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BARUCH SPINOZA: il filosofo per il nostro tempo
1ᵃ Puntata: La vita e i tempi di Baruch Spinoza
A gennaio 2024
Ritorna il prof. Riccardo Piroddi in radio su www.voceamicaitaliajimdofree.com e in Tv sulla pagina Facebook.
Da gennaio 2024, un ciclo di 6 puntate sul filosofo Baruch Spinoza.
Rimanete all’ascolto!!!
Aspetta che arrivi il mio corpo per farti donna.
Aspetta che arrivi il mio dio per farti madre!
Desidero invitarvi a una riflessione, un po’ lunga ma valevole, spero, di lettura. Mi sono sempre accostato ai racconti della Bibbia, Vecchio e Nuovo Testamento, col medesimo distacco e la stessa curiosità intellettuale che manifesto verso altre “mitologie”, da quella greca a quella cinese, da quella egizia a quella degli indiani d’America. Nello specifico della “mitologia” cristiana”, è chiaro come l’impianto dottrinale del Cristianesimo, così come stabilito dai Padri della Chiesa, Agostino in primis, ma anche Origene, Ireneo e altri, sia essenzialmente platonico-neoplatonico. Chi si intende anche poco di filosofia sa esattamente di cosa parlo. Un esempio su tutti: il dogma della Trinità cristiana (Padre, Figlio e Spirito Santo) altro non è che la teoria delle tre ipostasi (Uno, Intelletto e Anima) di Plotino e potrei continuare così con altri esempi.
C’è un “racconto” nella religione cristiana che mi affascina, che amo, come amo il mito di Orfeo ed Euridice o le narrazioni della dea egizia Hathor: quello della madonna. Mi affascina e lo amo perché vi vedo la più meravigliosa celebrazione della donna e della donna-madre che sia mai stata elaborata nella storia del pensiero umano. Dal concepimento per intervento divino, e non per lo sfregamento del budello maschile (aspetta che arrivi il mio corpo per farti donna, aspetta che arrivi il mio dio per farti madre), fino all’assunzione in cielo, che la eleva al di sopra di tutte le creature viventi. La madonna, una donna “mortale”, che partorisce il dio che ha creato il mondo e anche lei medesima (Dante lo ha espresso benissimo: “tu sei colei che l’umana natura/ nobilitasti sì, che il suo fattore/ non disdegnò di farsi sua fattura”, Par. XXXIII, 4-6). La “mitologia” cristiana, attraverso la madonna, ha così reso poesia ciò che nella realtà pochissimi maschi riescono a comprendere e, ancor peggio, ahimè, molte donne stesse non ne sono capaci.
Ho sempre sostenuto e scritto che ogni donna sia il mondo e che nel cuore di ciascuna vi sia la storia del mondo. La donna-madre, invece, è l’Universo, è la Dea sive Natura. Credo fermamente nel principio femminile di creazione della realtà, che vogliate chiamarlo Dea-madre, femminino sacro, matriarcato, eccetera.
Cos’è una divinità creatrice se non la donna che partorisce la realtà così come partorisce un figlio? Quale occasione ha il maschio di prendere parte alla creazione, divenendo dio egli stesso, se non nell’atto sessuale del concepimento? Il sesso è lo spirito della divinità che si umanizza materializzandosi. Afrodite Pandemia per il maschio, Afrodite Urania è la donna, per dirla con Platone.
La donna-madre rende tutto un unicum, ecco perché il mio appellativo di derivazione spinoziana Dea sive Natura, Dea che è la Natura, il Mondo, l’Universo creato.
La donna-madre deifica il maschio, deifica la creatura che partorisce, deifica l’esistente.
Alla fine, c’è chi crede in dio, nel dio dei preti. Lasciate, dunque, che io creda in questa donna, che, forse, esiste soltanto nella mia mente e nel mio desiderio!
Breve commento a Monas Hieroglyphica (1564)
di John Dee
Matematico, astronomo, astrologo, esploratore, occultista e consigliere della regina Elisabetta I, John Dee è stato uno dei personaggi più straordinari ed enigmatici del suo tempo.
Nato a Tower Ward, Londra, nel 1527, mostrò fin da giovane un’inclinazione per l’apprendimento. Studiò al St. John’s College di Cambridge, dove si laureò nel 1546. Successivamente, viaggiò in Europa, frequentando università in Belgio e Francia, approfondendo i suoi studi di matematica e astronomia e divenendo lettore di matematica presso l’Università di Parigi, posizione all’epoca rara e prestigiosa per un inglese. Tornato definitivamente in Inghilterra nel 1551, servì Edoardo VI e, in seguito, Maria I, ma trovò il suo vero mecenate in Elisabetta I, salita al trono nel 1558. Fu consultato per la scelta del giorno più propizio per l’incoronazione della regina e divenne una sorta di consigliere scientifico e astrologico di corte. Dee era anche appassionato di esplorazione geografica e fu tra i primi a promuovere la ricerca di un passaggio a nord-ovest per raggiungere l’Asia; il suo General and Rare Memorials Pertayning to the Perfect Art of Navigation del 1577, è un’opera pionieristica in questo campo.
Dee è certamente più famoso per il suo interesse per l’occultismo, la cabala e la filosofia ermetica. Fu un fervente studioso di testi alchemici e magici e spese gran parte della vita a cercare di comunicare con gli angeli, per scoprire tutti i segreti dell’universo. Questo lo portò a collaborare con Edward Kelley, un medium che lavorava con lui nelle sue sessioni spiritiche. Kelley e Dee intrapresero un lungo viaggio attraverso l’Europa, durante il quale si dice abbiano condotto esperimenti alchemici e occultistici. Ma i rapporti con Kelley si deteriorarono nel tempo e, nel 1589, Dee tornò in Inghilterra. Scoprì che la sua vasta biblioteca a Mortlake, una cittadina fuori Londra, era stata saccheggiata e molti dei suoi preziosi strumenti scientifici rubati. La sua fortuna e posizione alla corte di Elisabetta I erano in declino e i suoi ultimi anni furono segnati da difficoltà finanziarie e dall’isolamento accademico e sociale.
John Dee morì nel 1608 o all’inizio del 1609, a Mortlake. La sua figura ha rappresentato quel connubio, così tipico del Rinascimento, tra scienza e magia, mostrando come queste due sfere fossero intrecciate in modo complesso e a volte contraddittorio. La sua eredità continua a influenzare sia la cultura popolare che gli studi accademici, rendendolo un personaggio di fascino perenne.
