Archivi categoria: Musica

Cocteau Twins

 

La voce dei sogni. È probabilmente questa la definizione più adatta per la voce di Elizabeth Fraser, leader indiscussa dei Cocteau Twins, band scozzese che stupisce ed emoziona all’insegna di un dream pop genuino e maledettamente romantico, di cui sono stati i pionieri. zap_cocteauLa loro musica è uno strano flusso sonoro, fatto di echi, dissonanze, richiami psichedelici, riverberi, che si lascia amare e ascoltare facilmente, salendo in alto libero e maestoso, raggiungendo traguardi sconosciuti a tanti altri musicisti. Pochissime band sono riuscite a creare una formula musicale personale e svincolata da ogni tempo. Partiti da suoni cupi e depressi, sulla scia del dark punk britannico, i Cocteau Twins hanno presto sviluppato un sound personalissimo, approdando a un pop etereo, visionario e onirico. A un primo e superficiale ascolto, le loro possono sembrare, a tutti gli effetti, canzoni regolari, orecchiabili e melodiche. Ma, in realtà, la loro musica è quanto di più sperimentale sia stato concepito negli anni ‘80, specialmente per quel che riguarda l’aspetto vocale. Una voce cristallina, sognante, ipnotica, eretica ma, allo stesso tempo angelica, quella della Fraser. E proprio da qui, da questa straordinaria voce, che nasce la definizione di dream pop, detto anche ethereal wave. CocteauTwins1990La storia dei Cocteau Twins ha inizio in Scozia, sul finire dei ‘70, quando due ragazzi, Robin Guthrie (chitarra, tastiere e drum machine) e Will Heggie (basso), sognano di metter su una band con una voce femminile. Di lì a poco, l’incontro fatale, in una discoteca, con la giovane Elizabeth Fraser. Dopo una chiacchierata, i tre decidono di fare una prova insieme e, nonostante la Fraser non abbia mai avuto esperienze in band, le sue straordinarie doti vocali sono evidenti dal primo momento. I tre ragazzi hanno anche gusti musicali affini: adoratori dei Sex Pistols, ma anche del post punk firmato Siouxsie, Bauhaus e Joy Division. La Fraser, in particolare, è una grande fan di Siuoxsie, la regina della notte, da cui eredita alcune interpretazioni vocali da posseduta. La carriera discografica dei Cocteau Twins prende subito il volo grazie all’invio di una demotape all’etichetta indipendente 4AD. La band viene contattata e invitata a comporre altre canzoni per l’album d’esordio. E così, nel 1980, nasce “Garlands“, primo lavoro in studio. L’opera, seppure ancora un po’ immatura e chiaramente influenzata dal dark punk che stava dominando le scene musicali dell’epoca, mette subito in chiaro le cose e fa capire al pubblico di che pasta siano fatti i tre ragazzi. Il sound è distorto e ossessivo, il clima cupo e alienante, la voce della Fraser anarchica e libera, spettrale. A differenza della psichedelica, che cerca paradisi artificiali, i Cocteau Twins scavano nell’inconscio, inseguendo le emozioni più nascoste dell’animo umano.cocteau_twins-treasure Col secondo disco, “Head Over Heels“, datato 1983, i Cocteau Twins affinano la loro formula, raggiungendo un perfetto equilibrio tra le radici dark e il dream pop dei futuri lavori. Ma è nel 1984, con la pubblicazione di “Treasure“, 4AD (copertina a sinistra), che la band arriva al successo e alla maturità artistica, divenendo, assieme ai Dead Can Dance, la punta di diamante dell’etichetta 4AD. “Treasure” è un lavoro dalla sconfinata eleganza, ma tremendamente complesso, in cui la Fraser punta alto e gioca a fare la vocalist d’avanguardia, tirando fuori dal cilindro magico un repertorio da vera fuoriclasse. I due musicisti la assecondano, realizzando per lei delle trame di una bellezza più unica che rara, costituite da arrangiamenti barocchi e alieni, gioiosi e surreali. Dietro questo disco c’è sicuramente una ricerca sonora e sperimentale, ma anche una sorta di irrefrenabile anarchia. “Libertà totale”, questa la parola d’ordine che si sono dati i Cocteau Twins prima di entrare in studio e concepire il loro capolavoro. In quest’album non esistono testi, perché sono sostituiti da suoni e vocalizzi inventati al momento dalla Fraser, che usa la sua voce a mo’ di strumento musicale, sentendosi libera di improvvisare quel che le passa per la mente, l’emozione del momento. In questo modo, ogni brano si evolve completamente libero e in autentici spettacoli di suoni, CocteauTwins11come “Lorerei” (ascolta), forse il momento più alto del disco, una filastrocca gioiosa e infantile, una sorta di danza visionaria in cui la cantante la fa da padrona, innalzando le sue doti vocali a livelli quasi inimmaginabili. Poi c’è “Amelia” (ascolta), dalle atmosfere soffuse e quasi inquietanti, e “Aloysius” (ascolta), un pezzo molto intimo, dolce e sognante. Non mancano momenti chiaramente rock, in pezzi come “Ivo” (ascolta) o “Persephone” (ascolta), in cui riemergono le sonorità dark dei primi tempi. Da segnalare anche la tenebrosa “Cicely” (ascolta) e “Beatrix” (ascolta), la più sperimentale del disco. “Treasure” è, in definitiva, un prezioso gioiello, un’opera dal valore immenso, raffinata ed elegante, surreale e visionaria.Treasure” è pura magia, è introspezione, genuinità, semplicità. Un disco costruito sulle emozioni e su impalpabili evocazioni. Un disco senza tempo e dall’inestimabile bellezza. Da perdere la testa.

