Archivi categoria: Filosofia

La nascita della tragedia dallo spirito della musica
di Friedrich Wilhelm Nietzsche

Ombra e luce tra estasi e verità

 

 

 

Nelle spire avvolgenti di La nascita della tragedia (1872), Friedrich Nietzsche intreccia un manifesto di visioni estatiche e riflessioni profonde, dove filosofia e letteratura danzano in un abbraccio inestricabile. Il testo, opera prima di un giovane Nietzsche ancora influenzato dall’ellissi di Schopenhauer e dal dramma musicale di Wagner, si configura come una meditazione ardente sulla musica, sulla tragedia greca e sulla capacità dell’arte di svelare e, allo stesso tempo, velare la crudele verità dell’esistenza.
Al centro della riflessione nietzschiana giace il contrasto eterno tra il principio apollineo e quello dionisiaco. Apollo, dio della luce, dell’ordine e della forma, rappresenta la bellezza estetica, il confine che disciplina il caos. Dioniso, al contrario, incarna l’estasi, l’irrazionale, l’ebbrezza che dissolve ogni frontiera, celebrando l’unità primordiale dell’individuo con la natura attraverso il rito del vino e del sacrificio.
Nella filosofia di Friedrich Nietzsche, esposta con particolare forza anche in quest’opera, i concetti di apollineo e dionisiaco rappresentano due forze opposte ma complementari, che definiscono l’essenza dell’arte, della cultura e dell’esistenza umana. Il filosofo utilizza questi archetipi per esplorare le dinamiche profonde dell’arte tragica, ma anche per riflettere su questioni più ampie relative alla condizione umana.
Il principio apollineo rappresenta il desiderio di ordine, armonia e bellezza. Apollo è il protettore delle arti visive e della profezia, simbolo di controllo e di misura. Nell’estetica nietzschiana questo principio si manifesta nel bisogno di struttura, nella chiarezza delle forme e nella coerenza dell’illusione. L’apollineo è associato al mondo dei sogni, dove ogni immagine è definita e ogni contorno chiaro; è un regno in cui il caos viene controllato attraverso la creazione di forme riconoscibili e la delineazione di limiti.
Nel contesto della tragedia greca, l’apollineo si riflette nella maschera del tragico, che serve a creare una distanza tra l’attore e il personaggio, permettendo agli spettatori di sperimentare la catarsi in modo sicuro, senza essere sopraffatti dall’immediatezza delle emozioni rappresentate.
In contrasto, il principio dionisiaco incarna la perdita dell’individuazione, l’ebbrezza e la fusione con la natura e con gli altri esseri umani. Dioniso è il dio del vino, dell’intossicazione e del rilascio delle inibizioni sociali. In termini nietzschiani, Dioniso rappresenta l’energia vitale irrazionale e caotica che sottende all’esistenza, il desiderio di unione mistica e di dissoluzione dei confini tra il sé e l’altro.

Nel teatro tragico, il coro dionisiaco agisce come la voce collettiva della comunità, esprimendo le verità profonde e universali per mezzo del canto e della danza. È attraverso Dioniso che il teatro diventa uno spazio di identificazione comunitaria, dove gli spettatori si confrontano con le forze primordiali della natura e della psiche umana.
Nietzsche sostiene che l’arte raggiunga il suo apice quando questi due principi sono in equilibrio. La tragedia greca, infatti, combinava l’ordine e la forma dell’apollineo con l’estasi e l’abbandono del dionisiaco. Tale fusione permetteva agli spettatori di guardare direttamente nel cuore del dolore e della sofferenza umana (un territorio dionisiaco), ma attraverso una struttura formale e distanziante (apollinea) che rendeva l’esperienza sopportabile e, infine, catartica.