Monas Hieroglyphica
Viaggio nei meandri dell’esoterismo e della sapienza, quest’opera si staglia come un monolite di conoscenza, intrisa di simbolismi densi e arcani, invitando i lettori a intraprendere un cammino attraverso i sentieri meno battuti della mente e dello spirito.
Nell’anno del Signore 1564, Dee, allora consigliere della regina Elisabetta I e studioso senza eguali, forgiò quest’opera magna, una summa delle sue complesse ricerche in astrologia, matematica e alchimia. Monas Hieroglyphica è una sorta di lunga epistola alchemica, nata nel cuore dell’epoca elisabettiana, un periodo denso di scoperte e rinnovamenti intellettuali. Quel contesto storico infuse nel testo una vivacità unica, riflettendo la fusione tra l’antico desiderio di conoscenza e la nuova audacia scientifica.
Dee, con la sua Monade, intrecciò una filosofia profonda, dove ogni simbolo e ogni segno trasudano di significati multipli. La Monade, figura suprema che rappresenta l’unione di tutto l’essere, incarna la ricerca della conoscenza ultima. Dee invita a contemplare l’universo attraverso la lente della semplicità complessa, dove ogni elemento, celeste o terrestre, è interconnesso in un tutto armonioso e sintetico.
La prosa di Dee è un tessuto di riferimenti classici e innovazioni linguistiche, un ponte tra il passato erudito e il presente inquisitivo. Monas Hieroglyphica sfida le convenzioni narrative, proponendo una struttura meditativa che più si avvicina a un incantesimo scritto che a un trattato tradizionale. La sua scrittura, ermetica e ricca di allusioni, costringe i lettori a una lenta e riflessiva decodificazione, rendendo ogni pagina un enigma, ogni frase un oracolo da interpretare.
Al cuore di questo testo giace l’esoterismo puro. Dee manipola simboli antichi – la luna, il sole, gli astri e l’Aries – per trascrivere un dialogo segreto tra l’uomo e il cosmo. Questi segni, carichi di potere e mistero, fungono da chiavi per le porte della percezione, aprendo itinerari nascosti verso la verità ultima. L’opera è un labirinto di allegorie, un puzzle che chiama a una risoluzione che è tanto personale quanto universale.
L’Autore intreccia profondamente i contenuti esoterici con la cosmologia, l’alchimia e la cabala, proponendo un sistema unico di simboli, attraverso i quali si possono esplorare le intersezioni tra il fisico e il metafisico, il visibile e l’invisibile. La sua Monade diventa non solo un simbolo ma anche un veicolo attraverso cui egli articola una visione esoterica dell’universo e del posto dell’uomo in esso.
Dee crede nell’integrazione di diverse discipline – matematica, astronomia, alchimia e misticismo – per raggiungere una comprensione completa della realtà. Questo approccio riflette la credenza esoterica che la conoscenza occulta possa essere scoperta attraverso l’uso simultaneo e armonizzato di metodi razionali e intuitivi. Per Dee, la Monade riproduce questa sintesi, funzionando come una chiave che apre le porte della saggezza universale.
La numerologia gioca un ruolo critico in Monas Hieroglyphica. Dee utilizza la struttura dei numeri e delle forme geometriche per trasmettere concetti esoterici profondi. Per esempio, il numero quattro, raffigurato dalla croce nella Monade, simboleggia non solo gli elementi fisici ma anche i punti cardinali, le stagioni e le fasi della vita, integrando il concetto di ciclicità e rigenerazione universale.
Dee è anche influenzato dalla cabala, tradizione esoterica ebraica che interpreta segretamente i testi sacri per trovare significati nascosti e comprendere la natura di Dio e dell’universo. La Monade può essere vista come un analogo del Sefirot, nell’albero della vita cabalistico, che rappresenta le diverse emanazioni attraverso cui l’infinito si manifesta nel finito.
L’astrologia è un altro pilastro importante del lavoro di Dee. I corpi celesti nel simbolo della Monade non sono solo oggetti astronomici ma anche entità spirituali, che esercitano influenze metafisiche sull’individuo e sul cosmo. Dee vede l’astrologia come mezzo per comprendere questi influssi e utilizzare tale conoscenza per operare armonicamente all’interno del quadro cosmico.
Al centro dell’alchimia sta la ricerca della pietra filosofale, espressa nella Monade quale l’ultimo obiettivo della trasmutazione alchemica e spirituale. Dee interpreta ciò non solo come processo di trasformazione di metalli base in oro, ma anche come una metafora per la trasformazione spirituale dell’alchimista, che attraverso il processo esoterico cerca di purificare ed elevare la propria anima.
La Monade
Il simbolo della Monade, che appare come un complesso glifo, combina vari elementi geometrici e iconici, che ritraggono il Sole, la Luna e le sostanze alchemiche. Questi componenti sono combinati in un disegno che cerca di rappresentare l’universo in un unico, coerente tutto.
Elementi del Simbolo
Il cerchio ricalca l’eternità e l’universalità, un tema comune nella simbologia alchemica, dove questo simboleggia lo spirito e il tutto cosmico.
Il punto al centro esprime l’unità da cui tutto proviene e a cui tutto ritorna, una riproduzione del principio primo.
La croce che attraversa il cerchio simbolizza i quattro elementi fondamentali di terra, aria, fuoco e acqua, così come le direzioni cardinali e le forze primarie che regolano la creazione. In alchimia, la croce è anche intesa come l’asse di trasformazione: il punto dove la materia viene lavorata e trasformata.
Al di sopra della croce si trova una forma che ricorda il simbolo astrologico del Mercurio, che in alchimia indica sia il pianeta sia l’elemento. Questa immagine evoca anche l’idea di dualità e unione tra il maschile e il femminile, essenziale per la creazione e la trasformazione alchemica.
La parte superiore della figura può essere interpretata sia come una luna crescente, che manifesta la volatilità e il cambiamento, sia come Aries, segno di inizio e di forza vitale.