Pier Luigi Tizzano

 

 

Dead Can Dance

 

Maestosa creatura, i Dead Can Dance (Brendan Perry e Lisa Gerrard) sono il più importante e influente progetto di quella corrente gotica e d’atmosfera, figlia diretta della dark wave degli anni ‘80. Nessuno come loro, in questo campo, è riuscito a raggiungere risultati di così ampio respiro e a toccare vette inesplorate per la maggior parte delle band del filone dark.oglly2vt Dead Can Dance è, prima di tutto, un progetto culturale, poi, musicale, volto alla riscoperta di antichissime tradizioni religiose e tribali. La loro saga ha esplorato tempi, luoghi e tradizioni diverse, in particolare quella folk europea dell’epoca medioevale e rinascimentale, riscoprendo sia la musica sacra che quella tribale e allontanandosi, disco dopo disco, sempre di più, dai canoni musicali del rock. Immaginare la storia della musica gotica senza di loro è un po’ come immaginare la storia della musica rock senza i Led Zeppelin. E con questo, credo di aver detto tutto. I Dead Can Dance nascono nel 1981, a Melbourne, Australia. Hanno prodotto otto album, all’insegna della sperimentazione e della ricerca di sonorità sempre più cupe e d’atmosfera, lasciando in eredità un immenso patrimonio musicale, che ha dato il via alle danze del filone gotico ambientale, capitanato da band come i Black Tape for a Blue Girl. La cantante Lisa Gerrard ricorda con entusiasmo il loro primo incontro. Queste le sue parole: “Il primo brano che improvvisammo si chiamava ‘Frontier’ (ascolta). Quel giorno successe qualcosa di magico. Capimmo che tutto quanto avevamo fatto prima, da soli, non era assolutamente paragonabile. Si sbloccò qualcosa che nessuno di noi avrebbe immaginato; dovevamo ripetere quell’esperienza, per questo cominciammo a scrivere insieme”. deadcandance_1_1342176170Dopo un primo periodo di prove, i due decidono di trasferirsi a Londra, la patria per eccellenza del dark, città sicuramente più congeniale alla loro musica tenebrosa. A Londra i due ragazzi si distingueranno subito dalle altre band del dark (Bahuaus, Joy Division, Siouxsie and the banshess) mostrando un particolare interesse verso il folk e la musica mistica. Il loro sound subito si caratterizza da atmosfere lugubri e spettrali, arrangiamenti eleganti e un canto etereo e luminoso. Lo storico di musica australiana Ian McFarlane ha descritto la musica dei Dead Can Dance come “paesaggi sonori di incommensurabile grandezza e solenne bellezza”. A Londra c’è finalmente la svolta e la band firma un contratto discografico grazie al quale dà alla luce il suo primo disco: “Dead Can Dance”, datato 1984. La stampa britannica li accosta subito ai Cocteau Twins per le divagazioni eteree e sognanti del cantato. Ma ciò non è propriamente esatto. La musica dei primi Dead Can Dance discende soprattutto dal  punk dark di Siouxsie e Joy Division. Alle atmosfere da rituale occulto, però, i Dead Can Dance prediligono un senso di angosciata spiritualità, che si sviluppava attraverso salmi religiosi, litanie ed echi d’oltretomba. MI0001673291La svolta della carriera avviene con la pubblicazione del secondo disco, capolavoro della band e pietra miliare della musica tutta: “Spleen and Ideal”, 4AD (copertina a sinistra), datato 1986. Definire un capolavoro questo disco è, forse, riduttivo e, per comprenderne a pieno la grandezza, bisogna ascoltarlo tutto, anche più volte di seguito. Nell’album, i due ragazzi puntano su arrangiamenti sinfonici di fiati, percussioni e archi, accompagnati dai vocalizzi onirici e suggestivi di Lisa Gerrard. In ogni canzone domina un senso di misticismo quasi allucinante e i due vocalist, se pur diversi per caratteristiche tecniche e timbro di voce, raggiungono un’intesa che rasenta la perfezione. I brani iniziali possono essere considerati alla stregua di un viaggio nello spazio, quei tipici viaggi che i musicisti della psichedelia anni ‘70 improvvisano in concerto fatti di LSD. “De Prufundis” (ascolta) è fatta di cori liturgici sintetizzati, lunghissime frasi di organo e suoni di timpani sparsi qua e là. Su tutto questo si inserisce il cantato solenne della Gerrard, la cui estensione vocale permette escursioni sonore sempre più spettacolari. Poi c’è “Ascension” (ascolta), brevissima ma intensa strumentale, all’insegna di un sound angoscioso e spettrale, quasi come fosse un presagio di maledizioni e sciagure. “Circumradiant Dawn”  (ascolta) è un altro viaggio ipnotico di Lisa Gerrard: DCDoldaccompagnati da null’altro che una fisarmonica e da scarni accordi di chitarra, i suoi vocalizzi sembrano innalzarsi fino al cielo, quasi a voler prendere l’ascoltatore per mano e accompagnarlo in un viaggio tra stelle e pianeti sconosciuti. Questi tre brani segnano il prologo di un’epopea di musica arcana e spirituale, che non si concluderà in questo disco ma continuerà a evolversi nei successivi album, fino allo scioglimento della band. Il resto dell’opera è invece caratterizzato dalle ballate cantate da Brendan Perry, tra le quali spiccano “The Cardinal Sin” (ascolta) e “Enigma of the absolute” (ascolta), destinata a diventare uno dei loro capolavori assoluti. L’album “Spleen and Ideal” è il frutto del genio di due artisti poliedrici e visionari, il risultato di un lungo lavoro di documentazione, di sperimentazione e della ricerca dell’atmosfera giusta, canzone dopo canzone, in base a quel che si narra. “Spleen and Ideal” accompagna l’ascoltatore in un tempo alieno e sconosciuto, lontanissimo, arcano, oscuro, magico… Un tempo che rimarrà impresso come un marchio di fuoco nella memoria di chi lo ascolterà, apprezzandolo in tutta la sua grandezza.