Quest’interazione tra forma e frenesia, tra sogno e distruzione, non è solo centrale nell’arte ma è un’immagine potente per comprendere i conflitti interni e sociali dell’esistenza umana. Nietzsche vede in questo equilibrio una forza motrice della cultura e un necessario contrappeso alle tendenze unilaterali che possono portare sia all’anedonia che alla dissoluzione.
L’apollineo e il dionisiaco non sono solo categorie estetiche ma anche filosofiche, che offrono una lente attraverso cui Nietzsche interpreta il mondo. La loro danza eterna è un simbolo della tensione incessante tra ordine e caos, tra la razionalità dell’individuo e l’irrazionalità dell’esistenza collettiva.
In una prosa che sfiora il lirismo, Nietzsche esplora come la tragedia greca abbia saputo fondere questi due impulsi apparentemente opposti, creando un’arte capace di sopportare lo sguardo nel terrore della vita, senza tuttavia soccombere sotto il suo peso. Il coro tragico, dunque, si rivela non solo come spettatore ma come partecipe e testimone della sofferenza umana, elevando l’individuo dalla mera angheria del destino alla sublime accettazione del dolore.
Nel descrivere l’evoluzione e il declino della tragedia greca, Nietzsche lancia una critica appassionata contro il razionalismo di Socrate, che con il suo encomio della dialettica avrebbe corrotto e infine soffocato lo spirito dionisiaco della tragedia. Con Socrate inizia l’epoca della “teoreticità”, in cui il pensiero prevale sul sentire, e il principio dionisiaco è messo a tacere.
In La nascita della tragedia, Nietzsche non solo formula una teoria estetica, ma anche una visione del mondo in cui l’arte diviene un cruciale campo di battaglia tra il caos delle passioni umane e l’ordine imposto dal pensiero. Questo testo rappresenta un invito a riscoprire il potere salvifico dell’arte, capace di riconciliare l’umano con il divino, l’effimero con l’eterno, il dolore con la bellezza.
Così, attraverso questo viaggio tra le rovine e i fasti del mondo greco, Nietzsche ci invita a guardare in faccia il nostro abisso, con la speranza, forse, di trovare in quel buio una stella danzante. La sua prosa, vibrante di pathos e di una quasi musicalità, lascia un’impronta indelebile nella storia del pensiero, un canto tragico che risuona attraverso i secoli, sfidando il tempo e la dimenticanza.

 

 

 

DEMOCRACY THROUGH POLITICS
A philosophical and historical inquiry

 

 

The work delves into the intricate relationship between politics, power, and democracy through an integration of political philosophy and the history of democratic thought. The text examines how various models of governance and power have shaped human societies from antiquity to the modern era, with a particular focus on the anthropological and social foundations of politics and the asymmetry of political power. Author investigates political power in relation to military power and the legitimation of political authority through laws, norms, and justice. Tracing a historical trajectory from fifth-century BC Athenian democracy to the challenges faced by democracy in the twentieth century, the book provides critical reflections on how democracy might adapt in response to the demands of a complex and rapidly changing world. The epilogue contemplates the death of Socrates as a symbol of the conflict between political power and moral integrity, linking historical-philosophical themes to the contemporary context.

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Principi della filosofia dell’avvenire di Ludwig Feuerbach

L’uomo crea Dio

 

 

 