Significati simbolici e alchemici
La Monade di Dee non è solo un amalgama di simboli astronomici e alchemici ma anche una rappresentazione del processo alchemico stesso. Nigredo, albedo, rubedo: tre stadi dell’alchimia che alludono rispettivamente alla putrefazione/decomposizione, alla purificazione e alla rinascita, possono essere interpretati attraverso l’emblema della Monade. Il cerchio raffigura l’universalità (nigredo), la croce la purificazione (albedo) e il simbolo astronomico l’illuminazione finale o perfezione (rubedo).
Dee utilizza la Monade anche per significare l’unione tra il microcosmo (l’individuo o il piccolo mondo) e il macrocosmo (l’universo o il grande mondo), un tema centrale nell’alchimia, che mira all’armonizzazione dell’uomo con la natura universale.
Al di là della trasformazione fisica dei materiali, la Monade simboleggia altresì un percorso di trasformazione spirituale, dove l’alchimista, attraverso il lavoro interiore, cerca di unire e armonizzare le diverse parti del proprio essere per raggiungere una comprensione superiore e una riconnessione con il divino.
La Monade di John Dee, quindi, riproduce l’essenza della ricerca alchemica non solo come trasmutazione fisica, ma come una profonda trasformazione spirituale, filosofica e cosmologica, sottolineando l’integrazione e l’unione dei vari aspetti dell’esistenza in un tutto coerente e divino.
I 24 teoremi presentati nell’opera risultano essere fondamentali per esplicare il significato profondo della Monade. Ogni teorema è un passo avanti nel labirinto del sapere.
Teoremi 1-6: La fondazione
I primi sei teoremi stabiliscono le basi geometriche e numerologiche della Monade. Dee inizia con la semplicità del punto e della linea, espandendo queste forme alla loro espressione tridimensionale, la sfera, simbolo dell’universalità e dell’eternità. In questi teoremi, lega la matematica alla filosofia, proponendo che ogni punto di partenza, per quanto semplice, contenga in sé la possibilità dell’infinito.
Teoremi 7-12: l’astrologia e la cosmologia
Questi teoremi introducono elementi astronomici e astrologici, collegando i corpi celesti con la simbologia alchemica della Monade. Dee esplora le relazioni tra la Luna, il Sole e Mercurio, postulando una connessione diretta tra i movimenti celesti e le forze alchemiche terrene. È una fusione di cielo e terra, che riflette la visione del mondo di Dee.
Teoremi 13-18: Le dinamiche alchemiche
In questa sezione, Dee approfondisce le trasformazioni alchemiche, simboleggiate dalla Monade. Utilizza concetti di purificazione, distillazione e sublimazione, per esplorare come le forze universali possano essere concentrate e trasformate. Qui, la pratica alchemica diventa metafora del processo spirituale e intellettuale di elevazione e illuminazione.
Teoremi 19-24: La sintesi e il ritorno all’Uno
Gli ultimi teoremi portano a compimento il “viaggio” della Monade, legando tutti i concetti precedentemente esposti in una sintesi finale. Dee discute il ritorno dell’anima al divino e la realizzazione dell’autoconoscenza come chiave per comprendere l’universo. Questi teoremi costituiscono il culmine della sua argomentazione filosofica e anche un invito a considerare la Monade come rappresentazione del percorso dell’anima verso l’unificazione con il tutto.
Monas Hieroglyphica, con i suoi ricchi simbolismi e contenuti esoterici, si pone come audace tentativo di sintetizzare e codificare un vasto corpo di conoscenza occulto in un singolo, comprensivo simbolo. Agli studiosi di esoterismo offre un affascinante esempio di come antiche credenze e pratiche possano essere integrate in un sistema filosofico che cerca di spiegare la totalità dell’esistenza.
Monas Hieroglyphica è un’opera senza tempo, che continua a sfidare e a incantare. Un crogiolo di scienza e magia, di terra e stelle, che invita ciascuno a riconsiderare la realtà con occhi nuovi, a cercare le risposte non solo nel visibile ma nel significato più profondo, celato dietro l’apparente. Dee, con la sua penna e la sua mente, ha dipinto un quadro dell’universo che rimane un’essenziale chiave di lettura per chiunque desideri viaggiare attraverso i segreti più oscuri dell’esistenza.
Breve commento a Dialoghi massonici (1778)
di Gotthold Ephraim Lessing
Gotthold Ephraim Lessing (22 gennaio 1729 – 15 febbraio 1781) è stato uno dei più importanti scrittori, filosofi e critici teatrali tedeschi del XVIII secolo. Nato a Kamenz, in Sassonia, studiò Teologia e Medicina all’Università di Lipsia, ma presto si dedicò alla letteratura e al teatro, àmbiti nei quali avrebbe lasciato un segno indelebile.
È noto per la sua vasta produzione letteraria, che comprende opere teatrali, saggi filosofici e critiche letterarie. Tra le sue opere teatrali più celebri vi sono Miss Sara Sampson (1755), considerata la prima tragedia borghese tedesca, Minna von Barnhelm (1767), una commedia che tratta di temi quali l’onore e la riconciliazione, e Nathan il Saggio (1779), un dramma che promuove la tolleranza religiosa attraverso la figura di Nathan, un ebreo saggio e benevolo.
In ambito filosofico, Lessing fu un fervente sostenitore degli ideali illuministi. La sua opera Laocoonte (1766) è un importante saggio sulla teoria dell’arte, che tratta le differenze tra la poesia e le arti visive.
Lessing è ricordato anche per il suo impegno nella promozione della tolleranza religiosa e dell’uguaglianza. Attraverso le sue opere, ha combattuto contro il fanatismo e l’intolleranza, promuovendo un approccio umanista basato sulla ragione e sulla comprensione reciproca.
La sua insistenza sull’uso della ragione e della critica come strumenti per migliorare la società e l’individuo ha influenzato molti pensatori e scrittori successivi. La sua opera continua a essere studiata e apprezzata per la profondità intellettuale e per il contributo alla promozione dei valori umanisti.
Consegna della Costituzione, incisione su rame di John Pine (1690-1756), 1723. Illustrazione del frontespizio del “Book of Constitutions” di James Anderson. Il Gran Maestro duca di Montagu consegna al suo successore, duca di Warthon, la costituzione non ancora stampata.
Dialoghi massonici di Gotthold Ephraim Lessing, pubblicato nel 1778, costituisce, innanzi tutto, il tentativo dell’Autore di difendere e spiegare i principi della massoneria, attraverso una serie di dialoghi immaginari tra personaggi dai caratteri fortemente simbolici.
