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Amedeo Modigliani e le sue modelle: una brevissima analisi poetica

 

 

Amedeo Modigliani, misero, senza un soldo, perennemente ubriaco o stordito dall’oppio, ma artista immenso e maledetto, terminato un nudo, nel suo studio cadente a Montparnasse, soleva fare all’amore con la modella che aveva posato per lui. Misera anch’ella, vendeva le grazie di cui la Natura l’aveva dotata, per farsi ritrarre e guadagnare dei soldi, salvo poi preferire in compenso mezz’ora d’amore, anteponendo, così, la passione al danaro di cui, senza dubbio, aveva bisogno. Gli si concedeva, perché la baciasse quella bocca dalla quale erano uscite parole impastate di eccessi, perché la toccassero quelle mani che l’avevano così mirabilmente dipinta e perché entrasse in lei, attraverso il passaggio che pure gli aveva mostrato, l’immensa arte di quel giovane straccione italiano. Questo è quanto percepisco in certi quadri di Modì.

 

 

Amedeo_Modigliani_-_Le_Grand_Nu“Grande nudo disteso”, 1917, New York, Museum of Modern Art

 

Amedeo_Modigliani-nudo-disteso-768x465“Nudo disteso”, 1917, Collezione privata

 

572“Nudo”, 1917, New York, Solomon R. Guggenheim Museum

 

Amedeo_Modigliani_012“Nudo Rosso”, 1918, Milano, Collezione Gianni Mattioli

 

 

Blues di un amore lontano

 

Alla mia terra

 

Volo.
Il sole caldo
di mezzo mattino
verde e azzurro.
Amore.
Volo.
Oro sul mare
argento delle colline.
Qualche nembo pallido.
Bella,
bellissima.
Volo.
Lontano e poi giù
in picchiata.
Un ciclamino
odore di muschio e di terra.
Erba, pietre.
Giallo e arancione.
Il vento leggero.
Rosso.
Fuoco.
Legna che brucia.
Fumo.
Volo.
Più in alto.
Blu.
Un gabbiano.
Una lacrima.

 

alba-con-gabbiano

 

 

E continuo a guardare la luna

 

 

 

E continuo a guardare la luna,
a parlarle.
Sono folle a parlare alla luna?
Lo sarei di più se non l’ascoltassi.
Mi racconta di ciò
che esisteva prima del mondo,
prima di te.
Sei nata la notte in cui
ho cominciato a parlare alla luna.
Morirai quando smetterò di ascoltarla.
E continuo a guardare la luna…

 

 

 

Epitalamio

 

(Te e i Pink Floyd)

 

 

Ormai ti conosco.
A memoria.
Eppure, ogni volta che ti vedo
resto obnubilato
dall’esondazione di grandezza
che trasuda da ogni stilla,
non meno divina,
di te.
Sei qualcosa di prodigioso
e oltremodo sublime.
È evidente che su di te
sia caduta una supernova
di irradiante e traboccante meraviglia.
Con te è tutto troppo grande
e troppo indefinito.
Tra due o tre secoli
potrei ancora guardarti
con tutta la misterica deferenza
con cui oggi ammiro
un’opera d’arte in un museo.
Non sei neanche più solo bellezza:
sei porta della percezione
che ogni volta varco,
tra drammi onirici
e agnizioni brutali.
Sei l’universo altro
che si scompone e ricompone
disegnando sciarade sfuggenti.
Sei la perfezione.
Punto.

 

 

Friedrich Schiller, il poeta della libertà

 

di

Carlo Lottieri

 

 

È sufficiente passare qualche ora a Weimar, visitare la casa in cui visse e farsi conquistare dello magia del luogo per avvertire in che modo Friedrich Schiller ha saputo incarnare lo spirito liberale e borghese di quella Germania che poi verrà spazzata via dalla reazione nazionalista successiva all’invasione napoleonica…

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Friedrich Schiller (1759-1805)

 

 

Sulla tomba di Shelley

 

 

Tra le mie mani
la tua pelle diventa poesia.
Quieta pittura,
che mi riveste l’anima,
vento leggero
che accarezza i miei occhi
Lascerai questo letto,
presto,
appiccando nuove fiamme
dalla cenere.