Nella potente orditura della storia della filosofia, Ludwig Feuerbach, con Principi della filosofia dell’avvenire, pubblicato nel 1843, intesse una esaltazione dell’umanesimo e una critica acuta dell’idealismo hegeliano. Il testo, come una fiaccola, illumina il cammino verso una comprensione più terrena dell’esistenza umana. Feuerbach, con le sue parole che diventano pennelli, dipinge un quadro dove l’essenza dell’uomo non è astrazione, ma carne, sangue e ossa, intrisi di desideri e di realtà. Quest’opera costituisce una svolta significativa nel pensiero moderno, marcando una transizione dall’idealismo verso una visione più antropocentrica e materialista dell’esistenza.
Feuerbach si propone, innanzi tutto, di rovesciare le vedute tradizionali dell’idealismo, dove le idee sono sovrane, per ricondurre la filosofia ai sentieri terreni dell’essere umano concreto. Prende le mosse criticando l’idealismo hegeliano, secondo cui la realtà è essenzialmente spirituale e la storia umana è il dispiegarsi dell’idea assoluta. Contrariamente a Hegel, sostiene che il punto di partenza della filosofia non debba essere l’Idea o lo Spirito, ma l’uomo materiale e la sua esperienza sensibile. Questo approccio materialista mette in luce come la realtà degli esseri umani sia radicata nelle loro condizioni fisiche e sociali, piuttosto che in una qualche realtà astratta e ideale. Postula che “l’uomo è ciò che mangia”, non solo in senso fisico ma anche intellettuale, ponendo le basi per un materialismo sensibile, che individua nella realtà materiale e nelle relazioni umane la vera essenza della vita. Attraverso questo prisma, esplora l’alienazione religiosa, mostrando come l’ideale divino sia in realtà un riflesso amplificato delle virtù umane, una proiezione delle nostre migliori qualità su uno schermo celestiale.
Tra i contributi più rivoluzionari di Feuerbach alla filosofia della religione è la tesi secondo cui “la teologia è in realtà antropologia”. Il filosofo argomenta che Dio è un’invenzione umana, un ideale proiettato che incarna le qualità e gli attributi più elevati dell’uomo. Le qualità divine – onniscienza, onnipotenza e moralità perfetta – sono aspirazioni umane proiettate in cielo. In questo senso, studiare Dio è studiare l’uomo; comprendere le religioni significa intendere come gli esseri umani idealizzano e esternalizzano le loro virtù e speranze più profonde.
Il pensatore estende la sua critica anche alla religione, evidenziando come essa alieni gli esseri umani dalle loro capacità e potenzialità. Secondo Feuerbach, infatti, quando le persone attribuiscono le proprie qualità migliori a una divinità esterna si privano della capacità di realizzare il proprio potenziale. La fede in Dio, perciò, diventa un meccanismo per l’autoalienazione: gli individui non solo perdono la proprietà delle loro virtù, ma diventano anche dipendenti da un’autorità esterna per il senso della loro vita e della loro moralità.


Il corollario della critica di Feuerbach alla religione è il suo appello a un nuovo umanesimo. Egli vede la necessità di riconoscere pienamente l’umanità dell’uomo e di celebrare le sue capacità reali, piuttosto che idealizzarle in forme divine. Questo umanesimo materialista ridefinisce la posizione dell’uomo nel mondo e promuove l’istituzione di una società in cui l’individuo sia valorizzato non per la sua aderenza a ideali spirituali, quanto per la sua capacità di vivere pienamente e creativamente nel mondo materiale.
Storicamente, Feuerbach si situa in un crocevia critico, in quel dopo Hegel che vide la filosofia tedesca dividersi in correnti contrapposte. La sua critica dell’idealismo non era soltanto un dibattito accademico, ma un intervento urgente nelle questioni socio-politiche della sua era. In un tempo di rivoluzioni e di grandi turbamenti sociali, il filosofo chiamava l’uomo a riconoscere la propria responsabilità e il proprio potere, liberandolo dall’oppressione delle illusioni ideologiche e spingendolo verso l’autocoscienza.
Come un poeta della prosa, Feuerbach intreccia nelle pagine del suo libro una narrazione che è al tempo stesso rigorosa e ricca di invenzione. Le sue teorie non sono fredde disquisizioni, ma ardenti appelli al cuore dell’uomo, inviti a riscoprire la gioia e il dolore del puro essere. In questo, Feuerbach è quasi romantico, poiché eleva l’esperienza sensoriale a strumento di conoscenza, un canto d’amore verso l’umanità stessa.
In Principi della filosofia dell’avvenire, l’Autore sfida il lettore a pensare e a sentirsi vissuto. Ogni pagina costituisce un passo verso la liberazione dall’autorità soffocante delle idee disincarnate, un percorso verso un’avvenire dove l’essenza dell’uomo è finalmente celebrata non nei cieli, ma sulla terra, tra la gente. Con questo lavoro, Feuerbach si conferma un filosofo dell’umanità, un poeta della umana ricerca di significato, un bardo che canta l’epopea dell’esistenza umana contro il coro delle astrazioni. Nel suo richiamo a una filosofia nuova, risiedono un manifesto e una promessa: quella di un avvenire in cui l’uomo, pienamente riconosciuto e valorizzato, possa finalmente trovare la sua dimensione.
Feuerbach, pertanto, in questo suo testo offre una visione radicale e profondamente trasformativa della filosofia e della religione. Il suo invito è a un rinnovamento della filosofia che ponga l’essere umano e la sua esperienza al centro dell’indagine filosofica, liberandolo dalle catene delle ipotesi ideologiche e religiose e aprendo la via a una comprensione più completa e emancipata della sua esistenza.