Lessing scrisse i Dialoghi massonici in un periodo di grande fermento intellettuale e sociale in Europa. Il XVIII secolo, conosciuto come Età dei Lumi, fu caratterizzato da pregnanti riflessioni sulla ragione, sulla scienza e sull’umanesimo. La massoneria, con i suoi ideali, trovò terreno fertile in questo contesto. Lessing, fervente sostenitore delle dottrine illuministe, utilizza i dialoghi per confrontarsi con le critiche e i pregiudizi che circondavano la libera muratoria. La sua opera offre uno spaccato delle tensioni tra tradizione e progresso, religione e ragione, che animavano il dibattito pubblico dell’epoca.
Dal punto di vista filosofico, i Dialoghi massonici affermano i valori illuministi e umanisti. Lessing, attraverso il prisma della massoneria, vi esamina temi come la verità, la morale e la libertà individuale. Nei dialoghi, i personaggi discutono delle virtù, della tolleranza, della ricerca della verità e dell’importanza dell’educazione.
Lessing sostiene che la massoneria, con il suo impegno per il miglioramento morale e intellettuale dell’individuo, rappresenti un ideale di società basata sulla ragione e sull’etica. Questa prospettiva filosofica riflette la convinzione del filosofo che la conoscenza e la comprensione siano strumenti essenziali per il progresso umano.
Sul piano letterario, l’opera rappresenta un preclaro esempio di dialogo filosofico, forma letteraria che Lessing utilizza con maestria per esporre le sue teorie. Tale scelta permette una presentazione vivace e dinamica delle argomentazioni, con i personaggi che si fanno portatori di diverse prospettive e opinioni. Questa tecnica rende certamente l’opera più coinvolgente, ma permette anche all’Autore di delineare le sfumature delle questioni trattate. I dialoghi sono scritti in uno stile chiaro e incisivo, riflettendo la chiarezza di pensiero e la profondità intellettuale di Lessing.
Per quanto riguarda gli aspetti massonici, i Dialoghi, come detto, propongono una strenua difesa dei principi e degli ideali della massoneria. L’Autore la presenta come un’istituzione dedicata al miglioramento dell’umanità attraverso l’educazione e la moralità. I dialoghi affrontano anche le critiche rivolte alla libera muratoria, come l’accusa di segretezza e la percezione di elitismo. Lessing risponde mostrando come la massoneria promuova la fratellanza e l’uguaglianza tra i suoi membri, indipendentemente dal loro retroterra sociale o religioso. L’opera, quindi, contribuisce a demistificare la massoneria e a palesarla come un movimento progressista e illuminato.
Uno dei temi centrali nei Dialoghi è la natura della verità. Lessing discute l’importanza della ricerca della verità come un processo continuo e infinito, criticando la dogmaticità delle religioni e delle ideologie, che pretendono di possedere la verità assoluta. La verità, sostiene, è qualcosa che deve essere continuamente ricercata e mai completamente raggiunta. Questo approccio riflette il suo impegno per un’epistemologia aperta e critica, in linea con i principi illuministi.
Lessing era inoltre un fervente fautore della tolleranza religiosa, secondo l’idea che la vera religione non risiedesse in dogmi o riti specifici, ma nella moralità e nell’umanità degli individui. La libera muratoria è presentata come un’istituzione che accoglie persone di diverse fedi, promuovendo la comprensione e il rispetto reciproco. Questo messaggio di tolleranza era particolarmente rilevante in un’epoca segnata da conflitti religiosi e intolleranza.
L’educazione è un altro tema fondamentale dell’opera. Lessing asserisce che questa sia lo strumento principale per il progresso umano, sottolineando come la massoneria contribuisca all’educazione morale e intellettuale dei suoi membri, favorendo, così, lo sviluppo di cittadini virtuosi e illuminati.
Anche la moralità e le virtù sono ampiamente trattate. Lessing esamina le qualità morali che i massoni dovrebbero coltivare, come l’onestà, la giustizia, la carità e la fraternità. La libera muratoria è descritta come una scuola di virtù, dove i membri sono incoraggiati a migliorare se stessi e a contribuire al bene comune. Questa visione idealistica della massoneria riflette l’impegno di Lessing per una società più giusta e morale.
I Dialoghi contengono anche una analisi sottile ma incisiva della società a lui contemporanea. Egli critica la corruzione, l’ipocrisia e l’ineguaglianza colà presenti, proponendo la massoneria come modello alternativo, basato sulla giustizia e sulla fratellanza. I dialoghi offrono uno spazio per riflettere sulle ingiustizie sociali e sulla necessità di riforme profonde.
Un aspetto peculiare della libera muratoria, spesso oggetto di critiche, è la sua segretezza. Lessing affronta anche questo tema, chiarendo che la segretezza non è finalizzata a escludere, ma a proteggere i membri e a mantenere la purezza dei riti e dei simboli. Il simbolismo massonico è visto come un mezzo per veicolare insegnamenti profondi in modo comprensibile. La segretezza è, quindi, ritenuta una caratteristica necessaria per preservare l’integrità e l’efficacia dell’istituzione.
Dialoghi massonici, in definitiva, è un’opera di grande rilevanza storica, filosofica, letteraria e massonica. Lessing vi difende i principi della massoneria, ponendola come un baluardo degli ideali illuministi. Lo scritto non solo offre una preziosa testimonianza del pensiero del XVIII secolo, ma continua a essere una lettura stimolante per chiunque sia interessato alla filosofia, alla storia e alla massoneria.
De rerum natura di Tito Lucrezio Caro
Il canto libero della natura
De rerum natura, composto da Tito Lucrezio Caro nel I secolo a.C. e riscoperto nella biblioteca dell’abbazia di San Gallo, in Svizzera, dall’umanista Poggio Bracciolini nel 1417, è un poema che si districa attraverso le volute del pensiero e, con tocco di sublime eloquenza, nell’abbraccio avvolgente dei versi del poeta, custode di una saggezza antica, illumina le profondità oscure della natura e della condizione umana, svelando i segreti dell’universo.
Il testo si rifà alla forma prosastica e al pensiero filosofico di Epicuro, seguendo la struttura del suo trattato Περὶ φύσεως (Sulla natura). Diviso in tre diadi di due libri ciascuna, conta complessivamente 7415 versi.
