Ho solo un modo per campare felice quel che rimane della mia vita. Smetterla di analizzare i percorsi altrui e arrendermi all’evidenza della mia natura anarchica e selvaggia. Solo così sarò veramente felice e indistruttibile. Solo così.
Quasi tutte le persone che conosco (o ho conosciuto nella mia vita) non si sono mai soffermate più di tanto sull’orrore ontologico del mondo. Piuttosto hanno preferito biascicare in una lingua logora e frusta. Li sento sempre mormorare di questo e quello con una tale sfrontata operosità che ogni volta suscitano in me un misto fra pena e tenerezza. Così attenti al caso microbico del giorno, oggi un pedofilo, domani un condannato a morte, dopodomani un attentato terroristico. Sempre lì, in prima linea, i mitra carichi, indignati e pronti a dire “no”, come foste tanti piccoli e laboriosi Marcuse. Li leggo, li ascolto, e qualche volta sorrido. Quando ho voglia di autenticità trovo nei prati una risposta, nel silenzio una certezza, nel sonno una giustizia, nella fame e nella sete e nel pianto il vero. Il solo possibile vero dell’esistenza umana. Ma stiano tranquilli, lo so, non sono abituati alla tragedia.
Sono convinto di una cosa. A vent’anni si ha un grande deserto di spazio e tempo davanti, un gigantesco vuoto che facilmente può essere riempito dal cosiddetto amore. Si dovrebbe far tutto lì per lì. Innamorarsi, fidanzarsi, accasarsi, eccetera. A quarant’anni dietro hai una sfilza di bunker e vasche e soffitte e cantine, davanti una strana fretta sudata, un malessere che è difficile nominare. Per questo non ti innamori. Sei prudente e guardingo in una città prudente e guardinga, tutti appesi a un unico filo fragile. Mi dispiace per chi oggi a quarant’anni o a cinquanta sia rimasto solo. Per amarsi adesso non basta scopare bene, voler fare un viaggio insieme. È solo questione di giorni. Sono torce che ardono svelte. Ti svegli e trovi cenere. Masse nere di cenere. Per questo non ti avvilisci nemmeno. Spazzi via tutto, consapevole di una cosa: se i passi non si fanno al momento giusto, spiacente, dopo non funziona più. Non siamo film, non siamo canzoni.
Di base sono un bravo ragazzo. Lavoro, mi lavo molto, mangio sano. Fumo, è vero. Ma un uomo almeno un vizio deve pur averlo. Divento spigoloso con chi si prende troppa confidenza. Con chi non è gentile con me. E sono cauto e introverso. Capisco le persone in fretta. Mi servono tre minuti per capire se uno è stronzo, psicolabile, oppure semplicemente si sta cacando sotto. Sono sveglio e svelto. E non è facile avere a che fare con me sulla lunga durata. Stresso molto le cose. Le spremo. Perché a me il grasso fa schifo. Io voglio l’osso. E faccio lo slalom per arrivare al punto. Il punto è la soddisfazione opposta alla frustrazione, vale a dire il binomio su cui poggia l’intera esistenza umana. Certi periodi sono un vampiro. Ma negli altri torno placido. E ragionevole e affidabile. Sereno anche nella mia solitudine comune, ordinaria. Felice in qualche modo che vivendo ho imparato. Felice.
Fremo per quanto non si renda all’istante disponibile e facilmente consumabile. Fatto. Flirto con tutti e tutti sono merce usa-e-getta. Fatto. Ho amato una sola volta e avevo venticinque anni. Fatto. Oggi mi incapriccio perché devo averla vinta comunque. Ottenuto quel che mi preme mi disinteresso. Fatto. Vorrei riuscire a capire se sono disposto a sacrificare il mio fortino invalicabile a favore di me più un altro essere umano. Farmi carico dei suoi bisogni, affanni, strazi. O crepare da solo nella mia roccaforte. Da fare, forse. Perché vivere senza amore a tratti è lacerante. Ma del resto viverci implica abnegazione. Ecco il nodo.
Dovrò riuscire a trovare conforto nella scrittura. Mi farà da madre e da figlia quando arriveranno tempi peggiori di questi. Quando annotterà quasi completamente intorno a me. Anche se vivrò. Ché vivere senza amore è lacerante. Arriva il giorno che diventi diffidente e cattivo e non hai più niente da perdere.
Perché, Dio, non mi hai fatto nascere macchina? Avrei svolto i miei compiti con rigore e successo, non avrei avuto altri input all’infuori del calcolo e del procedimento. Non avrei sentito né la fame, né la sete, né altri tipi di morso o crampo. Non avrei avuto questa voglia di urlare. Se mi fossi spezzata mi avrebbero riparato mani esperte e competenti. Sarei stata aggiornata, migliorata, resa sempre più potente. Sarei stata infallibile e lucida e fredda. Oppure perché non mi hai fatto nascere cane gatto uccello pesce? Avrei soddisfatto i miei appetiti senza pormi domande, senza porne agli altri. Perché mi hai dato la croce di essere un uomo? Perché?
Io quando penso ai momenti in cui ho vissuto per davvero, nel solco della vita proprio, Luigi mi viene in mente come la prima cosa. Sempre. I miei tredici anni, la pioggia torrenziale, il buio del cinema. Poi ci sono io da ragazzino che nuoto a rana e guardo un altro ragazzino che nuota a farfalla e lì si capisce che futuro mi aspetta. Poi, subito dopo vedo me e Claudio la prima sera che mi telefonò per dirmi: usciamo io e te. Vedo me e lui a Trastevere, fari nel vetro del pub, qualcosa di insondabile. Poi ci sono io che mi sento morire. E poi un giorno che sono in bici sulla ciclabile e prima di Ponte Milvio viene giù un temporale talmente violento che penso che per me è finita qui. E poi basta. Il resto è un milione di film.
Un dipinto, una fotografia, ti rubano pochi istanti. Ti passano dentro e dopo ne serbi qualche vaga traccia. Occorre tornarci sopra, più e più volte. Una canzone, un film, possono accoltellarti se vogliono. Sarai condannato a portarteli dentro. Fino nella tomba. Una poesia agisce sulla tua psiche. Ti farà franare nelle convinzioni e nelle prospettive. Un libro, un romanzo, scaverà molto lentamente dentro di te. E si riaffaccerà quando non riceverai altro conforto da questa vita. Eccolo. Nudo e crudo. Il mio scopo.
Forse perché ho accumulato tanto che non ce la facevo più. Forse è la sera, la pioggia, le macchine. Forse sono certe canzoni. Certe maledette canzoni del cazzo. Quanto cazzo male fanno le canzoni. Questo mondo naufraga sotto canzoni che t’ammazzano. Forse è la strada. Forse è che sono a pezzi. Ma piango. Piango a cazzo di cane. Col naso e il moccio e tutto proprio. Sì, piango. Piango e vaffanculo.