 

 

 

Sopra lo amore ovvero Convito di Platone
di Marsilio Ficino

L’amore, l’anima, l’assoluto

 

 

 

Nel cielo stellato del Rinascimento italiano, un filo d’oro brilla con luce propria: è Sopra lo amore ovvero Convito di Platone (1469) di Marsilio Ficino, opera in cui la filosofia platonica si fonde con il neoplatonismo in un abbraccio erudito e profondo. Ficino, astrologo e filosofo della corte medicea di Cosimo il Vecchio prima e di Lorenzo il Magnifico poi, dispiega una visione dell’amore che trascende il terreno, elevandosi a modello cosmico, espressione pura dell’anima che aspira alla bellezza assoluta, alla verità oltre il velo delle apparenze.
Le teorie di Platone rivivono in Ficino con una nuova veste, tinta di misticismo e di una spiritualità che si espande oltre i confini della semplice attrazione umana. L’amore è visto come una forza motrice universale, un principio cosmico che lega la terra al cielo, l’umano al divino. È tramite questo amore che l’anima, prigioniera del corpo, può elevarsi, riconoscendo nel bello una scintilla della verità eterna.
Ficino introduce anche elementi di esoterismo, che si intrecciano sottilmente con la dottrina platonica. Il suo amore diviene un viaggio iniziatico, dove ogni forma di bellezza contemplata è un gradino verso la sapienza, un passo più vicino all’Uno, principio supremo e fonte di ogni esistenza. Questa visione dell’amore come percorso di conoscenza e illuminazione trasforma Sopra lo amore in una guida per l’anima che cerca di superare i confini del materiale e del temporale. All’amore e alla bellezza non nono attribuite soltanto valenze filosofiche ma anche simboliche e occulte. Questo amore esoterico suggerisce una dimensione di segreti nascosti da scoprire, di verità velate da svelare attraverso simboli e rituali che superano la mera razionalità e che si addentrano nei misteri più profondi dell’esistenza.
Attraverso il dialogo tra i vari personaggi, l’Autore esplora queste tematiche con una delicatezza e una profondità che incantano il lettore, portandolo a riflettere sulle proprie esperienze amorose e sulla natura dell’amore stesso. Gli interlocutori, filosofi e sapienti del suo tempo, si scambiano opinioni e argomentazioni che riflettono un’epoca in cui l’indagine dell’amore e della bellezza poteva essere tanto un’esercitazione intellettuale quanto un percorso spirituale.
Ficino riprende la nozione platonica di amore, o Eros, come principio catalizzatore che muove l’anima verso il suo fine ultimo: la contemplazione del bello in sé, ossia l’Idea del Bello. Questo concetto si discosta dall’amore terreno, poiché per Platone l’amore è il desiderio perpetuo di ciò che è perpetuamente assente. Ficino estende questa visione, identificando l’amore come forza universale che unisce non solo gli esseri umani tra loro, ma anche l’uomo con il cosmo e il divino. In questo modo, l’amore diventa un mezzo attraverso il quale l’anima può aspirare alla sua purificazione e ascensione.