Nel primo libro, Lucrezio principia con un inno a Venere, simbolo della forza generatrice della natura, avviando, poi, l’esposizione delle teorie fisiche di Epicuro. Discute la natura e il comportamento degli atomi, l’assenza di un fine ultimo nel movimento atomistico e la critica all’idea di un creatore divino, introducendo il concetto di clinamen, o deviazione spontanea degli atomi, meccanismo che permette la libertà nell’universo deterministico. Il secondo libro approfondisce la teoria atomistica, descrivendo come gli atomi formino tutto ciò che si vede e si percepisce, illustrando altresì la varietà infinita delle forme della materia attraverso le combinazioni e le configurazioni degli atomi. Inoltre, mostra la struttura del cosmo, presentando l’universo come infinito ed eterno, tesi che nega la possibilità di un creatore e di un disegno cosmico. Il terzo libro è incentrato sull’anima, materialmente costituita da atomi particolarmente fini, e sulla morte. Lucrezio utilizza assunti della fisica epicurea per argomentare che l’anima è mortale e si dissolve con il corpo, tentando, così, di liberare l’umanità dalla paura della morte, che è parte naturale dell’esistenza. Nel quarto libro, esamina la percezione sensoriale e la mente, seguitando con il tema della materialità dell’esistenza ed esponendo come gli atomi siano responsabili delle sensazioni, dei pensieri e delle operazioni dell’intelletto, dimostrando, in tal modo, come si percepisca il mondo attraverso i sensi e come l’illusione e l’errore possano derivare da interpretazioni errate delle sensazioni. Il quinto libro tratta delle origini e della formazione del mondo e di vari fenomeni naturali, quali le stagioni e i cicli celesti. Il poeta propone spiegazioni naturalistiche di fenomeni spesso attribuiti all’intervento divino, promuovendo l’idea che la natura operi attraverso processi che possono essere compresi razionalmente e osservati, senza il ricorso a miti o divinità. L’ultimo libro, il sesto, presenta varie calamità naturali (fulmini, terremoti ed epidemie) e indaga le cause e gli effetti di malattie e altri disastri naturali. Nonostante il tema a tratti oscuro, l’Autore mantiene la sua prospettiva secondo cui comprendere la natura sia essenziale per liberare l’uomo dalla paura dell’ignoto e dalle superstizioni.
In ogni libro, Lucrezio non si limita a un’esposizione secca di teorie, ma le intreccia con riflessioni sulla condizione umana, profonde osservazioni sulla natura e un appello appassionato alla liberazione intellettuale e spirituale. Nelle sue linee metriche tesse il pensiero di Epicuro con una maestria che trasforma la filosofia in poesia. L’opera costituisce un viaggio attraverso l’atomismo, dove gli atomi, eterni e indivisibili, danzano nel vuoto, creando mondi e distruggendoli, senza mai un disegno divino a guidarli. Lucrezio insegna il primato della ragione e l’importanza dell’osservazione empirica, svelando che la paura e l’ignoranza siano i veri tremendi legacci dell’anima umana.
Con ardore quasi eretico sfida le convenzioni religiose del suo tempo, negando il ruolo degli dèi nella vita dell’uomo. Gli dèi esistono, ammette, ma vivono in una beatitudine distaccata, non curanti del destino umano. Questa visione è una liberazione dalla paura del divino e un invito a vivere una vita basata sulla ricerca della felicità, lontana dal terrore superstizioso degl’inferi. La religione, secondo Lucrezio, troppo spesso incatena l’uomo a timori infondati, mentre la vera beatitudine si raggiunge attraverso l’atarassia, la serenità dell’animo libero da turbamenti.
Epicuro, maestro di saggezza, è presentato come l’architetto di un giardino in cui il piacere, inteso come assenza di dolore, è il fine ultimo della vita. Lucrezio, con passione filosofica, dipinge il ritratto di una vita dedicata alla ricerca di una felicità tranquilla, lontana dagli affanni e dalle ambizioni materiali, che troppo spesso affliggono l’anima. Il poema è un inno alla mortalità, un promemoria che la morte non è da temere, poiché quando siamo, la morte non è, e quando la morte sarà, noi non saremo.
De rerum natura è un’opera che, con profonda reverenza poetica e una lucida critica filosofica, invita a riconsiderare l’esistenza umana. Lucrezio, con la guida di Epicuro, svela un universo governato da leggi naturali, dove la felicità per gli uomini, liberi dal giogo degli dèi e dalle catene dell’ignoranza, è possibile hic et nunc. In De rerum natura la natura stessa si fa tempio e il pensiero umano altare su cui offrire il sacrificio della superstizione, bruciando l’incenso della ragione.
L’ideologia tedesca di Karl Marx e Friedrich Engels
Materialismo storico, struttura, sovrastruttura e comunismo
L’ideologia tedesca di Karl Marx, scritta con Friedrich Engels tra il novembre del 1846 e l’agosto del 1846, è un’opera fondamentale nel corpus teorico marxista, essenziale per comprendere l’evoluzione del pensiero del filosofo di Treviri, che lo conduce a una visione più strutturata del materialismo storico. Rimasta pressoché inedita durante la vita degli autori, fu pubblicata postuma solo nel 1932.
Marx ed Engels prendono le distanze dall’idealismo hegeliano, criticandolo aspramente e opponendogli un materialismo radicale, che individua nelle condizioni materiali di esistenza la base delle strutture sociali e delle sovrastrutture ideologiche. Marx formula uno dei concetti chiave del suo pensiero: l’idea che non sia la coscienza degli uomini a determinare il loro essere, ma, al contrario, il loro essere sociale a determinare la coscienza. Il filosofo critica la dialettica hegeliana della storia, proponendo una visione materialistica secondo cui sono i conflitti tra classi sociali, basati su rapporti di produzione materiali, a guidare il progresso storico. Questo sposta l’attenzione dalle idee e dalla mente umana alle reali condizioni economiche e sociali. Hegel è accusato di aver sovvertito il rapporto tra essere e coscienza, conferendo a quest’ultima un primato che nella realtà non possiede. Secondo Marx, Hegel si trova intrappolato in un circolo vizioso di astrazioni, che allontanano la filosofia dalla realtà materiale e concreta delle condizioni umane. Di qui, l’approdo al materialismo storico.
