Un mucchio di gente che conosco è infelice solo perché in fondo evita di mettere a fuoco e isolare le poche cose che la renderebbero soddisfatta. A volte penso che se avessero il coraggio di isolare le cose che permetterebbero loro di essere felici, molte persone farebbero saltar per aria un sacco di coperchi erroneamente considerati necessari. E andrebbero finalmente a meta. Il problema è che si è avvezzi più ai coperchi che alla felicità. Questo è il problema dell’umanità.
Compio sforzi sovrumani. E non perché me lo imponga qualcuno. È solo il soldato che vive dentro di me. Lui pretende la felicità assoluta. Lui mi obbliga a lavorare, guadagnare, scrivere. Mi costringe a costruire qualcosa. Qualcosa di grandioso. Altrimenti ho vissuto per niente. E siccome potrei morire anche domani, il soldato dentro di me mi prende a calci nel culo sbraitando che devo fare in fretta. Questo è come vivo io. Trovamelo adesso uno che possa tenermi testa. Nel bene o nel male. Trovamelo.
Io piango la filosofia antica, piango i dialoghi socratici riferiti da Platone. Piango sul vuoto delle mille discussioni intavolate ogni giorno senza altro scopo che non sia quello di misurarcelo a vicenda. Intrappolati in un sistema comunicativo privo di aria e peso e amore. Ciascuno condannato a fare sit-in nel proprio modesto soggiorno. Come se non fosse l’armonia una meta o una necessità. Ma la fame che abbiamo tutti di arrivare sempre primi. Perfino alla morte.
Mi sono accorto di una cosa. Più dico ai miei amici quello che veramente penso, più rimango solo. E non perché i miei amici (quantomeno alcuni di loro) mi odino di default ma perché non riescono a controbattermi, a convincermi con le loro argomentazioni. Come se io, pur non avendo queste grosse verità in tasca, fossi perlomeno sicuro di una cosa: della mia morale e della mia etica. E perché ho scelto di non vittimizzarmi. Mai.
Questa settimana di passione volge finalmente al crepuscolo. Lista delle cose imparate: ognuno si occupasse dei propri orgasmi che di questi tempi è grasso che cola se ancora ne abbiamo uno come si deve. I bambini malmenati, violati, gettati in mezzo a una strada sono figli di maschio e femmina. Meglio ricordare le camere a gas che giocare a nascondino coi piselli di marmo. E più proficuo guardare alla vita con intelligenza che condirla di rimpianti. Passerà anche questa nebbia e ci prepareremo alle quiete ore carnascialesche dense di chiacchiere e allegrezza, chi vuol esser lieto sia di doman non c’è certezza.
Mi tortura il pensiero della morte. Morte mia, del sapere, dei mondi e della civiltà. Morte delle memorie, di tutto quel che è venuto prima. Mi ci sono svegliato di colpo stanotte. Quella strana sensazione di smisurato attorno. Mi ossessiona la morte. Come avessi troppi lacci spezzati, troppe interruzioni dietro di me. La percezione della morte mi induce alla scrittura. E alla musica soverchiante che la scrittura deve fare. Io, no, davvero, io non so proprio come altro scongiurare la tomba.
Le persone che scegliamo di frequentare coincidono perlopiù con certe nostre fasi esistenziali, certi nostri periodi emotivi, passati i quali son passate anche loro. Probabilmente la vera tragedia dell’amicizia sta nella sua estrema difficoltà a durare, nella sua assai rara costanza attraverso gli anni. Alla fine i soli veri amici che abbiamo sono quelli che per ragioni misteriosissime hanno superato tutte le stagioni, bellissime oppure terribili, della nostra vita.
Resistenza. Resistere. Anche quando per dire c’è una bora anarchica maledetta assassina puttana vigliacca chimica. Che ti sbrana i ginocchi e tu che dormivi e poi ti sei svegliato su un pezzo di ghiaccio separato dal mondo. Anche lì resistere. Non abbandonare cioè sul fondo il sasso che è peso e immondo e tu allora dici così mi trascina mi spinge più giù mi porta sul fondo adesso vado a picco. Invece resistere stare dove stai dove ti mettono starci ma non starci così, facendo finta che tutto va bene invece è tutto che sa di merda, ma starci. Starci comodo largo vivere resistere come non fosse propriamente questo il fondo ma il porto e lo scoglio la rocca che dovevi difendere che devi difendere. Come fosse ieri e prima. Che c’erano le mani. C’erano mani. Mani perdio mani. Rimango. Rimani. Resto. Resisto.
Bisognerebbe ragionare su ciò che è ormai ovvio. Su ciò che è scontato ma forse prima non lo era. Su quegli infiniti modi di vedere una cosa, via via diventati un solo modo. Scoprire attraverso gli anni come siano cambiate le nostre percezioni generali in fatto di questo, in fatto di quello. E accorgersi che l’ovvio è un’enorme conquista e al tempo stesso la più estrema disfatta.