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Il Flauto Magico

L’opera suprema di Mozart tra mistero, arte
e simbolismo massonico

 

 

 

 

Il Flauto Magico (Die Zauberflöte), composto nel 1791 da Wolfgang Amadeus Mozart su libretto di Emanuel Schikaneder, è una delle opere più celebri e complesse della storia della musica. Rappresentato per la prima volta il 30 settembre 1791, al Theater auf der Wieden di Vienna, questo singspiel (opera con dialoghi parlati e numeri musicali) fonde elementi di commedia popolare, allegoria morale e profondi riferimenti esoterici e massonici. È un’opera che si presta a molteplici livelli di lettura, offrendo sia una narrazione avvincente che una riflessione filosofica sull’umanità e sul progresso spirituale.
L’idea de Il Flauto Magico nacque dalla collaborazione tra Mozart e Schikaneder, impresario teatrale e attore, nonché massone come Mozart. Schikaneder aveva concepito l’opera come uno spettacolo popolare, capace di attirare un vasto pubblico, grazie al suo carattere leggero e accessibile, e, al tempo stesso, di veicolare i princìpi morali e filosofici dell’Illuminismo.
La stesura del libretto subì influenze sia dalla tradizione fiabesca tedesca, in particolare da opere come Lulu, oder die Zauberflöte di August Jacob Liebeskind, sia dal pensiero massonico e dalle correnti esoteriche diffuse nella Vienna del XVIII secolo. Mozart lavorò alla musica durante la primavera e l’estate del 1791, parallelamente alla composizione del Requiem. Questo periodo fu per il compositore carico di tensioni, ma anche di straordinaria creatività: nonostante i problemi finanziari e la salute precaria, Mozart portò avanti il progetto con dedizione, creando un’opera che sintetizza elementi popolari e complessi in una struttura musicale impeccabile.

La trama de Il Flauto Magico è un intreccio di componenti fiabesche, allegorie morali e simboli massonici. L’opera, ambientata in un immaginario antico Egitto, si apre con il principe Tamino, inseguito da un serpente e salvato da tre misteriose dame al servizio della Regina della Notte. Quest’ultima, incarica Tamino di salvare sua figlia, Pamina, tenuta prigioniera dal misterioso Sarastro. Accompagnato dal buffo uccellatore Papageno, Tamino intraprende un viaggio ricco di prove e rivelazioni. Tuttavia, le sue certezze iniziali vengono messe in discussione: Sarastro si rivela un saggio e benevolo sacerdote, mentre la Regina della Notte incarna l’oscurità e il caos. Attraverso prove di coraggio, silenzio e purezza d’animo, Tamino e Pamina dimostrano la loro virtù e ottengono l’ammissione alla comunità illuminata di Sarastro. L’opera culmina con la sconfitta della Regina della Notte e il trionfo della luce e della ragione.
Mozart percorre un’ampia gamma di stili musicali ne Il Flauto Magico, alternando momenti di leggerezza a sezioni di profonda solennità. L’ouverture, in tonalità di Mi bemolle maggiore, è un esempio di equilibrio perfetto tra contrappunto e forma sonata. I momenti salienti dell’opera includono le arie della Regina della Notte, tra cui la celeberrima Der Hölle Rache kocht in meinem Herzen, celebre per la difficoltà tecnica e la capacità di esprimere l’ira e la determinazione del personaggio; i cori di Sarastro, come O Isis und Osiris, che si distinguono per la loro atmosfera sacrale, sottolineando la dimensione trascendente del personaggio e della comunità che rappresenta; i duetti tra Papageno e Papagena, che aggiungono un tono giocoso e scanzonato, celebrando la semplicità della vita quotidiana e il desiderio umano di amore e compagnia. Ogni personaggio è caratterizzato musicalmente con grande finezza: mentre Tamino è associato a melodie nobili e idealistiche, Papageno ha un linguaggio musicale più semplice e orecchiabile, vicino al folklore.
L’intero Flauto Magico è impregnato di simbolismo massonico. L’opera si basa su princìpi fondamentali della tradizione massonica, come la ricerca della verità, l’elevazione spirituale e il dualismo tra luce e oscurità. Alcuni esempi significativi: il numero tre, ricorrente in tutta l’opera, è un simbolo fondamentale nella simbologia massonica (i tre accordi iniziali dell’ouverture, le tre dame, i tre geni e le tre prove sono tutti riferimenti a questo numero sacro); le prove iniziatiche di Tamino e Pamina rispecchiano i rituali massonici, in cui il neofita deve dimostrare il proprio valore per essere ammesso alla conoscenza e alla saggezza; la dualità luce-oscurità, incarnata da Sarastro e dalla Regina della Notte, rappresenta il conflitto eterno tra ignoranza e conoscenza, passione e razionalità; il flauto magico stesso, simbolo di armonia e potere spirituale, può essere visto come un riferimento alla musica quale strumento di elevazione dell’anima.
Il Flauto Magico non è soltanto un’opera lirica: è un’opera filosofica, un’allegoria morale e una celebrazione dell’ideale illuministico. Mozart riesce a creare un’opera che parla a pubblici diversi: è una fiaba avvincente per chi cerca intrattenimento, un dramma simbolico per chi desidera una riflessione più profonda e un capolavoro musicale per gli appassionati di musica. L’opera è altresì un manifesto dell’Illuminismo, celebrando valori come la razionalità, la giustizia e l’amore universale. La sua popolarità e il suo fascino senza tempo continuano a renderla una delle opere più rappresentate al mondo, una testimonianza dell’inesauribile genialità di Mozart.