Marx ed Engels argomentano che la base economica di una società –le forze produttive e i rapporti di produzione (la struttura) – condizioni le istituzioni sociali, politiche e ideologiche (la sovrastruttura). Questa teoria implica che qualsiasi cambiamento significativo nelle condizioni materiali porta a cambiamenti nella cultura e nell’organizzazione politica della società. Le forze produttive includono la tecnologia, le capacità lavorative e il know-how tecnico disponibili in una società, mentre i rapporti di produzione rappresentano le relazioni sociali ed economiche che si muovono attorno alla produzione (ad esempio, le classi di proprietari e di lavoratori). Il progresso delle forze produttive, poi, entra inevitabilmente in conflitto con i rapporti di produzione esistenti, un fenomeno che può portare a tensioni sociali e a rivoluzioni. L’approccio dialettico, ereditato da Hegel ma trasformato in una chiave materialistica, è essenziale nel materialismo storico. Marx adotta una visione della storia che contempla lo sviluppo sociale come risultato di contraddizioni interne e conflitti tra classi opposte, conflitti che non sono anomalie ma motore essenziale del cambiamento storico. A differenza di Hegel, per cui le idee (tesi) evolvono attraverso contraddizioni interne (antitesi) fino a risolversi in una forma superiore (sintesi), Marx vede i cambiamenti materiali ed economici come i veri driver del progresso storico. Questo implica che la coscienza e le idee degli uomini siano in gran parte il prodotto delle loro condizioni materiali di vita. Filosoficamente, il materialismo storico non si limita a una mera interpretazione della storia, ma serve anche come una guida per l’azione. Il riconoscimento delle condizioni materiali base dei conflitti sociali giustifica la lotta politica e la rivoluzione quali mezzi legittimi per risolvere queste contraddizioni.
Nell’opera, i due autori delineano altresì le fondamenta teoriche del comunismo, che poi svilupperanno ulteriormente nelle loro opere successive, culminando ne Il Capitale. Il comunismo è qui presentato sia come teoria politica od obiettivo da raggiungere che risultato inevitabile del collasso del capitalismo, guidato dalle sue stesse contraddizioni interne e dallo sviluppo delle forze produttive. Il capitalismo aliena l’uomo dalla sua essenza, dal suo lavoro e dai suoi simili. Il comunismo mira a superare questa alienazione, restituendo all’individuo un senso di appartenenza e di realizzazione tramite il lavoro. Il comunismo è così descritto come la fase della storia umana che segue la distruzione della borghesia e dei suoi rapporti di produzione. Marx ed Engels intendono la storia come una serie di fasi economiche, ognuna delle quali si evolve a causa delle contraddizioni interne e si conclude con la rivoluzione sociale. Il comunismo, quindi, costituisce l’ultima fase di questo processo storico. Nella società comunista le classi sociali sono abolite e non essendoci più distinzione tra proletariato e borghesia, si elimina la base dei conflitti di classe. La proprietà privata dei mezzi di produzione è rimpiazzata dalla proprietà collettiva. Ciò cambia radicalmente l’economia e la struttura della società, rendendo possibile una distribuzione equa delle risorse. Invece di essere guidata dal profitto, la produzione è organizzata per soddisfare i bisogni reali delle persone. Ciò dovrebbe garantire che nessuno soffra di povertà o mancanza di risorse essenziali. Marx ed Engels prevedono anche che lo Stato, considerato strumento per l’oppressione di una classe su un’altra, diventi superfluo in una società senza classi e, pertanto, si dissolverà gradualmente. L’utopia comunista, come presentata ne L’ideologia tedesca, è la risposta ai problemi generati dal capitalismo, inclusi sfruttamento, disuguaglianza e alienazione; tuttavia, l’applicazione pratica di questi principi nel XX secolo, attraverso regimi che si sono dichiarati comunisti, ha spesso portato a risultati molto diversi (e drammatici) dalle teorie originali di Marx ed Engels, suscitando critiche e dibattiti continui sull’applicabilità e sulla validità del comunismo come modello socio-economico.
L’ideologia tedesca è un testo cruciale per comprendere le radici del marxismo e la formazione intellettuale di Marx ed Engels. Nonostante la sua complessità e il contesto polemico in cui è stato scritto, offre spunti di riflessione ancora attuali sul rapporto tra economia, società e politica. La critica diretta a figure del tempo e la profondità, spesso violenta, dell’analisi rendono questo lavoro un pilastro della filosofia politica ed economica moderna.
Friedrich Wilhelm Nietzsche e Violetta Elvin:
la poesia della gaia scienza e l’amore della gaia vita
di
Riccardo Piroddi*
“Potrei credere solo a un dio che sapesse danzare. E quando ho visto il mio demonio, l’ho sempre trovato serio, radicale, profondo, solenne: era lo spirito di gravità, grazie a lui tutte le cose cadono. Non con la collera, col riso si uccide. Orsù, uccidiamo lo spirito di gravità. Ho imparato ad andare: da quel momento mi lascio correre. Ho imparato a volare: da quel momento non voglio più essere urtato per smuovermi. Adesso sono lieve, adesso io volo, adesso vedo al di sotto di me, adesso è un dio a danzare, se io danzo”.
