Archivi categoria: Pensieri

Crossroads

 

Le cicale di Villa Borghese ci stordivano. Però non ci siamo interrotti. Mai. Così ti ho detto che sono giunto da solo a questa specie di bivio. Da un lato la necessità che sempre più si fa strada in me di trovare qualcuno con cui pian piano addomesticarmi, dall’altro le mie briglie sciolte, il mio seguitare a pisciare dove voglio e quando voglio, il mio piantar bandiere su tutte le lune che il mio radar per caso intercetta, la mia bulimia. Ti ho detto che amo stare sul mio palco e che voglio essere ammirato da tutti. Che nessuno si deve avvicinare troppo, a meno che non siate voi, i miei prediletti. Che il mio show, gratta gratta, è solo per te e quelli come te. E tu forse, nell’ascoltarmi, tra quelle cicale furiose, devi aver afferrato una volta per tutte questo pezzetto di me così fondamentale. Le femmine un tale cameratismo non lo potranno mai capire. Questo almeno dovresti potermelo riconoscere. In ogni modo sono tornato a casa che mi sentivo finalmente vuoto nella testa e come aggiustato. Sei un po’ il mio meccanico. Da sempre. Sostituisci le pasticche dei miei freni e mi lasci correre. Fino a che poi sono sfiatato e allora, se dio vuole, posso dormirci sopra.

Patrick Gentile

 

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Di sera

 

Alla sera alzavo al massimo il volume del giradischi. La musica esplodeva e riempiva di sé il soggiorno e il mondo rosso nel tramonto e allora, ecco, chiudevo gli occhi. E cominciavo a girare su me stesso, le braccia aperte, un gran fuoco di immagini in una girandola pazza di cose così intense che certe volte il mio cuore non ce la faceva e allora cadevo a terra. Col fiatone. Gli occhi lucidi. L’infinito.

Patrick Gentile

 

tramonto

 

 

Dèi

 

Ognuno di noi marcia avvinghiato ai propri demoni. Ci illudiamo di volerli sconfiggere, abbattere, invece seguitiamo a ospitarli, accudirli, a costruire templi deputati al loro culto diuturno. Perché sono le mostruosità a restarci incollate ai piedi, i liquami a darci il senso e la misura di noi. Che ci piaccia o no, imploriamo Dio affinché questo fango sia perpetuo, anzi gonfi. Fino a sommergerci. Amiamo le manette che ci hanno messo ai polsi, il cerchio di ferro al collo, la palla d’acciaio alla caviglia. Invochiamo la libertà ma se per errore ci viene concessa finiamo col costruire nuove prigioni, nuove celle, nuovi demoni, nuovi dèi.

Patrick Gentile

 

lucifero-franz-von-stuckFranz von Stuck, Lucifero (1889-1890), Sofia, The National Gallery for Foreign Art

 

Deviazioni

 

Ciascuno di noi in fondo è un po’ sadomasochista. Chi più, chi meno. È inevitabile, è tratto precipuo delle nostre umane deviazioni verso l’impervio. Verso il torbido, il palustre. Come può eccitare alla lunga ciò che sta sempre esposto in vetrina? Quanto davvero potrà saziare la nostra fame? In ognuno di noi coesistono la muta Ada McGrath e il selvatico māori George Baines. Anche il maschio più ispido e bellicoso potrebbe sorprendentemente inchinarsi d’un tratto allo scudiscio dell’altrui potere. E godere come non avrebbe mai neanche lontanamente immaginato. Se solo le persone fossero più animali. E meno marionette.

Patrick Gentile

 

Farmacovigilanza

 

 

Ce lo chiede l’Europa – Che andasse al diavolo l’Europa!!!

 

Che andasse al diavolo questa Europa!!! Che andassero al diavolo quanti ancora credono in una unione, solidale, di popoli e di intenti!!! Che andassero al diavolo quelli che anni fa mi chiamavano fascista, quando rivendicavo l’impossibilità di giungere ad una comunanza di obiettivi, che valicasse i sacri confini e gli interessi nazionali. Che andasse al diavolo l’Europa, ormai vecchia e lurida baldracca, prona agli interessi economici di chi comanda realmente il mondo e costretta all’inazione. Che andasse al diavolo l’Europa, insieme con l’ipocrisia dei rivoluzionari-chic e dei filantropi da salotto, eletti ed elettori. Che andasse al diavolo l’Europa, perché lì vi troverà la culla e i sogni di questo bimbo!!!