Pier Luigi Tizzano

 

 

CCCP – Fedeli alla linea

 

I CCCP – Fedeli alla linea possono certamente ambire al titolo di massima rock band italiana di tutti i tempi. Nessuno come loro, nel belpaese, è riuscito a catturare il vero spirito del rock e portarlo nella provincia italiana, in quell’Emilia paranoica di cui parlano in un loro famoso album. La band ha posto la propria firma su uno dei periodi più importanti e controversi del rock italiano, periodo che ha dato i natali a grandi band ma anche a grandi fiaschi storici che, senza vergogna, si sono spacciati per roker e hanno contribuito all’inizio della decadenza della musica made in Italy. cccpE lo ha fatto senza mezze misure, con manifesti ideologici, inni alla rivolta, fervore punk ma anche introspezione e misticismo religioso e orientale. I CCCP nascono a Berlino nel 1982, in seguito all’incontro tra Giovanni Lindo Ferretti (voce) e Massimo Zamboni (chitarra). I due, muniti di drum machine, iniziano a suonare in giro per la Germania, ispirandosi chiaramente alla musica punk. Ma è quando tornano in Italia che hanno il lampo di genio: mescolare la cultura popolare emiliana all’etica e all’estetica del punk. Nulla di così colto o profondo, si tratta della cultura di strada, delle periferie e delle osterie frequentate dai beoni, ma anche della cultura politica. Non a caso, CCCP viene tradotto, dal russo all’italiano, in URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche). È più una provocazione che un vero e proprio inneggiare al comunismo sovietico. Il primo impatto col pubblico italiano non è fortunato e i due ragazzi decidono di allargare la band, abbandonando la drum machine e ingaggiando Danilo Fatur e AntonellaAnnarellaGiudici. Così, i CCCP – Fedeli alla linea sono al completo. E’ questo il vero momento ufficiale della loro nascita. La parabola artistica della band è tutta in ascesa. Non un solo disco si può definire brutto e in ogni album è presente un’evoluzione artistica ben precisa e definita. Nei primi due album (“Compagni, cittadini, fratelli, partigiani“, del 1984, e “1964-1985. Affinità-Divergenze fra il compagno Togliatti e noi. Del conseguimento della maggiore età“, del 1986) la musica è piuttosto rozza e scarna, seppure piena di energia punk. imagesSono dischi violenti, sia nella musica che nei testi, veri e propri inni alla ribellione e all’anarchia. Le canzoni sono annichilite e annichilenti, come la lunga “Emilia paranoica”, uno dei capolavori della band, in cui la musica, inizialmente lenta e ossessiva, quasi pesante, improvvisamente prende velocità per poi ritornare di nuovo lenta e ossessiva. Dal vivo, i CCCP si presentano come una sorta di circo decadente, con tanto di trampolieri, giocolieri e sputa fuoco, con Fatur “artista del popolo” che si mostra nudo e Annarella che officia riti agnostici. Ma dietro l’impeto dei primi tempi si nasconde una sorta di ricerca del misticismo e della pace interiore. E così, nel 1989, la band dà alla luce” Socialismo e Barbarie”, che apre le danze con “A Ja Ljublju SSSR” (ascolta), ovvero l’inno sovietico con un testo originale e strampalato, scritto da Ferretti, e che la band avrà l’onore di suonare (con i postumi di una sbornia colossale a base di vodka russa) in un teatro di Mosca, dinanzi agli alti ufficiali dell’esercito sovietico che si alzarono commossi ad applaudire. Nel disco, la violenza del punk inizia a mescolarsi con una musica più d’atmosfera e introspettiva e lo si avverte chiaramente in canzoni come “Manifesto” (ascolta), “Radio Kabul” (ascolta), “Oh Battagliero” (ascolta), “Inch’ Allah – ca va” (ascolta). Tutto ciò avviene con ancora maggiore forza negli ultimi due album (“Canzoni, preghiere e danze del II millennio – sezione Europa” e “Epica, Etica, Etnica, Pathos“) in cui la band si cimenta in canzoni d’atmosfera, spesso a sfondo mistico-religioso, quasi come fosse una spasmodica ricerca della pace interiore. Da segnalare, in tal senso, la struggente e dolorosa ballata dal titolo “Annarella” (ascolta), proprio come la loro soubrette, la quale, insieme all’artista del popolo Danilo Fatur, ha animato le prime esibizioni con memorabili performance e travestimenti. AffinitàDivergenzeCCCPFedeliallalineaDifficile scegliere un disco. Forse quello riuscito meglio è il secondo: “1964-1985 Affinità-Divergenze fra il compagno Togliatti e noi. Del conseguimento della maggiore età“, Attack Punk Records (copertina a sinistra). Il disco parte subito in quarta con una sorta di urlo-proclama, che mette immediatamente a nudo le incertezze politiche dei ragazzi e lo si comprende quando cantano “Fedeli alla linea e la linea non c’è.” Poi, si passa subito a uno degli inni storici: “Curami” (ascolta). La band narra delle psicosi della generazione degli anni ‘80, forse quella più di tutte sconvolta dall’eroina, la generazione dei fuori posto e dei disadattati. La musica di “Curami” è un punk devastante che non concede tregua. Il fervore del punk poi, pian piano si smorza in pezzi come “Trafitto” (ascolta), un vero e proprio proclama d’apatia, una canzone cupa e depressa. “Io sto bene” (ascolta), invece, può essere considerata una sorta di manifesto generazionale, di una generazione persa e depressa (“Non studio, non lavoro, non guardo la tv, non vado al cinema, non faccio sport“). Infine, c’è “Allarme” (ascolta), che, col suo clima dark e cupo, sembra essere una sorta di preambolo al finale col botto di “Emilia paranoica” (ascolta), il pezzo più rappresentativo del gruppo, in cui, in perfetto stile Pier Vittorio Tondelli, si narra di un’Emilia tetra e desolata, terra di tossici e sbandati, teatro della solitudine e dell’alienazione umana. CCCPfedeliIn seguito alla caduta del Muro di Berlino, i CCCP decidono che il loro ciclo è terminato e dichiarano sciolta la band. Da quel momento, ognuno prende la sua strada. Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni fondano i CSI (leggi recensione), Fatur comincia un percorso da solista e Annarella abbandona per sempre la musica, ritirandosi a vita privata e girovagando per il mondo fino in India, per poi tornare in Emilia e aprire un’erboristeria. Ma questa è un’altra storia. Quella dei CCCP è finita ed è una storia straordinaria, la storia di quattro ragazzi italiani che hanno avuto il grandissimo merito di proiettare la provincia emiliana su un palcoscenico universale.