(4 dicembre 2016, Cimitero acattolico di Roma)

 

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Tableaux de débauche

 

 

Uno stormo di quadri immorali,
uccelli con ali di vampa,
avvolge i miei occhi
e vi pianta
lame frementi e profonde.
Un lume di sangue
veglia il tuo sonno
e i miei brividi folli.
Con labbra chiuse tu dormi
e il tuo corpo scoperto
soffia braci di ansimi
e sospiri corrotti
sulla mia impotente miseria,
agonizzante nel lebbrosario del vizio
che il tuo seno cupido
nutre e sostenta.
Mai sarò stanco di amarti,
mio dissoluto tormento…

 

Immagine 4

 

Ho sempre desiderato incontrare una donna che mi possedesse a tal punto l’ispirazione da renderla, con i miei versi, un’opera d’arte vivente! (R. P.)

 

Fantasma

 

 

Sono stanco.
Sono stanco
anche di odiarti,
fantasma,
a tal punto
da ucciderti
affinché ti dilegui.
Ma tu non svanisci
e torni ogni notte
per farmi morire
sulle labbra e sul corpo
a cui appartenevi!

 

 

 

Nell’aiuola sotto l’albero di pere, non spuntano più i ciclamini a settembre

 

Piccolo ragguaglio critico sulla mia poetica

 

 

Il maggior grattacapo di ciascun critico letterario è certamente quello di non poter mai, o quasi mai, ascoltare dalla viva voce dell’autore che critica alcunché riguardo la sua poetica. Il primo, infatti, deve sempre procedere gattoni, con una lampada in mano, anche in pieno giorno, per cercare di districarsi, di individuare quello che, molto spesso, costituisce un vero e proprio bandolo di matassa della mente del secondo. Ciò detto, semmai qualche critico letterario in un lontano futuro dovesse interessarsi alla mia opera poetica, ecco un piccolo ragguaglio su di essa.

ciclamino

Nel settembre del 2002, in un’aiuola sotto un albero di pere, nel mio giardino, a Sant’Agata sui Due Golfi, spuntarono alcuni ciclamini. Avrei creduto, per molto tempo, che vi fossero germogliati spontaneamente, fino a quando, qualche anno dopo, seppi da mia madre che era stata mia sorella a piantarli. Trascorrevo molte ore di quei pomeriggi settembrini in giardino, perché vi erano comode poltrone sulle quali sedevo a leggere e, di tanto in tanto, il mio sguardo si posava su quei ciclamini.
Nel mio immaginario, non soltanto poetico, i ciclamini hanno sempre rappresentato, anche pascolianamente, la mia infanzia. Agli inizi degli anni ’80, il mio paese era pieno di prati che a settembre cominciavano a colorarsi del viola dei ciclamini. Questi fiori sono stati tra i primi che noi, bambini, donavamo a nostra madre o a qualche compagnuccia.

Fioritura-annuale-di-Cyclamen-hederifolium

Alla fine di quel settembre del 2002 ritornai per gli ultimi mesi a Urbino, terminando i miei studi universitari. Anche il mio giardino mutò d’aspetto, a causa di una diversa destinazione che fu decisa per la nostra proprietà, seppure quella aiuola vi è rimasta. Si chiuse, così, un periodo della mia esistenza, che ho cristallizzato in quei ciclamini. Da allora, ogni settembre, nel mio cuore sboccia sempre un fascetto di ciclamini, nei cui petali e nei miei versi rivivono quel bimbo, quel giovane e  quel tempo che non ci sono più.

 

Italia

Canto d’autunno

Blues di un amore lontano

 

IMG_20160904_184655L’aiuola sotto l’albero di pere dove spuntavano i ciclamini a settembre, oggi (settembre 2017)