Uno dei pilastri del pensiero di Platone, che il filosofo fiorentino elabora ulteriormente, è il concetto di anamnesi, ovvero la reminiscenza dell’anima delle forme pure a cui era unita prima di incarnarsi nel mondo materiale. Attraverso l’esperienza della bellezza – che si manifesta nel mondo sensibile ma che rimanda a quella ideale e immutabile – l’anima ricorda la sua origine divina e viene stimolata a ritornare a quella condizione. Ficino, quindi, vede la bellezza come un ponte tra il sensibile e l’intelligibile, tra l’anima e l’Idea suprema della Bellezza stessa.
Nel neoplatonismo, e particolarmente in Ficino, l’Uno o il Bene supremo rappresenta la fonte di tutto ciò che esiste. L’amore è inteso come il desiderio dell’anima di ricongiungersi all’Uno, interpretato quale ritorno all’origine, all’assoluto da cui tutto deriva. Tale ritorno è possibile attraverso la conoscenza e l’amore delle forme eterne e immutabili, un percorso descritto come intrinsecamente legato alla pratica filosofica e mistica.
L’intelletto gioca un ruolo cruciale in Sopra lo amore. Non è solo tramite la sensazione o l’emozione che l’amore può essere compreso o realizzato, ma attraverso un’intensa attività intellettuale. L’anima, per Ficino, si eleva al divino non solo amando, ma comprendendo e contemplando. L’atto di “vedere” il bello e, quindi, di “ricordare” le verità eterne è un processo intellettivo, una forma di illuminazione spirituale che avvicina l’anima all’Uno.
In Sopra lo amore, l’Autore offre così una sintesi vibrante e complessa di amore, filosofia e misticismo, invitando i lettori a considerare l’amore come il principio primo di una filosofia di vita che aspira all’unione con il tutto, un viaggio dall’ombra alla luce, dalla forma alla sostanza, dal particolare all’universale.
Ficino, pertanto, non si limita a tradurre o interpretare Platone, ma ne rinnova il messaggio in chiave contemporanea, facendo appello alla sua comunità di intellettuali e spiriti affini.
Questo testo non è soltanto un trattato filosofico, ma un manifesto di quella sete di conoscenza che caratterizzò l’Umanesimo.
Leggere Ficino è come ascoltare una melodia antica che parla al cuore e alla mente, una melodia che invita a elevarsi, a cercare il bello e il buono, a fondere amore e conoscenza in un unico cammino luminoso verso l’infinito.

 

 

 

State, sovereignty, law and economics
in the era of globalization

 

 

Taken from my lectures as a Teaching Fellow in International Law, these reflections highlight how State sovereignty and International Law are profoundly influenced by globalization, economic integration and digital technologies, raising fundamental questions about global governance, State autonomy and the adaptation of legal structures to new economic and technological realities.

 

Part III

Globalization and political power

 

The economic globalization has fundamentally redefined the relationship with State-imposed regulations, turning it fluid, unstable, and continuously evolving. The contraction of space and time, driven by technological progress, culminates in the obliteration of physical distances; an emblematic phenomenon of our digital age. Technology, by erasing geographical boundaries, ushers in a new global order, a boundaryless mosaic where time seems to condense into an ethereal instant and physical reality transforms into a digital domain, dissolving matter into a virtual ether. The current era witnesses the merging of the real and the virtual into a singular, indistinguishable reality that is simultaneously dual-faced, surpassing the traditional dichotomy. This fusion marks the end of the national borders era, propelling us into a homogenized global dimension, where unified space heralds an era of universal time.
In the realm of transnational dynamics, an identity emerges that is hybrid, devoid of territorial roots, challenging conventional social and political categories, transforming the legal framework in response to the demands of a global market. In this context, transnational corporations sketch a new order – a “nomos” – that navigates between the local and the global, between the aspirations of a borderless market and the constraints of nation-States, reflecting the complexity of an interconnected world.