Pier Luigi Tizzano

 

 

My Bloody Valentine

 

Partiti come band dark punk, i My Bloody Valentine sono arrivati a una singolarissima fusione tra rock psichedelico e atmosfere sognanti, passando alla storia come uno dei più importanti gruppi dei primi anni ‘90 e come gli inventori del genere shoegaze. La loro musica è un macigno di suoni caotici e muri di distorsioni sovrapposte, che non concedono tregua all’ascoltatore, trascinandolo in un viaggio che è insieme infernale e celestiale. mybloodyvalentine_1_1356628573La band nasce a Dublino nel 1983 e, dopo anni di sperimentazioni, concerti in locali semisconosciuti e cambi di formazione, la maestosa creatura My Bloody Valentine riesce a sfondare ed entrare di diritto nella storia del rock. Peccato, però, che la sua parabola duri solo due, seppure straordinari, album: Isn’t anything e Loveless, rispettivamente datati 1988 e 1991. In questi due dischi vi è racchiusa tutta l’enorme portata innovativa della loro arte. Un sound unico e inimitabile, costituito da un imponente muro sonoro, che marca una musica caotica ma delicata al tempo stesso, dura ma sognante, disordinata ma, in fondo, ordinata, ricca di inestricabili grumi sonori, con le chitarre sovraccaricate di feedback ed effetti stranianti e stordenti, con le voci e le melodie appena abbozzate, bisbigliate e sommerse da un mare di rumore. È stata la stampa inglese a inventare il termine shoegazers (letteralmente i fissa scarpe, e, di qui, il genere shoegaze) per l’insolita attitudine dei ragazzi di starsene a capo chino sui loro strumenti durante i concerti. La spiegazione più plausibile di questo strano fenomeno potrebbe trovarsi nel fatto che gli shoegazers (tra i quali rientrano anche altre band importanti come gli Slowdive o i Pale Saints) vivono in un tutt’uno con la loro musica, una sorta di amore spirituale coi propri strumenti. 1362117626_tumblr_le7eiz0dL01qdh7boI due dischi sono capolavori del rock, ma forse quello che brilla un pochino in più per genio, è il secondo, Loveless, Creation Records (copertina a destra). L’album parte con Only shallow  (ascolta), fatta di strati su strati di chitarre rumorose e tremolanti sui quali la voce angelica della cantante Bilinda Butcher canta melodia sommesse e distanti. Con Only shallow è subito chiaro lo scopo della band: creare vortici di suoni distorti e rumorosi, amalgamati perfettamente tra di loro e volti a formare un tutt’uno che fluttui per minuti e minuti. Per i My Bloody Valentine è molto più importante la ricerca del sound che il ritornello. Poi, c’è Loomer  (ascolta), una canzone dura e aggressiva, un micidiale hardcore addolcito come sempre dalla voce angelica, etera e paradisiaca della Butcher. Il capolavoro è To Here Knows When  (ascolta), la cui melodia è dolcissima e lontana, sepolta da tonnellate di rumore. La distorsione delle chitarre è estrema e accoppiata ad un quartetto d’archi “artificiale”. Ne viene fuori un’overdose di suoni distruttivi. Ma tutto si fonde alla perfezione, come in un puzzle, a dimostrazione del genio dei musicisti capaci di unire ciò che sembra essere diviso e contrapposto. I brani centrali del disco suonano più regolari, somigliando a delle classiche rock song, le quali, però, vengono ogni tanto stravolte da bizzarri motivetti elettronici. My+Bloody+Valentine+ImageAltro capolavoro da menzionare è Come in alone (ascolta), nella quale sembrano aleggiare le mitiche atmosfere della psichedelica anni ‘70. Poco dopo l’uscita del disco, i My Bloody Valentine sparirono dalla circolazione per riunirsi solo nel 2013, con la pubblicazione di MBV. La loro è stata una rivoluzione incompiuta, spazzata via nel giro di qualche anno dal britpop di band come gli Oasis, che banalizzeranno e renderanno quasi inesistente quel magico connubio tra rumore e dolci melodie. Loveless rimarrà il manifesto dei My Blood Valentine e di un modo tutto particolare di fare musica: un disco meraviglioso, astratto, etero. Un sogno nel sogno.