 

 

 

 

 

Maria Callas

Il canto struggente dell’eterno

 

16 settembre 1977

 

 

Maria Callas, la Divina, non è stata soltanto una cantante: era un’anima intrappolata tra il mondo mortale e quello dell’eterno, capace di far vibrare il cuore umano come se fosse parte di un’orchestra d’archi invisibile. La sua voce è stata un paesaggio vasto e sconfinato di emozioni: talvolta ruvido, altre volte dolce, sempre intenso. Ogni sua interpretazione sembrava un rito antico, un sacrificio d’amore che consumava l’artista e l’ascoltatore in un unico abbraccio di dolore e bellezza.
Nata nel 1923, a New York, da genitori greci, era destinata fin dalla nascita a un cammino solitario, fatto di gloria e tormento. Come una fenice, rinacque dall’anonimato per brillare nei più grandi teatri del mondo, ma dietro quel fulgore si nascondeva sempre un’ombra, un’irrequietezza che l’ha accompagnata fino alla fine. La sua carriera è stata una parabola splendente eppure straziata, un continuo oscillare tra il trionfo e la caduta.
Con il suo talento senza pari, Maria Callas ha ridefinito l’opera. La sua capacità di coniugare una tecnica vocale impeccabile con una profondità interpretativa disarmante l’ha rese unica. Quando interpretava ruoli come Norma, Tosca o Violetta, non era più solo una cantante: lei era il personaggio. Ogni gesto, ogni sguardo, ogni nota erano immersi in un’autenticità così dolorosa che gli spettatori si ritrovavano a vivere, a soffrire, a morire insieme a lei.


Non era perfetta, Maria. La sua voce, a tratti aspra, quasi spezzata, era spesso criticata. Ma è proprio questa imperfezione a renderla immortale. Era la sua vulnerabilità a fare della sua arte un’esperienza trascendentale. Come il marmo che porta le cicatrici del tempo, la sua voce, segnata dalle ferite della vita, raccontava storie che nessuna tecnica impeccabile avrebbe potuto narrare. Lei stessa era solita dire: “Il mio segreto? Forse la mia infelicità”.
L’infelicità era l’ombra che non l’abbandonava mai. Nonostante il successo, è stata una donna divisa tra il desiderio d’amore e l’inesorabile solitudine che il destino le aveva riservato. La sua tormentata relazione con Aristotele Onassis, l’uomo che le spezzò il cuore, rappresenta un capitolo doloroso, forse il più doloroso, nella sua biografia. Era come se ogni trionfo sul palco fosse pagato con una perdita nella vita reale. Un sacrificio necessario per donare al mondo quella bellezza struggente, quell’arte sublime che solo il dolore poteva alimentare.
Negli ultimi anni, la sua voce iniziò a spegnersi, come una candela consumata dal vento della sua stessa passione. Si ritirò dal palcoscenico, ma il mondo non la dimenticò. Il suo canto continuava – e continua – a risuonare nell’anima di chiunque l’aveva ascoltata, come un’eco che attraversa i secoli, un grido che non si spegnerà mai.
Maria Callas visse e morì come un’opera lirica: tragica, passionale, ineluttabile. La sua arte, intessuta di sacrifici e gloria, dolore e bellezza, è un dono che seguiterà a vivere, come una fiamma eterna, nelle note che volano leggere e nei cuori che battono al suono del suo nome.