Buona sera, buona sera a tutti. Le parole che ho appena recitato non sono mie. Lo fossero, ora sarei nell’olimpo dei pensatori di tutti i tempi. Sono di un personaggio della storia del pensiero universale di cui vi parlerò tra poco. Non ho bisogno di presentarmi, mi conoscete tutti. Mi considero ancora un giovane virgulto, figlio di questa terra meravigliosa, la terra massese. Non è un mistero che, da anni, collabori con il professor Lauro, per cui, di quest’opera che presentiamo stasera conosco anche l’esatta posizione delle virgole. Lo scorso anno, quando, a pochi metri da qui, in piazza, presentammo il romanzo precedente del professor Lauro, “Caruso The Song – Lucio Dalla e Sorrento”, dedicai il mio intervento a donna Violetta. Stasera ella è qui, davanti a me e tra voi, e con il cuore tra le mani voglio dire a lei che sto per offrirle, non soltanto questa mia relazione, ma la mia anima. Avrei voluto tenere, in questa occasione, un discorso nel quale raccontarvi l’incredibile storia che mi ha visto protagonista, in tutte le fasi che hanno portato alla pubblicazione di questo romanzo, dalle interviste a donna Violetta, alle quali ho avuto la gratificante possibilità di partecipare (in qualità di novizio di frate Guglielmo da Baskerville – Lauro, per citare il mio amato Umberto Eco), alla nostra amicizia, la quale è una medaglia d’onore che avrò appuntata sul petto fino alla fine dei miei giorni, sino alle nostre telefonate notturne, sovente in inglese, durante le quali parliamo di William Turner, di Dante Alighieri, di letteratura e delle ultime vicende politiche internazionali. Avrei voluto, ma come mi ha insegnato il filosofo ginevrino Jean-Jacques Rousseau, a parlare di sé non si guadagna mai nulla! Ed ecco, allora, che per onorare secondo il massimo delle mie possibilità questa donna straordinaria, ho deciso di indossare i miei abiti migliori, quelli dell’educazione sentimentale e culturale, e di riferirvi talune impressioni suscitatemi da questo bel romanzo, facendomi condurre per mano da uno dei più elevati spiriti dell’umanità, che io sommamente amo e al quale sono enormemente debitore. L’autore delle parole che ho poc’anzi recitato: Friedrich Wilhelm Nietzsche.
Perché mai, proprio Nietzsche? Perché, credetemi, Violetta Elvin e Friedrich Wilhelm Nietzsche hanno molte caratteristiche in comune. Non soltanto il medesimo amore per la danza. In Nietzsche, la danza è attività libera e liberatrice. E’ espressione, insieme con la musica, di quell’elemento dionisiaco oscuro, contrapposto all’apollineo luminoso. Per mostrarvi, dunque, queste caratteristiche comuni vorrei partire dall’occasione che, nel romanzo, mi ha suggerito questo percorso. Monte Comune, Vico Equense: in un afflato di incanto naturalistico, la giovane Violetta, immersa nell’estasi visiva del golfo di Napoli, ripercorre, in pochi attimi, cito: “Il grande cratere di fuoco, il prevalere delle acque, il consolidarsi di quell’armonia, un’opera d’arte, che anche il più convinto agnostico avrebbe faticato a non definire divina. Da quel punto di osservazione del mondo l’epopea della vita, la nascita di Venere pagana, che emerge dalla spuma delle onde, e il destino dell’umanità, tutto diventava più chiaro, intuitivamente, senza avere più bisogno di spiegazioni”.
La giovane Violetta, in quel momento, decide di riprendere in mano la propria vita, di darle una nuova forma e una nuova direzione. Un nuovo inizio, quindi. Una palingenesi.
Sils Maria, Engadina svizzera: in una notte estiva di luna, Nietzsche, mentre passeggia tra i laghetti che bagnano la località alpestre, ha l’intuizione di una teoria destinata a diventare uno dei capisaldi della sua dottrina filosofica: l’eterno ritorno all’uguale.
“Non essendoci un Dio creatore che ha dato inizio a un mondo composto di esseri finiti, allora il mondo non ha né inizio né fine, è eterno ed è composto di esseri infiniti”. “L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere! Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina”.
Queste ultime sono parole di Nietzsche da “La gaia scienza”, opera del 1882, che scrisse quando aveva pressappoco la mia età e nella quale annunziò proprio questa teoria. Ecco, soffermiamoci un attimo su questa parola: gaia. E’ la chiave che mi ha consentito di rintracciare parallelismi tra le esistenze e la poietica di Violetta Elvin e Friedrich Wilhelm Nietzsche. Mi figuro la vita di donna Violetta come una vita gaia, proprio in senso nietzschiano. Nietzsche scrive “La gaia scienza”, opera che rappresenta il passaggio dalla fase cosiddetta dello spirito libero alle sommità mature del suo pensiero, influenzato da un luogo fisico, dall’ebbrezza della contemplazione di un paesaggio naturale. Allo stesso modo, Violetta opera, in un medesimo contesto spirituale, quella scelta di vita che le permetterà di chiudere un periodo, quello della danza, e di aprirne un altro, quello dell’amore: Dance The Love, appunto.
C’è dell’altro, però, su cui ho costruito la comparazione tra donna Violetta e Nietzsche e riguarda il mio approccio intimo e personale alle vicende dei due: il mio debito di gratitudine nei confronti di entrambi. Nietzsche è stato uno dei massimi formatori del mio pensiero. Io amo Nietzsche perché la sua filosofia è una filosofia gioiosa, una filosofia dello spiritus construens, una filosofia del futuro. Sono solito rispondere in questo modo alla domanda che mi viene spesso posta, riguardo cosa ami parlare quando sono con una donna (i dialoghi con una donna sono, per un uomo, il più meraviglioso esercizio di dialettica della passione!): io amo parlare del futuro. Con le donne io amo parlare del futuro! Questo me lo ha insegnato Nietzsche. Nietzsche ha liberato l’umanità dalle incrostazioni esiziali che la metafisica, da Platone a Hegel, aveva sedimentato nella storia del pensiero occidentale. Il suo celebre adagio, “Dio è morto”, riferibile non soltanto all’ambito religioso, ma, appunto, più in generale, a quello filosofico-metafisico, è divenuto il suono delle campane che hanno destato l’umanità, aprendole gli occhi a una nuova era. Ne “Il crepuscolo degli idoli”, del 1888, il filosofo spiega, in sei punti, come “il mondo vero finì per diventare una favola”, posando, sulla metafisica occidentale, la più ironica e insieme distruttiva, oserei dire definitiva, pietra tombale. Vi consiglio di leggere quest’opera, se siete preparati alla deflagrazione di tutte le vostre credenze. C’è un termine, ricorrente in molti punti dell’opera nietzschiana: antivitale. Egli lo riferisce, particolarmente, alle religioni e ai vecchi sistemi di credenze. Il mio amore per Nietzsche è germogliato grazie a questa parola perché ha saputo palesare cosa fosse e cosa significasse il contrario. Vitale, ciò che abbandona il vecchio e si proietta verso il futuro. L’uomo, infatti, ripudiati i sistemi mentali pregressi, che lo hanno costretto alla schiavitù morale, all’antivitale, adoperata e accettata la trasvalutazione dei valori, per usare la sua terminologia, diviene un essere vitale, proiettato verso il futuro, verso la libertà. Nietzsche ha mostrato a cosa dovessero tendere l’uomo e l’umanità. Nietzsche è stato certamente un uomo pieno d’amore. Un sistema filosofico come il suo ha necessariamente alla base una massiccia quantità di amore. Nella vita, però, da quel punto di vista, fu sfortunato. Amò una sua discepola, Lou Salomé, la quale rifiutò di sposarlo, precipitandolo in una crisi depressiva che, tuttavia, gli fu provvidenziale, in quanto gli ispirò la prima parte di “Così parlò Zarathustra”. E, ancora, nonostante non vi siano prove certe, l’innamoramento, sempre infelice, per Cosima Wagner, seconda moglie del famoso compositore Richard, con i quali, tra l’altro, fu qui, a visitare il monastero del Deserto, negli anni ’80 dell’Ottocento. Un grande uomo, un grande spirito, un’anima libera, un benefattore dell’umanità! Un pensatore cui oggi le giovani generazioni, come la mia, dovrebbero guardare. In un’epoca in cui quanti ci hanno preceduto non hanno lasciato a noi neppure le macerie con le quali poter costruire il nostro futuro, un filosofo il quale, dal punto di vista dottrinario, ha tracciato la via maestra per l’avvenire, deve essere venerato come una divinità! Altro che i falsi miti propinati oggi dai media!