The re-evaluation of the State in the global age reveals a radical transformation: the State, traditionally a pillar of authority, power, and decision-making, confronts the pervasiveness of the global economy and the thinning of its sovereignty. Digital technologies and the Internet rewrite the geopolitical rules, eroding the territorial foundations of State sovereignty and promoting an economy’s de-territorialization that transcends national borders, ushering in an era of interconnected global markets elusive to definite localization.
Against this backdrop, new geometries of power and law emerge, where the virtual reality of the economy and the tangible reality of law intertwine, outlining a landscape where transnational dynamics redefine the relationship between State and market. Economic globalization challenges State supremacy, giving rise to an era of reversals: the market assumes a position of dominance over the State, redefining traditional hierarchies and marking a profound discontinuity between the national dimensions of law and the transnational dimensions of the economy.
In this fluid and dynamic context, transnational corporations emerge as new protagonists, shaping legal and economic spaces according to logics independent of State sovereignty. The transnational economic reality and national law coexist in constant tension, reflecting the complexity of a world where old certainties are questioned, and new forms of dominance and resistance emerge. In such a landscape, a new binary order of dominators and dominated manifests, a dichotomy reflecting the inherent inequalities of the globalization era, where technology and finance rewrite the rules of the game, relegating many to the margins of a system that privileges a few chosen ones.

 

 

 

 

Il trattato Del Sublime dello Pseudo-Longino

La retorica, arte liberale che “etterna” l’uomo

 

 

 

Il trattato Del Sublime dello Pseudo Longino (ignoto filologo dei primi decenni del 1° sec. d.C.), testo che naviga tra le acque profonde dell’estetica e della retorica, si erge come un faro per chi cerca di comprendere cosa realmente sollevi l’arte e il pensiero umano dall’ordinario al trascendente. Quest’opera, avvolta nel mistero della sua attribuzione, si dispiega come un antico rotolo, rivelando segreti sulla sublime arte della grande scrittura e dell’oratoria.
Il sublime di Longino non è confinato alle mere tecniche retoriche; è piuttosto un grido che risuona nella vastità del cuore umano, un invito a elevarsi sopra la piattezza della quotidianità. L’Autore esplora con ardore come il genio dell’uomo possa toccare il cielo, non solo tramite la grandezza del pensiero, ma anche con la potenza e l’impeto dell’espressione.
Attraverso esempi che spaziano da Omero a Platone, da Cicerone a Demostene, Longino illustra come il sublime possa scuotere l’anima, provocare stupore e ammirazione e lasciare un’impronta indelebile nella memoria dell’ascoltatore o del lettore. La grandezza, sostiene, risiede nella capacità di evocare il vasto e l’infinito, di far sì che chi ascolta si senta di fronte a qualcosa di significativamente maggiore di sé stesso.


Il trattato stesso è un esempio altissimo di questa teoria: è un tessuto di prosa filosofica e critica letteraria, intessuto di elevati pensieri che sfidano il tempo. La sua lingua, pur essendo un classico, non si arrende all’oblio, pulsando di una vita che ispira ancora chi scrive e chi parla con aspirazioni elevate.
Il trattato Del Sublime, quindi, è un inno alla grandezza umana, un manuale per coloro che aspirano a lasciare un segno indelebile nel mondo attraverso il potere della parola. È un’opera che non solo insegna, ma che tocca le corde dell’anima, invitando ogni lettore a superare i confini del pensabile e a raggiungere l’eterno.
Dodici secoli più tardi, Dante Alighieri avrebbe espresso un simile concetto nel canto XV dell’Inferno, allorquando, incontrando l’anima del suo amato maestro di retorica, Brunetto Latini, pronunciò queste parole:

ché ’n la mente m’è fitta, e or m’accora,
la cara e buona imagine paterna
di voi quando nel mondo ad ora ad ora
m’insegnavate come l’uom s’etterna.
(vv. 82-85).

 

 

 

State, sovereignty, law and economics
in the era of globalization

 

 

Taken from my lectures as a Teachinig Fellow in International Law at Università degli Studi “Link”, these reflections highlight how State sovereignty and International Law are profoundly influenced by globalization, economic integration and digital technologies, raising fundamental questions about global governance, State autonomy and the adaptation of legal structures to new economic and technological realities.

