rifare a Petrarca, mentre per la prosa, a Boccaccio. Con molta sorpresa, il cardinale non incluse Dante tra i modelli (di cui, nel 1501 pure aveva curato una edizione della Divina Commedia) ma qui il mio discorso prenderebbe una piega troppo vasta da affrontare, per cui lascio correre.
Pietro Bembo non fu un caso isolato di intellettuale dedicatosi alle questioni formali della lingua. In quegli anni, infatti, tutta la penisola era pervasa da questa ossessione per la purezza della lingua. Il futuro cardinale fu uno dei più eminenti rappresentanti dei ciceroniani, gruppo che si prefiggeva la restaurazione di uno stile ispirato alla classicità romana, contrassegnato dall’imitazione dei due modelli principali della lingua latina (trasposti anche in quella volgare): Cicerone per la prosa e Virgilio per la poesia. Fu anche l’iniziatore del Petrarchismo, proponendo lo stile del poeta aretino come esempio di purezza lirica e come modello assoluto. Su questa indicazione, la poesia dell’epoca avrebbe preso esempi e imitazioni dalle rime petrarchesche, aprendosi anche alla composizione da parte delle donne: Vittoria Colonna, Gaspara Stampa, Isabella di Morra. Anche Michelangelo Buonarroti avrebbe composto le sue liriche seguendo questo modello.
Mi piace fare un paragone con la pittura: da un lato, quindi, il petrarchismo lirico, l’idealizzazione dei temi naturalistici, dell’amore, dall’altro, la pittura di Raffaello Sanzio, l’idealizzazione della natura e dei personaggi ritratti in essa. Tra l’altro, fu proprio Bembo a comporre l’epitaffio, poi, inciso sulla tomba del pittore, al Pantheon, a Roma: “Qui giace Raffaello: da lui, quando visse, la natura temette d’essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire”.
Cosa c’entra tutta questa perfezione formale, visiva, artistica con Folengo e il “macaronico”? Cosa c’entra un ricco signore veneziano, poi principe della chiesa, con un monaco benedettino, dalla vita vagabonda e spesso vissuta in povertà?
C’entra tutto e anche molto. Ho sempre amato, nel corso dei miei studi, creare, cercando però di non forzare oltremodo, paragoni, simmetrie ed equilibri tra i vari movimenti culturali che si sono succeduti nel corso della storia. Mi sia concesso di autocitare il titolo di uno dei capitoli del secondo volume della mia “Storia della letteratura italiana”, in uscita, spero, il prossimo dicembre. “I ribelli”, nel quale tratto proprio di Folengo, di Angelo Beolco, detto Ruzzante, e di Pietro Aretino. Perché ribelli? Perché ciascuno di questi, a modo suo, si ribellò ai canoni formali della letteratura coeva, tracciando e percorrendo nuove strade: Folengo, anche se non era fu il primo (si pensi al “Morgante” del fiorentino Luigi Pulci, 1478) con la parodia dell’epica classica (il “Baldus”), corroborata dall’uso della lingua macaronica; Ruzzante, rivoluzionando il teatro classico con i suoi tipi e personaggi, portando in scena i vizi e le pulsioni dei contadini e dei poveri rispetto agli eroi classici dei teatri delle corti signorili italiane; e Aretino, il famoso e licenziosissimo Aretino, il quale capovolse i canoni lirici in quanto a tematiche, spingendo la poesia fino d’amore alla celebrazione degli istinti sessuali (dal petrarchesco “Chiare, fresche et dolci acque,/ ove le belle membra/ pose colei che sola a me par donna” al “Fottiamci, anima mia, fottiamci presto”). Ora posiamo entrare più nel dettaglio, seppure brevemente, dell’argomento che ha dato il titolo a questo mio intervento: il macaronico.