Pier Luigi Tizzano

 

Pixies

 

Band di rock alternativo statunitense, formatasi a Boston nel 1986, è considerata dalla critica tra le più importanti e influenti del rock alternativo. La loro è una musica piuttosto caotica e distorta, spesso fino all’inverosimile, fatta di melodie scanzonate e ritmi ossessivi. pixies_1_1351682644I Pixies hanno senza dubbio coniato un nuovo e innovativo linguaggio musicale, dal quale hanno attinto ispirazione tante band dei ‘90, tra cui addirittura i Nirvana di Kurt Cobain. La loro è una storia come tante. Nel 1986, il cantante Black Francis e il chitarrista Joey Santiago si conoscono a Porto Rico, dove entrambi studiano. I due decidono di lasciare l’università e di inseguire il loro sogno musicale. Si trasferiscono a Boston e, grazie a un annuncio su un giornale, la band è fatta. Si uniranno a loro la giovane e talentuosa bassista Kim Deal e il batterista David Lovering. I ragazzi iniziano pian piano a spopolare nei locali di Boston con la loro strana ma originale musica, definita noise pop (due terzi di rumore e un terzo di pop). Le loro sono canzoni acide e molto violente, ma nelle quali c’è sempre un nucleo melodico di fondo ben definito. Nel 1987, i Pixies esordiscono con un EP dal titolo Come on Pilgrim.MI0002009636 Il lavoro è ancora acerbo, ma il loro stile inizia a delinearsi chiaramente. Nel 1988, invece, c’è la svolta definitiva. La band pubblica il disco Surfer Rosa, Rough Trade (copertina a  sinistra), e immediatamente raggiunge il primo posto delle classifiche inglesi di rock indipendente. L’album viene accolto dalla critica musicale con grande entusiasmo. Si parla di ultimo grande capolavoro del post-punk e artisti di caratura  internazionale  come  David  Bowie  si affrettano ad esprimere il loro apprezzamento per il lavoro della band. Musicalmente, il disco ripropone il sound base del gruppo: un garage rock interpretato in maniera personalissima, in quanto stravolto da riff di chitarra distorta, ritmi spasmodici, urla isteriche ma unite sempre a una melodia di base, che addolcisce il tutto, creando un’atmosfera eterea e infernale a un tempo, confondendo e stordendo l’ascoltatore che si trova in balia di una musica stralunata e quanto mai originale. Il disco parte in quarta con Bone Machine (ascolta), una canzone ferocissima dominata da dissonanze ed effetti ossessivi. La foga e la tensione diventano, poi, sempre più esagitate e lo si sente in pezzi di chiara ispirazione punk come Something against you e Broken face (ascolta), canzoni nevrotiche e veloci. Poi la tensione si smorza e i quattro ragazzi di Boston virano verso un sound meno caotico e veloce, leggermente più melodico, ma dal forte impatto psicologico, come nella canzone River Euprhrates  e in Gigantic, la ballata firmata dalla bassista Kim Deal che veste i panni di songwirter. La musica di Gigantic (ascolta) è molto lineare ma dal forte impatto emotivo: su una semplice linea di basso, accompagnata dalla batteria, si innestano le chitarre, mentre la voce della bassista crea una delicatissima linea melodica. pixies2Ma il pezzo in assoluto più travolgente del disco è Where is my mind (ascolta): una melodia tremendamente acida, ossessiva e delirante, una sessione ritmica molto cadenzata, lenta ma inesorabile, e un testo surreale concorrono a creare la canzone perfetta, destinata a divenire uno degli inni per eccellenza dei Pixies  e a far parte della colonna sonora dell’immortale capolavoro del cinema Fight Club. Surfer Rosa è un disco sorprendentemente innovativo, dalle infinite influenze e in cui domina una tensione di fondo, quasi snervante. Un disco con cui i Pixies hanno coniato un nuovo modo di fare rock, destinato a divenire (un po’ come è successo per i Sonic Youth) una inesauribile miniera di ispirazione per tante band degli anni ‘90. Un disco assolutamente da ascoltare per capire le successive evoluzioni della musica rock e gli anni Novanta.

 Pier Luigi Tizzano

 

 

Seventies revival or more? A timeless rock band is again on the stage. The countdown is at last on, now!