 

Part II

International Law and economics

 

 

The periodic transformation of Private International Law invariably prompts questions regarding the existence of a public international organization endowed with the authority to promulgate regulations and ensure their adherence and implementation. The safeguarding of interests that transcend those of individual States was addressed through the establishment of the League of Nations and subsequently the United Nations. These entities mandated States to relinquish their right to engage in war and to uphold the fundamental rights delineated in the 1948 Universal Declaration of Human Rights. The concept of sovereign power as a market regulator diminished and ultimately vanished with the emergence of the European Community, which redefined national States from absolute sovereigns to associative sovereigns, thereby rendering the notion of sovereignty fluid and incompatible with rigid definitions.
The ascendancy of the concept of “supranationality” signifies a departure from the traditional notion of sovereignty, the decline of the conventional State model, and a redefinition of power, which is no longer confined to the territory under the sovereignty of individual States. By ceding portions of their power to supranational bodies and institutions, national States adopt a supplementary role, becoming components of a system characterized by layered sovereignties and integral to a global interaction framework where sovereignty is systematically dispersed and subject to the compelled abdication of increasing segments of authority.
Globalization is typified by the progressive self-regulation of the economy, asserting its independence from the State, which assumes an increasingly peripheral role. National sovereignty wanes as economic and social interactions become de-territorialized, accentuating the importance of transnational economic regulation and the centralization of global political decision-making. The market, evolving into an independent legal regime along with the lex mercatoria, reshapes global economic regulations, underscoring the adaptability and flexibility of transnational economic law.
Transnational corporations, unshackled from territorial constraints, represent a novel form of global sovereignty, orchestrating their operations according to the demands of the global market without specific allegiance to any State. This evolution signifies a pivotal shift in the State’s role in favour of market dynamics propelled by transnational enterprises, which emerge as central pillars of the global economy, influencing economies and markets through their investment decisions.
Within the European Union, the interplay between interdependence and the collision of sovereignties is especially salient, given its distinctive historical, cultural, and institutional attributes. European integration epitomizes a vital model for global cooperation. Nonetheless, the global financial crisis, epitomized by the sovereign debt and financial institutions crisis in Europe that commenced in 2008, has significantly impacted this integration process. Economic adversities may foster divergent dynamics: they may necessitate expanded collaboration, yet simultaneously encourage trends towards protectionism, hostility, and the resurgence of nationalism and populism. However, not all conflicts or procedural delays within international or supranational decision-making frameworks yield negative outcomes. In certain instances, the mutual dependency between States and communal entities may even intensify. The Economic and Monetary Union, for example, rests on four principal strategic pillars for the future: 1) harmonization of financial and banking oversight systems; 2) implementation of coordinated or unified strategies for taxation, joint budget management, and public debt mutualization; 3) centralization of directives for economic policy and national structural reforms; 4) introduction of new frameworks and structures to enhance the democratic legitimacy of EU and Eurozone central authorities. Nevertheless, the path toward European integration can be fraught with conflicts, where central powers, although legitimized and shaped by the national interests of dominant nations, tend to constrain national sovereignties, with various implications for community identity. At times, the integration process may appear uncertain, hesitant, and at times inefficient, influenced also by actors representing specific interests, potentially in conflict with collective ones. The ideal objective would be to channel sovereign tensions into a catalyst for augmented cooperation.

 

 

 

 

State, sovereignty, law and economics
in the era of globalization

 

 

Taken from my lectures as a Teachinig Fellow in International Law at Università degli Studi “Link”, these reflections highlight how State sovereignty and International Law are profoundly influenced by globalization, economic integration and digital technologies, raising fundamental questions about global governance, State autonomy and the adaptation of legal structures to new economic and technological realities.

 

Part I

The role played by States within the international community

 