Per lingua macaronica si intendeva, originariamente, un modo, per lo più scherzoso di imitare, la lingua latina, utilizzando desinenze e assonanze proprie del latino, applicate, però, a radici e lemmi delle varie lingue volgari che si parlavano nella penisola italiana. L’uso di questo particolare registro linguistico si sviluppò nel ‘400, con il “Carmen Macaronicum de Patavinisis” di Tifi degli Odasi (pubblicata, a Padova, nel 1488), un carme nel quale, in esametri, l’autore racconta di uno scherzo tirato da un gruppo di universitari (macaronea secta) a uno speziale.
Fu nel ‘500 che questo registro si diffuse più largamente, quando, molti scrittori, tra cui lo stesso Folengo, si diedero a poetare o a narrare di argomenti popolari o allusivi in una forma resa pomposa dalla sonorità latineggiante, che aveva l’effetto di traslare le miserie del quotidiano alla sontuosità para-liturgica della lingua degli imperatori e, più ancora, dei preti.
Era un tempo nel quale la separazione fra i ceti al potere e il proletariato si nutriva anche della distanza culturale, di cui il latino era il principale simbolo ed insieme strumento. L’invenzione del latino maccheronico, quindi, poggiava, infatti, per un verso, sulla cupezza del linguaggio ufficiale, percepito come oscuro e classista dal popolino, che lo poneva in ridicolo “facendolo proprio” appropriandosene” per ragioni la cui modestia è la prima ragione d’irriverenza, per un altro verso, consentiva e un illusorio accesso proprio a questa lingua esclusiva, con un effetto di gratificazione apparente. Come per tutte le metodiche dissacranti, anche il macaronico raggiunse il duplice obiettivo di mettere alla berlina, denunziando in forma di satira, l’uso di una lingua criptica da parte del ceto dominante, ma, insieme, era puro lazzo, mera leva ludica, veicolo di lievi come di grevi giochi dialettici.
Nel caso specifico di Folengo, da latinista raffinato quale era, seppe creare un impasto linguistico, come una teglia di gnocchi, i macaroni, come ha suggerito il dottor Fabris, conditi variegatamente, dove, accanto al dialetto piegato al latino, comparivano parole e immagini “dotte”, tipiche del latino classico. Ascoltate un breve esempio: “Baldovina tamen cartam comprarat, et illam/litterarum tolam, supra quam diceret A.B./ Unde scholam Baldus nisi spontaneus ibat;/ nam quis erat tanti seu mater sive pedantus/ qui tam terribilem posset sforzare putinum?” (“Baldus”, III, vv. 85-86). “Tuttavia Baldovina aveva comprato la carta e la tabella delle lettere (“tolam”), sulla quale Baldo doveva imparare l’alfabeto. Baldo non andava a scuola se non spontaneamente. Infatti, chi avrebbe mai potuto, fosse pure sua madre o il maestro, sforzare un ragazzino tanto terribile come Baldo?”.
Come avete potuto notare, il linguaggio “macaronico” fa largo uso del dialetto, il che corrisponde in pieno all’ambiente contadino dove si svolgono gli eventi del “Baldus”. Inoltre, le tradizioni linguistiche che si incontrano nel “macaronico” folenghiano, pur essendo tra loro differenziate, non sono tra loro così ripugnanti da portare alla creazione di qualcosa di incomprensibile. L’invenzione linguistica di Folengo aveva coerenza stilistica, in quanto aveva una fondamentale coerenza storica.
Desidero concludere questa mia breve relazione con le parole di Ernesto Parodi, un pioniere degli studi folenghiani: “Poiché l’italiano era uno strumento ribelle e l’anima sua non lo sentiva, il Folengo ricorse al dialetto, nel quale quella realtà era come immedesimata, col quale soltanto essa viveva in una perfetta comunione di vita. Il vero fondo di quella lingua maccheronica è il dialetto”. Io ritengo questa una verità sacrosanta!

