Quanto è stata lunga Ti Jean la strada che da Lowell ti ha portato dove non ci sono più strade e quanto sarà lunga Ti Jean la strada sulla quale io dovrò correre per provare a raggiungerti correre sì correre come il ritmo sincopato di una partitura jazz che striscia tra i tasti di un sassofono nero in un locale stretto e fumoso giù a New Orleans come le parole spontanee su un rotolo per telescrivente senza punti né pause libere senza freni nude e senza coscienza parole bruciate troppo in fretta benzina nel carburatore dell’automobile che sfrecciava per le highways d’America da Est a Ovest a Est irrequieta battuta affamata di vita e beata il suo rumore è arrivato dovunque ha corso per tutte le strade del mondo e non si è finora ridotto né può continua è possibile ascoltarne il rombo limpido e chiaro come le notti passate a dormire sui prati e nei boschi nel sacco a pelo fatto di stelle e una bottiglia di bourbon.
Ti avrei raccontato di un luogo oltre le nuvole e gli arcobaleni più iridescenti dove, come anime belle, risiedono tutte le idee. E di come le idee diventassero poi soffio di vita gioiello d’amore sorriso di bimba corpo di donna carezze di madre lacrime dolci. Ti avrei detto che non sarebbe stato un creatore a far tutto questo o un artista ma noi. Avresti avuto i miei occhi blu e la sua bocca dipinta con un pennello celeste, il suo collo e i suoi fianchi perfetti le sue mani amabili i suoi seni stupendi e il suo incanto leggero. Avresti avuto il suo stesso nome e io a chiamarvi e voi a rispondermi nello stesso momento. Sei tu, è lei, non sarebbe importato. È amore. Avresti riso ai giochi che avrei inventato per te letto i libri che avrei scritti per te. Con lei t’avrei aspettata la notte per sentirti tornare, con lei avrei pianto di gioia nel vederti ormai donna, e in te avrei amato il suo essere donna. Ti avrei lasciata andare quando sarebbe toccato a te compiere ciò per cui tu saresti venuta alla vita, ma non t’avrei mai abbandonata. Sarei stato sempre nei pressi e se avessi avuto bisogno t’avrei ancora presa in braccio. Stella, piccola Stella, in quel luogo oltre le nuvole e gli arcobaleni più iridescenti, ti troverò quando verrò a cercarti e con te troverò anche lei. Lì è dove esisti, lì è dove batte il tuo piccolo cuore lì è dove siete e sarete per sempre, al di là del tempo, al di là dell’amore.
Quando tu non ci sarai accoglierò per te fiori di campo spezzerò rami di pesco coi boccioli color rosa tenue e conterò le ore attraverso quei fiori lasciati nel vaso di vetro su un tavolo. Fisserò i zampilli di una fonte montana e ne berrò l’acqua fredda che toglierà anche la sete più tenace, e poi seguirò le foglie portate dalla corrente sulle quali lascerò andare il mio cuore. Quando tu non ci sarai cercherò di non piangere perché nel ricordo di te il mio sorriso avrò qualcosa del tuo e di quegl’occhi incantevoli.
Nel giardino concluso dal tempo sospeso dove viole e camelie t’han presa per mano custodisci il tuo giglio dai petali d’oro lo lavi con lacrime bionde di miele lo asciughi coi lunghi capelli di stelle pallida luna nel cielo brillante la notte dissolve le ombre nell’alba.
Il vento che muove le foglie arancioni che tendono i fili di larghi aquiloni nell’aria serena al profumo dell’erba gli orchi gelosi ti hanno violata squarciandoti il petto, brandendoti nuda usando parole, vergogna e violenza, lasciandoti prona e incapace di alzarti. Nel giardino concluso io sono passato e non hai voluto che io ti rialzassi. Ti ho carezzato le guance rigate le labbra assetate seccate dal sole. Ho provato a parlarti ma tu mi hai cacciato. Nel giardino concluso dal tempo sospeso tu dormi cullata dagli orchi gelosi dal petto squarciato sbocciano gocce di latte sprecato e di sogni confusi. La ninnananna ha cadenze ferine il tuo corpo di donna diventa di bimba e di lontano si vede una mamma.
Hieronymus Bosch, “Il giardino delle delizie” (part.), (1480-1490), Madrid, Museo del Prado