In the tapestry of the international arena, the dual concept of “sovereignty and independence” emerges as a foundational dyad, defining the essence and the prerogatives that are inherent to the identity of modern States. These attributes have persisted with remarkable consistency across the centuries, asserting themselves with renewed vigor in the current era of globalization.
From the inception of institutionalized international law with the Peace of Westphalia in 1648, each State is recognized as sovereign – acknowledged as supreme and unanswerable to any superior authority – and is endowed with the exclusive jurisdiction over its territory, embodying the principle of non-interference in domestic affairs by other States. Within this framework, the individual is subsumed under the State, considered part of its sovereign domain.
The legal scaffolding of sovereignty in international law highlights the State’s inalienable right over its territory, establishing a singular authority over its inhabitants. This authority encompasses the exclusive right to govern and the capacity to enforce its will through coercive means if necessary, precluding any external encroachments on its autonomy.
Sovereignty, thus, is a principle that delineates identity and difference, straddling the realms of the transcendental and the empirical. It encapsulates the State’s autonomy, its inherent capacity to govern free from external subjugation, and positions the State as both subject and object within the domain of cognizance.
The essence of sovereignty is encapsulated in the ius imperii, the fundamental authority to command and govern, an authority that originates from the State itself and does not owe its legitimacy to any higher power. This original power establishes the geographical bounds of sovereignty, contained within the territorial limits where the State’s authority is exercised.
This construct of sovereignty fosters a relationship of coordination among States, a dynamic interplay replacing the hierarchical notions of subordination and superordination, reflecting a polycentric legal universe where the sovereignty of one State is balanced against that of another.
The evolution of the nation-State is rooted in the principle of sovereignty, an originality that confers upon States the legitimacy to wield authoritative powers independently. This sovereignty is manifested both internally, as the supreme authority over all domiciled entities, and externally, marking the state’s equal standing among its international peers.
The emergence of international and supranational entities has nuanced the concept of sovereignty, catalyzing a redefinition of State powers and their domains of influence. This recalibration acknowledges that certain communal interests are better served beyond the confines of national boundaries.
The acknowledgment and respect for State sovereignty remain pivotal in the ethos of the international community. The principle of effectiveness underscores the State’s presence and authority within the international milieu, predicated on its tangible establishment and dissolution.
The contemporary discourse on sovereignty navigates the tensions between the vertical legitimacy and horizontal legality, reflecting on Hegel’s dialectic of the universal and the particular. This interplay underscores the dual nature of sovereignty as both a transcendental order and a contractual horizontal pact among equals.
The narrative of sovereignty and its evolution reflects a dynamic shift towards recognizing the importance of a public international organization capable of legislating and enforcing global norms. This shift, exemplified by the establishment of the League of Nations and the UN, marks a transition from the traditional paradigms of sovereign power towards a more integrated and cooperative international order.
In conclusion, the dialogue on sovereignty and its transformation in the context of globalization and supranational governance underscores the intricate balance between maintaining State autonomy and embracing the collective governance of shared global challenges. This ongoing evolution reflects the adaptive nature of sovereignty in the face of changing international dynamics, heralding new forms of governance that navigate between the traditional sovereign State and emerging global governance structures.

 

 

 

 

 

Denique caelesti sumus omnes semine oriundi

 

 

 

Complice una pasquetta uggiosa, questo pomeriggio ho ripreso un’opera la quale, già poco più che adolescente, mi aveva colpito moltissimo, anche grazie a un verso contenuto in essa: “Denique caelesti sumus omnes semine oriundi” (Siamo tutti generati da un seme celeste): il “De Rerum Natura” di Lucrezio, che si dispiega come un canto sospeso tra la ricerca della verità e l’abbraccio del mistero cosmico. Attraverso la profondità dell’essere e l’immensità dell’universo, Lucrezio intesse una trama di riflessioni sull’eternità della materia, sul moto perpetuo degli atomi e sulle forze invisibili che regolano la vita e la morte. Emerge un inno alla natura, veduta non come un dominio da temere o da supplicare, ma come una realtà da comprendere con la guida serena della ragione. In versi che oscillano tra il rigore scientifico e l’elevazione lirica, il poeta-filosofo invita a liberarsi delle catene dell’animo umano: la paura degli dèi e il terrore della morte. Nel tessuto della sua opera Lucrezio offre una visione liberatrice, dove il sapere diventa faro che illumina il cammino verso la pace interiore. Il “De Rerum Natura” è un capolavoro di sorprendente attualità, un appello alla razionalità e alla bellezza dell’indagine scientifica, intrecciato con una profonda riflessione sull’esistenza. È una esortazione a contemplare l’universo con meraviglia e rispetto, riconoscendo nell’armonia delle leggi naturali l’eco di una poesia senza tempo. Denique caelesti sumus omnes semine oriundi