 

Many people all around the world wish Jimmy, Robert and John Paul, and not the lady of their most famous song, bought a stairway to heaven to let the fans go up there along with them. Led Zeppelin will be soon again on the stage. This crashing event will take place on the 10th of December at O2 Arena in London, twenty-seven years after that morning of September, when John “Bonzo” Bonham, the powerful drummer of the band, was found dead bringing to a conclusion the unwitting adventure of four lads in love with music and after some reunion all along these past years. John Paul Jones, Jimmy Page, Robert Plant and John Bonham’s son, Jason, (photo on the side) will be on the stage again. Those who were young in the Seventies, surely will be excited, remembering not only the golden age of rock, but also a season of passions and youthful thoughtlessness. Led Zeppelin aren’t a myth only for now old generation, in fact many youths love them and listen to their music although it is so different from the present one because their appeal has remained unchanged. To prepare the ground for this stunning concert, on the 12th on November it’s been released Mothership, a triple CD plus DVD that retraces their complete carrier through their unforgettable songs. The Led Zeppelin story, started up in 1968 from the ashes of the Yardbirds, for which guitarist Jimmy Page had served as lead guitarist after Eric Clapton and Jeff Beck. Bassist John Paul Jones also boasted a lofty session musician’s pedigree. Singer Robert Plant and drummer John Bonham came from Birmingham, where they’d previously played in the Band of Joy. The Zep’s members  were musical sponges, often traveling the world – literally traipsing about foreign lands and figuratively exploring the cultural landscape via their record collections – in search of fresh input to trigger their muse. The group’s use of familiar blues-rock forms spiced with exotic flavors found favor among the rock audience that emerged in the Seventies. Led Zeppelin aimed itself at the album market, eschewing the AM-radio singles orientation of the previous decade. Their self-titled first album found them elongating blues forms with extended solos and psychedelic effects, most notably on the agonized Dazed and Confused, and launching pithy hard-rock rave-ups like Good Times Bad Times and Communication Breakdown. Led Zeppelin II found them further tightening up and modernizing their blues-rock approach on such tracks as Whole Lotta Love, Heartbreaker and Ramble On. Led Zeppelin III took a more acoustic, folk-oriented approach on such numbers as Leadbelly’s Gallows Pole and their own Tangerine, yet they also rocked furiously on Immigrant Song and offered a lengthy electric blues, Since I’ve Been Loving You. The group’s untitled fourth album (a.k.a. Led Zeppelin IV  or The Runes Album, or ZOSO), which appeared in 1971, remains an enduring rock milestone and their defining work. The album was a fully realized hybrid of the folk and hard-rock directions they’d been pursuing, particularly on When the Levee Breaks and The Battle of Evermore. Black Dog was a pile driving hard-rock number cut from the same cloth as Whole Lotta Love. Most significant of the album’s eight tracks was the fable-like Stairway to Heaven, an eight-minute epic that, while never released as a single, remains radio’s all-time most-requested rock song. Houses of the Holy, Zep’s fifth album, were another larger-than-life offering, from its startling artwork to the adventuresome music within. Even more taut, dynamic and groove-oriented, it included such Zeppelin staples as Dancing Days, The Song Remains the Same and D’yer Mak’er. They followed with the Physical Graffiti, a double-album assertion of group strength that included the Trampled Underfoot, Sick Again, Ten Years Gone and the lengthy, Eastern-flavored Kashmir. Led Zeppelin’s sold-out concert tours became rituals of high-energy rock and roll theater. The Song Remains the Same, a film documentary and double-album soundtrack from 1976, attests to the group’s powerful and somewhat saturnalian appeal at the height of their popularity. qThe darker side of Zep’s – their reputation as one of the most hedonistic and indulgent of all rock bands – is an undeniable facet of the band’s history. In the mid-to-late Seventies, a series of tragedies befell and ultimately broke up Led Zeppelin. A 1975 car crash on a Greek island nearly cost Plant his leg and sidelined him (and the band) for two years. In 1977, Plant’s six-year-old son Karac died of a viral infection. The group inevitably lost momentum, as three years passed between the release of the underrated Presence (1976) and In Through The Out Door, their final studio album (1979). On September 25th, 1980, while in the midst of rehearsals for an upcoming American tour, Led Zeppelin suffered another debilitating blow. The last one! John Bonham was found dead due to asphyxiation, following excessive alcohol consumption. Feeling that he was irreplaceable, they disbanded. Now the story comes back to the present time in which Jason, Bonham’s son, will replace his father as a drummer for the concert of the 10th of December. Only twenty thousand lucky fans have the ticket to attend this unmissable event because of the sits of the O2 Arena and someone of them has surely paid a lot of pounds to catch the only-in-a-life chance to see one of the most famous rock bands of the world. Browsing in internet, is it possible find out tickets, but how many people can spend from £ 1,700 up to £ 2,200 for a ticket? To many fans does not stay what to dream of being in the O2 Arena and try to reach not a ticket, but a stairway that since 1968 is going up to the heart of the music.

 

Published in November 2007 on www.clubdtv.com

 

Rage Against The Machine

 