 

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L’estate profonda

 

Al centro profondo dell’estate, “I and I” di Bob Dylan sul giradischi, mi riscoprivo laconico e incapace. Di esprimermi, di crescere. Entrò un pipistrello in casa e un geco risalì l’angolo tra le due pareti. Mia madre smise di mangiare. Me ne stavo concluso sui pastelli fino a quando un pomeriggio lui disse giochiamo a mosca cieca, chi di noi perde farà penitenza. C’era come un giallo granuloso nell’aria, grandi palle di fuoco nel cielo, e io barcollavo in bilico tra la fame e la pubertà con un calzino arrotolato sugli occhi. Lo vedevo da sotto, le sue enormi scarpe Adidas a pochi centimetri di me. Aveva le forbicine per le unghie e mi pungeva mentre io mi votavo alla sconfitta. Nelle fiamme di agosto. Hai perso e adesso sarai torturato a dovere. Guardavo il soffitto opposto a me e in quel bianco smarginavano le ultime chiazze della vergogna. Seppi solo secoli dopo. Che io sono nato Basini. E che avrei cercato per tutta la vita i miei carcerieri, Beineberg e Reiting. Il mio Törless. La mia frustata sulle chiappe. Piegato con la faccia sul pavimento, la corda al collo, la polvere.

Patrick Gentile

 

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Una lunga estate

 

Passati gli esami di quinta elementare trascorsi un’estate tra le più lunghe e solitarie. Fu lì che mi accorsi dello spuntare dei primi peli isolati. Avrei voluto vomitare. Invece seguitavo a scrutare fra i tetti, verso una croce azzurra e lontana, in mezzo alle antenne, oltre le cime degli alberi di fronte. Dietro quegli alberi si celavano le grida dei ragazzini, i calci duri e potenti dati al pallone, le risate sguaiate, la sfrontatezza. Mi torcevo il lembo della canottierina, l’elastico di quelle odiose mutandine bianche. E non riuscivo a vedere. Non riuscivo, dannazione. Non ci sono riuscito, cazzo. Non ce l’ho fatta. Avrei dovuto buttarmi di sotto allora, scavalcare il vialetto del garage, arrampicarmi sul selciato, superare il ciliegio e vedere cos’era. La maledetta vita.

Patrick Gentile

 

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Lavate le vostre coscienze nel mare intriso del sangue di innocenti

 

Sangue innocente. Questo il prezzo per lavare le vostre coscienze! Comodo, molto comodo, troppo comodo, sentenziare dal salotto di casa propria, in nome del falso e ipocrita buonismo occidentale, di chi si dice disposto ad aiutare ma che, in realtà, non muove un dito, uno. Flatus vocis. Ecco cos’è la vostra disposizione ad accogliere i migranti. Chiacchiere! L’Europa non può e, soprattutto, non vuole farlo!!! Non saranno certo le vostre ciance dal cuore d’oro a salvare questi disgraziati dall’annegamento. Non saranno certo le vostre ciance dal cuore d’oro ad annientare, anche fisicamente, quanti fanno affari con i governi, per imbarcare questi miseri verso la morte. Queste ciance serviranno soltanto a lavare la vostra coscienza nel mare intriso del sangue di innocenti!!!

 

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Lo zoo di Berlino

 

“Christiane F.” fu per me, che lo vidi da ragazzino, il rovescio perfetto del “Tempo delle mele”, una specie di lato oscuro ed estremo di quella che consideravo una generazione presa nel mezzo. Da un lato un certo onanismo eidetico e favolistico tipico di pellicole come “Blue Lagoon” o “Paradise”, dall’altro la chiaroveggenza a tratti zombiesca di una deriva ben precisa. L’epopea della deiezione grunge si raccoglie, ‘in nuce’, tutta qui, dall’altra parte del Muro. E con David Bowie danza sull’abisso. Una catabasi talmente profonda da tenerti a galla sul pelo della tenerezza. Restai così turbato dalla visione di questo film che decisi che mi sarei drogato anche io. Nella mia mente stringevo il laccio coi denti e infilavo l’ago. Avrei avuto il mio zoo, il mio rifugio suburbano, la mia ganga smidollata e becera. Ma ero uno stronzo. Un pavido “rebel without a cause”, una miniatura goffa di James Dean. E difatti alla fine non mi sono intossicato mai. Mai un tiro, mai una pasticca, mai nemmeno una sbronza. Ho avuto il mio rehab in compenso. Mentale. Ed interminabile.

Patrick Gentile

 

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Autoironia

 

Spesso nella mia vita ho dovuto constatare che l’autoironia è il solo autentico salvagente per non affondare negli inferni più estremi. Del resto è una consapevolezza che si acquisisce piano piano, ferita dopo ferita, lacrima dopo lacrima. Impari a ridere di te solo quando hai versato l’ultima stilla del tuo sangue. È lì che inizi a non prenderti più sul serio. A sorridere delle tue sciagure, delle tue disfatte. A farlo con un certo occhio benevolo, accondiscendente. È lì che impari anche ad accarezzarti da solo. E a non ritenere più che ti sia dovuta l’esistenza di qualcun altro pronto a farlo al posto tuo.

Patrick Gentile

 

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