Grazie.

 

 

 

26 maggio 2018. Sant’Agata sui Due Golfi
Giornata di studi folenghiani

 

 

Sabato 26 maggio Massa Lubrense è stata la cornice della giornata di studi folenghiani dal tema “I Folengo nella Terra delle Sirene”, organizzata dall’Associazione Internazionale per gli Studi Folenghiani “Amici di Merlin Cocai” e dall’Archeoclub di Massa Lubrense, sostenuta dall’Amministrazione Comunale e sostenuta dal Centro Studi “Bartolommeo Capasso” di Sorrento, dalla Pro Loco “Due Golfi”, dall’Associazione “Torca-Crapolla”, dal Servizio Civile Nazionale e dalla Confraternita del SS. Rosario di Sant’Agata, che ha ospitato l’evento nel proprio oratorio.
Si è discusso dei rapporti dei fratelli Folengo con Massa e, in particolare, con Crapolla, dove i due benedettini hanno trascorso alcuni anni di vita eremitica agli inizi degli anni Trenta del ‘500. Testimone di questo soggiorno è una parte cospicua della loro produzione letteraria, come l’Umanità del Figliuolo di Dio, lo Ianus, il Varium Poema e la redazione Cipadense del Baldus di Teofilo e dei Pomiliones di Giambattista.
È stata presente anche una folta delegazione dell’Associazione Internazionale per gli Studi folenghiani “Amici di Merlin Cocai” di Bassano del Grappa, guidata dal Presidente Otello Fabris, tra i maggiori studiosi italiani dei fratelli Folengo.

L’Associazione veneta, a conclusione della giornata di studi, ha fatto dono alla Città di Massa Lubrense dello ‘Scaffale Folenghiano’:  35 edizioni delle opere di Teofilo Folengo rare e fuori commercio.

 

Leggi l’intervento integrale di Riccardo Piroddi

 

 

 

 

 

 

10 luglio 2017. Sant’Agata sui Due Golfi. Piazza Sant’Agata

 

Presentazione del romanzo di Raffaele Lauro, “Don Alfonso 1890 – Salvatore Di Giacomo e Sant’Agata sui Due Golfi”

 

Serata incantevole, emozionante, memorabile, spettacolare, irripetibile, sublime, un mix di cultura, musica e di alta cucina! Questi alcuni degli aggettivi pronunziati dai numerosi e qualificati partecipanti, in Piazza Sant’Agata, alla presentazione, in anteprima nazionale, del nuovo romanzo di Raffaele LauroDon Alfonso 1890 – Salvatore di Giacomo e Sant’Agata sui Due Golfi”, e al successivo, sontuoso e raffinatissimo party, offerto agli ospiti da Alfonso e Livia Iaccarino, nel giardino incantato di uno dei templi della gastronomia mondiale, il “Don Alfonso 1890”. I padroni di casa sono stati sommersi dai complimenti e dai riconoscimenti del sindaco Lorenzo Balducelli, del moderatore, Massimo Milone, e dei relatori Riccardo Piroddi, Antonino Siniscalchi, Salvatore Ravenna, Ernesto Iaccarino e Sergio Corbino, con interventi spumeggianti, ricchi di contenuti inediti, che hanno scatenato reiterati applausi del pubblico. Di alto livello, culturale e politico, le conclusioni dell’onorevole Ettore Rosato, il quale ha voluto anche ricordare la straordinaria carriera istituzionale dell’autore. I ringraziamenti di Lauro, con in braccio il nipotino Nello Lauro di Lugano, sono stati affidati alla voce incantevole di Francesca Maresca, la quale ha interpretato, in maniera eccelsa, accompagnata dal maestro Luigi Belati, le sei canzoni, citate nel romanzo, dedicate a Salvatore Di Giacomo, a Lucio Dalla e a Mireille Mathieu. Presenti numerosi giornalisti, prefetti, artisti, registi, danzatrici, personalità della cultura, autorità civili e militari, imprenditori e albergatori. Ospite d’onore la splendida danzatrice anglo-italo-russa, Violetta Elvin, la quale ha illuminato la serata di grazia e di eleganza.