Donna Violetta, adesso questo mio discorso entra nella parte più sentimentale, quella più difficile, per me, da enunciare, perché temo che lacrime di gioia possano rigare il mio viso e occludermi la gola, impedendomi finanche di parlare. Mi rivolgo direttamente a voi, per cercare di chiarire i motivi di questo accostamento della vostra persona e della vostra storia a Nietzsche: Nietzsche filosofo vitale, danzatore dello spirito, uomo d’amore, profeta della libertà, oracolo dell’avvenire. Voi, donna Violetta, artista vitale, danzatrice dello spirito, donna d’amore, profetessa della libertà, oracolo dell’avvenire. Io ho avuto il privilegio di poter ascoltare, dalla vostra viva voce, i racconti della vostra incredibile vita di bambina, di donna, di artista, di moglie e di madre. I lettori di questo bellissimo romanzo lo faranno attraverso le pagine che il professor Lauro ha così bellamente costruito. Per cui, non vi indugio affatto. Donna Violetta, questo intervento è affiorato nella mia mente già mentre, un anno e mezzo fa, vi ascoltavo parlare di voi e della vostra storia. Immediatamente, vi ho legata al filosofo di cui ho esposto. Davanti ai miei occhi incantati di giovane avete portato in scena, come facevate al Teatro Bol’šoj di Mosca o alla Royal Opera House di Covent Garden, nella nostra amatissima Londra, la filosofia di Nietzsche. “Potrei credere solo a un dio che sapesse danzare!” Donna Violetta, voi sapete danzare, eccome, e io credo in voi. Queste mie riflessioni siano un altare che io innalzo al vostro simulacro, alla vostra vicenda esistenziale, alla vostra bellezza mai sfiorita. La vostra storia è la dimostrazione reale di quel vitalismo di cui parlava il Nietzsche, sostenuto dall’amore per la vita, per la danza, per l’arte, per un uomo, il vostro Fernando, per un figlio, il vostro Antonio, e per una terra, questa nostra Penisola Sorrentina e Vico Equense in particolare, nella quale siete sbocciata come il fiore più prezioso, l’orchidea “Scarpetta di Venere”, la stessa scarpetta che indossavate in teatro, e come la Venere cantata da Foscolo nel sonetto “A Zacinto”, avete fatto feconda, o nella quale, come la Beatrice di Dante, siete venuta a miracol mostrare. Il miracolo della vostra stessa vita, che avete donato a questa terra e a noi, suoi abitanti. Donna Violetta, filosoficamente parlando, avete operato quella rivoluzione, non copernicana, come direbbe Immanuel Kant, ma nietzschiana. Avete superato l’oppressione di un regime dittatoriale, che per Nietzsche era la metafisica, aprendo le vostre ali verso la libertà, verso la vita. Avete fatto diventare quel mondo vero, che Lenin, Stalin e il comunismo avevano costruito, una favola. Anche voi avete operato e accettato la trasvalutazione dei valori, avendo la forza di rinunciare, non come Nietzsche, a qualcosa che vi rendeva schiava, ma ancor più difficilmente, a qualcosa che amavate, la danza, per abbracciare qualcuno che avreste amato ancora di più. Avete conquistato la vera libertà: quella di amare! Siete voi stessa diventata il simbolo della libertà. Donna Violetta, ai miei occhi incantati di giovane, spesso velati dalla malinconia dei poeti, voi siete sole splendente, trasfigurata, nietzschianamente trasvalorata, nel sole. “Vergine bella che di sol vestita”, cantava Francesco Petrarca. Come nelle muse dei poeti, io vedo in voi tutte le donne del mondo, tutte le madri del mondo. Nel vostro cuore c’è la storia del mondo. “Potrei credere solo a un dio che sapesse danzare!”. Donna Violetta, guardano a voi, così regale, così bella, così meravigliosa, io penso alla donna che, spero, un giorno possa accompagnarmi nella vita e allora, quando l’avrò davanti, regale, bella e meravigliosa come voi, con il cuore e le gambe tremanti, come in questo momento, le dirò, pensando a voi, pensando al vostro esempio, pensando alla delicatezza e all’affetto che avete sempre mostrato nei miei confronti, che nel teatro del tempo io danzerò la mia vita: tu, sole, come luce di scena e l’eternità come sfondo! Grazie donna Violetta! Grazie a tutti!
Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900)
Violetta Elvin e Riccardo Piroddi, a Vico Equense, a casa della danzatrice (2016)
* Intervento integrale tenuto alla presentazione del romanzo di Raffaele Lauro, “Dance The Love – Una stella a Vico Equense”, GoldenGate Edizioni, 2016, dedicato alla danzatrice russa Violetta Elvin.
Sant’Agata sui Due Golfi (Napoli), 28 agosto 2016.
IL PENSIERO POLITICO OCCIDENTALE
17ᵃ Puntata: Sinistra e destra e la crisi dello Stato sociale
IL PENSIERO POLITICO OCCIDENTALE
16ᵃ Puntata: Lo Stato sociale e la crisi
del secondo Novecento