Figli della Los Angeles ribelle degli anni ‘90, i Rage Against The Machine, spesso abbreviati in R.A.T.M., sono famosi per aver mescolato il sound duro dell’heavy metal al funk e all’hip hop. La band è stata fondata nel 1991 dal chitarrista Tom Morello e dal cantante Zack de la Rocha. OLYMPUS DIGITAL CAMERANel corso degli anni, si sono distinti per le violente invettive politiche a ritmo di rap nelle loro canzoni. Appartenenti alla sinistra, da sempre si sono battuti contro il capitalismo e l’imperialismo e a favore delle minoranze etniche. Siamo agli inizi degli anni ‘90, negli Stati Uniti, e non c’è cosa più sbagliata che pensare a Seattle e al grunge. I R.A.T.M. vivono a Los Angeles, città distante milioni di anni luce dalle sonorità di Nirvana e soci. La band della città degli angeli ha tutt’altro sound e, più o meno come i Clash, unisce l’impegno sociale al divertimento della musica. La band ha sfornato in tutto quattro album e in coda ai crediti di ognuno dei quattro lavori in studio c’è scritto: “No samples, keyboards or synthesizers used in the making of this recording.” La cosa può apparire puritana e, magari, poco credibile, fin quando non si assiste a un loro live, fatto di una musica essenziale e minimalista, alla quale si aggiunge il rap furioso e rabbioso del cantante Zack de la Rocha, che non esita mai ad usare un linguaggio tanto crudo quanto aggressivo nei confronti del capitalismo. Dopo quattro lavori in studio, nel novembre del 2000, in seguito all’elezione di George W. Bush, il leader e cantante della band annuncia la fine dell’esperienza musicale R.A.T.M. 120814_ratm_albuma causa del totale fallimento degli obiettivi politici fissati il giorno della loro nascita. Il primo omonimo album del 1992 (foto copertina a destra), per l’etichetta Epic Records, è probabilmente il loro lavoro meglio riuscito. All’epoca fu un vero e proprio fulmine a ciel sereno nel panorama rock mondiale. Il disco contiene alcune canzoni passate alla storia, come “Bullet in the head(ascolta) e la famosissima “Killing in the name(ascolta), divenuta l’inno rivoluzionario per eccellenza dei R.A.T.M. L’uscita del disco fu seguita da non poche polemiche. La band fu bollata come sovversiva e pericolosa, antiamericana e comunista. Il “Saturday night live”, celebre programma televisivo americano che ospitava le principali rock band, censurò una loro performance perché Zack e soci avevano disposto sul palco una bandiera americana al contrario. Non mancarono, poi, concerti in cui i ragazzi salutavano la platea a pugni chiusi ed esibivano sul palco enormi disegni di Che Guevara. Addirittura, nel gennaio 2000, alle 15.00 circa, la Borsa di Wall Street fu costretta a chiudere i battenti. La colpa non fu di attentati, crisi economiche o scioperi selvaggi, ma di un cataclisma con un nome preciso: Rage Against the Machine. Giunta all’apice del successo, la band voleva ad ogni costo suonare il proprio “rock anticapitalista” di fronte al tempio della finanza mondiale, soprattutto dopo che le autorità municipali avevano proibito l’esibizione. Il blitz fu un successo. La folla, radunatasi a guardare il concerto improvvisato attorno alla statua di George Washington, fu tale che, prima di essere dispersa dalla polizia, costrinse Wall Street ad abbassare le saracinesche. Dalla performance, il regista Michel Gondry, coadiuvato da Michael Moore (che al termine delle riprese fu anche arrestato), ricavò il video per il singolo Sleep now in the fire (guarda), estratto da “The battle of Los Angeles” (1999), terzo album dei Rage. L’album “Rage Against The Machine”, può essere tranquillamente annoverato tra le pietre miliari della musica rock. Rage-Against-The-Machine-wallpaper-1Come già accennato, il capolavoro è “Killing in the name”, una canzone cadenzata e a tratti tenebrosa, un inno alla disobbedienza civile e alla diserzione militare. L’album è diventato ben presto una sorta di monumento della contaminazione tra metal, funk e hip hop. Con questa fusione la band ha creato un sound esplosivo e violento, originalissimo e del tutto genuino. La forza d’urto della musica di questo disco è impressionante. Una sezione ritmica perfetta e quanto mai appropriata. La batteria suona semplice, ma bada al sodo ed è pesante il giusto. Il basso, invece, è metallico e possente, e va a delineare uno stupendo sottofondo di note su cui si appoggia la chitarra metal di Morello. E, infine, c’è il cantante, che con la sua voce isterica e sdegnata, inveisce a ritmo di rap contro il capitalismo e i potenti del mondo. E’ un disco che andrebbe ascoltato e riascoltato per capirne a pieno la forza e la grandezza, indipendentemente dalle proprie idee politiche. E’ un disco che ha stile, carattere, personalità. Potente come una cannonata, ribelle come pochi.

Pier Luigi Tizzano

 

 

 

Godspeed You! Black Emperor

 