 

Guarda il video

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

17 settembre 2016. Sorrento. Libreria Indipendente

 

 

In occasione del 695° anniversario della morte di Dante Alighieri (14 settembre 1321 – 14 settembre 2016), la Libreria Indipendente di Sorrento ha reso omaggio al poeta con la videoproiezione della “Lectura Dantis: INFERNO. I Personaggi”, realizzata da Riccardo Piroddi, pubblicista, blogger e autore, nel 2011, del saggio dal titolo, Storia (non troppo seria) della Letteratura Italiana, Edizioni Albatros.
Sin dai decenni immediatamente successivi alla morte di Dante cominciarono a tenersi pubbliche letture dei suoi versi, sovente accompagnate da interventi analitici di commentatori. Tra i primi, Giovanni Boccaccio, nel 1373, a Firenze. La grandezza e l’immutato fascino dell’opera del Sommo Poeta si aprono, oggi, alla tecnologia, pur nella secolare tradizione della lectura espressiva e della lectura esegetica. Questo è lo spirito che anima la realizzazione di Riccardo Piroddi. Immagini, musiche, effetti sonori e gli stessi versi danteschi, magistralmente interpretati dalla potente voce recitante di Giulio Iaccarino, hanno dato vita ad alcuni tra i più celebri personaggi dell’Inferno, prima cantica del “Divino Poema” (Paolo e Francesca, Farinata degli Uberti, Pier delle Vigne, Ugolino della Gherardesca e altri), le cui vicende storiche e poetiche sono state oggetto di riflessioni, da parte dell’autore. In conclusione della serata, Mimmo Bencivenga, proprietario della Libreria Indipendente di Sorrento, ha letto pagine su Dante e Beatrice, tratte dalla “Storia (non troppo seria) della Letteratura Italiana” di Riccardo Piroddi.

 

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28 agosto 2016. Sant’Agata sui Due Golfi. Sala della Confraternita del SS. Rosario

 

 

Un pubblico di assoluta eccezione, che ha affollato la Sala della Confraternita del SS. Rosario di Sant’Agata sui Due Golfi e che ha seguito, con entusiastico interesse, con partecipe attenzione e con scroscianti applausi, la presentazione del terzo romanzo de “La Trilogia Sorrentina” di Raffaele Lauro, “Dance The Love – Una stella a Vico Equense”, perfettamente organizzata e coordinata da Donato Iaccarino, nell’ambito della XVI Edizione del Premio “Salvatore Di Giacomo 2016”, è stato colto piacevolmente di sorpresa, quando lo scrittore sorrentino, nei ringraziamenti agli amministratori, agli organizzatori e ai relatori, ha annunziato l’uscita, nel 2017, del suo nuovo romanzo, dedicato all’epopea imprenditoriale e gastronomica di Alfonso Iaccarino, nonno dello chef pluristellato Alfonso Iaccarino del Ristorante “Don Alfonso 1890” di Sant’Agata sui Due Golfi, dal titolo “Salvatore Di Giacomo e Sant’Agata sui Due Golfi – Don Salvatore e don Alfonso”. Dopo la raffininata introduzione del presidente della Pro Loco Iaccarino, i garbati saluti del sindaco Lorenzo Balducelli e la delicata testimonianza, tutta al femminile, di Giovanna Staiano, si sono succeduti i magistrali interventi della ristoratrice Livia Adario Iaccarino, del pubblicista Riccardo Piroddi e del presidente dell’Associazione Culturale “La Fenice”, Nicola Di Martino. La Iaccarino ha definito il romanzo di Lauro un’altra gemma preziosa del suo cammino celebrativo della Penisola Sorrentina, non inferiore ai precedenti romanzi, che apre, tuttavia, ai lettori “la cassaforte della vicenda, umana e artistica, della danzatrice russa Violetta Prokhorova Elvin, disvelando tesori di arte, di coraggio, di dedizione e di amore”. Piroddi, il quale ha seguito passo passo la scrittura del romanzo, ha fatto ricorso ripetutamente all’opera di Friedrich Nietzsche (“La gaia scienza”, “Il crepuscolo degli idoli”, “Così parlò Zarathustra”), per esaltare la stupefacente vitalità di Violetta Elvin e, in particolare, ha sottolineato, come la danzatrice, filosoficamente parlando, abbia operato una rivoluzione nietzschiana, superando l’oppressione di un regime dittatoriale e accettando la trasvalutazione dei valori, con la rinunzia a qualcosa che amava, la danza, per abbracciare qualcuno che avrebbe amato ancora di più”. Di Martino, infine, ha stupito tutti con una relazione di elevato spessore accademico, sottolineando gli intrecci del romanzo, tra storia universale e storia locale, definendo Lauro un vero maestro e un “coreografo della scrittura”: “Dance The Love, danza dell’amore è l’imperativo che il misterioso e inconoscibile Sommo Coreografo detta, attraverso il profeta Lauro, a Violetta Elvin. Chi ha occhi visionari e mente plagiata dalla sacra storia locale del mito, vede Violetta Elvin svolazzare leggera, chagallianamente leggera, sulle alture del Monte Comune e sulle piccole Isole delle Sirene”. In conclusione, la toccante testimonianza lirica del poeta massese Gianni Terminiello e l’intensa lettura del passo conclusivo del romanzo, da parte di Giulio Iaccarino, priore della Confraternita e attore teatrale, hanno regalato ai presenti momenti di autentica commozione. Il pubblico ha salutato più volte, con vibranti standing ovation, la protagonista del romanzo, Violetta Elvin, costretta dal caldo eccessivo della giornata a rinunziare ad essere presente alla manifestazione santagatese.