Spesso abbreviati in GYBE, sono un gruppo musicale di Montreal (Canada), attivo dal 1994, scioltosi nel 2003 e riunitosi nel 2010. Il nome della band deriva da un documentario giapponese del 1976, sulla vita di una biker gang, termine col quale, in Giappone, sono indicati gruppi di teppisti che agiscono in sella alle loro moto. La band propone una musica particolarissima e personalissima a un tempo. 52e0fa308cc4eDifficile inquadrarli in un genere, perché i GYBE sono tutto e niente, sono un miscuglio di suoni e di emozioni che sfociano in lunghe suite dai motivi epici, fatte di accelerazioni, decelerazioni, salti, cadute, fasi statiche e decolli furiosi. Tra post rock, psichedelia e progressive,  la  musica  dei  GYBE  (foto a destra) rapisce l’ascoltatore e lo proietta in una dimensione parallela, dominata da riverberi, voci soffuse e immesse quasi casualmente, digressioni rabbiose, esplosioni psichedeliche e ballate blues. In una intervista, il bassista della band, Mauro Pezzente, ha affermato: “Non ci sentiamo parte di nessuna comunità musicale ed è preoccupante che parecchi gruppi possano apparire simili a noi.” Su di loro sono state dette tante cose. C’è addirittura chi giura che la loro musica provenga dallo spazio. Ma non è così. I GYBE sono semplicemente degli artisti geniali che hanno coniato un sound unico ed esclusivo, dei musicisti straordinariamente spontanei che non badano alle logiche ferree del marcato e a cui non importa niente del successo e delle vendite. Suonano quel che sentono, istintivamente, e hanno i loro buoni e fedeli fans. MI0000298211Sempre in una intervista hanno dichiarato di essere consapevoli che la loro non è una musica per le masse e di non importarsene nulla. La band ha raggiunto l’apice della maturità stilistica con l’album del 2000, Lift Your Skinny Fists Like Antennas to Heaven, Constellation Records (foto copertina a sinistra). In questo disco, composto di quattro lunghe suite, riescono a fondere formidabilmente il rock e la musica classica, senza dimenticare momenti di intimo blues e di fiammante psichedelia. I pezzi di quest’album potrebbero sembrare delle lunghe jam session, dei lenti crescendo, con effetti sonori sparsi qua e là e voci registrate tratte da film, interviste o trasmissione televisive. Si potrebbe dire che il disco sia diviso in due grandi parti: una caotica e l’altra onirica. La prima presenta un suono crudo e brutale. Dopo l’ouverture di pochi minuti, seguono suoni lancinanti e distorti, che si uniscono a strumenti della musica classica, come a creare una vera e propria tempesta musicale. La seconda parte, invece, si apre con l’intervista a un anziano che parla della sua infanzia a Coney Island. imagesR45840M0Mentre si ascolta una voce mesta e colma di nostalgia, un arpeggio di chitarra inizia a costruire una struggente malinconia che cresce, si smorza e, infine, ricresce. La rabbia della prima metà del disco si è trasformata in pace e il sound può riportare direttamente al dream pop etereo degli anni ‘80 e a quei maledetti folli islandesi dei Sigur Ros. Lift Your Skinny Fists Like Antennas to Heaven non è un disco di facile ascolto, potrebbe risultare addirittura noioso ad alcuni, ma una cosa è certa: si è dinanzi a un capolavoro dell’arte contemporanea, meraviglioso, stralunato, esagerato, sfrontato, esplosivo. Ascoltarlo sarà certamente un’esperienza unica e indimenticabile.

 

 

 

Primus

 

Una delle più eccentriche band degli anni ‘90. Capitanati dal bassista Les Claypool, hanno avuto la genialità di creare un sound personalissimo e originale, partendo dagli strumenti essenziali del rock: la chitarra, il basso e la batteria. Questa è stata la loro più grande forza, perché nei ‘90, a parte l’essenzialismo strumentale del grunge, le grandi innovazioni del rock sono avvenute attraverso contaminazioni con altri generi, in primis hip hop ed elettronica. Nei suoi Primus, Les Claypool, chiaramente influenzato  dal progressive rock dalla psichedelia degli anni ‘70, propone un rock molto vivace e divertente, a tratti demenziale, a tratti malato e paranoico. Ascoltandoli, l’attenzione dell’orecchio si posa subito sul suo basso, quasi ipnotico, che stupisce nota dopo nota. Ma, nonostante questo strumento la faccia da padrone, la chitarra di Larry LaLonde e la batteria di Tim Alexander sono certo sue comprimarie. Assolutamente da non sottovalutare, infatti, esse sono parti essenziali della band che forse più di tutte, negli anni ‘90, ha fatto di testa propria, non curandosi affatto della moda, di quanto chiedevano i discografici e imponendosi sulla scena musicale come una delle formazioni più esclusive e aggressive, quasi un’istituzione del decennio in cui, secondo alcuni, sarebbe morto il rock. La band ha pubblicato undici album, quasi tutti capolavori.  Tra questi, Tales from the punchbowl, Interscope Records, 1995  (foto a sinistra). Nulla di certo, ma pare che il titolo dell’album sia un omaggio ad una serie di leggendarie feste, tenutesi nei dormitori dell’Università di Berkeley, durante le quali veniva servito del punch corretto all’Lsd. Ecco cosa si respira ascoltando le storie della tazza del punch. Di sicuro storie strane, i cui protagonisti sono folletti e altri esseri mitologici. E di sicuro i Primus, presenti a quei party, ne hanno ascoltate diverse, tanto da esserne ispirati per quest’album, uno dei migliori, se non il migliore della loro carriera. Diciamolo francamente: il disco è un trip meraviglioso! images99G0N5TBComincia in bellezza, con una opener che è quasi una jam session, lunga, potente e aggressiva, per sfociare in svariati pezzi dalle mille influenze, in primis psichedeliche, ma anche progressive, hard rock, dark. Tra questi, spiccano per genio, Southbound Pachyderm (ascolta), paranoica e distorta, introdotta da un ipnotico giro di basso, che accompagna tutto il pezzo, e Wynona’s Big Brown Beaver (ascolta), uno dei successi storici della band, nel cui video i componenti sono vestiti da cowboy. Da segnalare anche Over The Electric Grapevine (ascolta), che, non a caso, parla di un viaggio in macchina sotto effetto dell’Lsd. Malata, paranoica e ossessiva. I tre aggettivi che meglio definiscono la musica di questo meraviglioso lavoro in studio. Un disco da ascoltare tutto d’un fiato. Un disco che incanta e stupisce, che a tratti inquieta, a tratti mette i brividi, ma mai è banale, mai scontato. Un capolavoro degli anni ‘90.

Pier Luigi Tizzano