 

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19 giugno 2016. Sorrento. Palazzo Marziale

 

 

Una raffinatissima lunch reception, sotto l’accorta regia di Paola Savarese Ravenna, ha concluso, a Sorrento, nell’incanto di Palazzo Marziale, la manifestazione di presentazione del pamphlet di Raffaele LauroIl Palazzo Marziale di Sorrento”, edito da GoldenGate Edizioni, realizzato con i contributi del professor Salvatore Ferraro e di Fabrizio Guastafierro, per le ricerche storiche, e di Riccardo Piroddi, per il coordinamento editoriale. L’evento è stato onorato dalla partecipazione di autorità locali, rappresentanti istituzionali, manager, personalità della cultura, giornalisti, blogger e amici dei padroni di casa, provenienti anche da Roma e dall’Argentina. Nel loro indirizzo di benvenuto, Salvatore e Paola Ravenna hanno voluto sottolineare il valore dell’iniziativa, finalizzata ad esaltare, in termini di qualità, l’offerta turistica sorrentina. Hanno portato il saluto e la condivisione delle rispettive amministrazioni comunali,  il sindaco di Sant’Agnello, Piergiorgio Sagristani, il neo-sindaco di Piano di Sorrento, Vincenzo Iaccarino, e il vice sindaco di Massa Lubrense, Giovanna Staiano. Ha coordinato l’incontro pre-conviviale, Antonino Pane, già capo redattore de “Il Mattino”, il quale ha lanciato una precisa proposta agli altri imprenditori alberghieri di Sorrento e della Penisola Sorrentina: “Questa benemerita iniziativa non può rimanere isolata, come un fiore prezioso nel deserto, ma deve diventare la prima di una lunga serie, puntando ad una collana di pamphlet di analoga fattura, nei contenuti rigorosi e nell’elegante veste editoriale, plurilingue, sui numerosi palazzi patrizi sorrentini. In modo da consentire agli ospiti di Sorrento di riportare, alla fine del loro soggiorno, un prezioso documento tascabile, di facile lettura, che illustri la storia di quelle nostre prestigiose residenze, adibite all’arte dell’accoglienza”. Ha preso la parola, infine, Raffaele Lauro, il quale ha ricordato l’antico vincolo di affetto che lo lega, da decenni, ai padroni di casa, e ha esaltato il rapporto sinergico tra cultura e turismo, tra cultura e gastronomia: “La cultura di un territorio non può essere confinata in un museo o in una biblioteca, che, pur essendo importanti, come custodi del passato, non esauriscono la dimensione spirituale di una comunità speciale, dal punto di vista antropologico, come la nostra. A maggior ragione, in una terra, che ha fatto dell’arte dell’accoglienza, da secoli, il suo specifico socio-economico, il nostro patrimonio identitario si arricchisce anche del rapporto con le colture del territorio e con il legame strettissimo con la qualità e la varietà del cibo, offerto agli ospiti di tutto il mondo”. Il fastoso lunch, ideato e preparato dal giovane chef Andrea Napolitano, ha suggellato una indimenticabile festa sorrentina, veramente di classe e insieme sobria, come nello stile della casa.

 

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Foto di Adriano Gorgoni