Archivi categoria: Politica

I fondamenti religiosi della finanza islamica

 

di

Riccardo Piroddi

 

 

Parte III

Le regole fondamentali della finanza islamica

 

Se, agli esordi, la finanza islamica era considerata una nicchia del mercato finanziario mondiale, in base al tasso costante di crescita annuo, superiore al 10%, si può prevedere che, nel giro di un ventennio, questo particolare settore della finanza verrà ad occupare un posto di grande rilievo, a livello internazionale, sulla base di diverse potenzialità: la ricchezza finanziaria accumulata da alcuni paesi di confessione islamica, pronta ad essere investita anche in paesi non-islamici, purché gli investimenti siano conformi ai principi delle legge coranica; la presenza in molti paesi occidentali (USA, Gran Bretagna, Germania e Francia) di numerose comunità islamiche, che vogliono investire, in modo lecito, secondo le regole del Corano; la limitata diffusione di servizi bancari e finanziari nei paesi islamici, che prelude ad una forte espansione degli stessi; la disponibilità di alcuni paesi occidentali a modificare le loro norme interne, di natura fiscale, immobiliare e sulla gestione del rischio (anche con i doppi regimi), per poter favorire, sul territorio, la presenza operativa di banche islamiche (l’esempio inglese – e francese – resta il più pertinente, con la prima banca islamica, 2004, in Europa, la Islamic Bank of Britain, sulla base del principio “no obstacles, no special favors); l’offerta crescente, da parte delle banche tradizionali occidentali, di prodotti finanziari “Shari’ha compliant”, per attirare clienti di fede islamica; le emissioni di obbligazioni islamiche (sukuk), negoziate alla Borsa di Londra, che interessano non solo emittenti, residenti in paesi islamici, ma anche emittenti occidentali (nel 2004, il Land della Sassonia-Anhalt ha emesso 100 milioni di euro di sukuk e il governo inglese ha annunziato di voler finanziare il suo deficit con emissioni di sukuk); il credit crunch della finanza occidentale ha accentuato l’interesse, anche in Occidente, per la finanza islamica, in relazione ai principi e alle regole, che la governano; la standardizzazione dei contratti islamici, che favorisce la loro diffusione; la discussione in corso, in Occidente, su come ancorare la finanza occidentale a principi etici, porta ad un obiettivo avvicinamento alla finanza islamica. Si è già chiarito, nei precedenti articoli, che la finanza islamica si basa sui principi dell’Islam e sulla legge coranica, la Shari’ha, ricavata dal Corano, e la Sunnah, che raccoglie gli atti e i detti del profeta Maometto. La Shari’ha viene interpretata dalle diverse scuole di pensiero del mondo islamico, anche se la confessione sunnita risulta prevalente e riguarda il 90% della popolazione islamica mondiale. Le scuole sunnite di diritto coranico dominanti sono quattro e adeguano la legge coranica all’evoluzione tecnologica, secondo il principio di analogia (in tal modo, il divieto dell’alcol è stato esteso alle droghe): la Shafi, diffusa in Malesia; l’Hanbali, diffusa in Arabia Saudita; l’Hanafi, diffusa in Pakistan; la Maliki, diffusa in Africa. Vale la pena, adesso, approfondire la struttura del contratto più diffuso della finanza islamica: il murabaha. Viene applicato ogni volta che il cliente di una banca islamica ha bisogno di una finanziamento per l’acquisto di un bene (sia esso una casa di abitazione o, ad esempio, il capitale della Aston Martin, acquistato dal fondo del Kuwait, Investment Dar, per una cifra di 1,3 miliardi di dollari). A differenza della finanza non islamica, che corrisponde a questa richiesta, mettendo a disposizione i capitali necessari, contro il pagamento di un interesse e la prestazione di adeguate garanzie, con il murabaha è la banca ad acquistare direttamente il bene e a rivenderlo immediatamente al cliente, con un margine che è funzione del valore del denaro, per il tempo concesso in dilazione di pagamento. I passaggi-chiave del murabaha sono tre: il cliente manifesta alla banca islamica la volontà di acquistare un bene, ad un determinato prezzo, e con consegna a data certa; la banca acquista il bene dal fornitore e lo vende al cliente; il cliente accetta l’offerta e acquista la proprietà del bene, contro il pagamento del prezzo, alla data convenuta. Naturalmente il murabaha può contenere altre clausole a carico del cliente, garanzie e obblighi di indennizzo in caso di default. Esiste anche un murabaha inverso, detto Tavarruq, che tende a soddisfare una pura esigenza di finanziamento del cliente, per cui non viene accettato da tutte le scuole di diritto coranico. Il musharaka, invece, è il contratto tipico per le operazione di venture capital e viene impiegato per finanziare i grandi progetti a lungo termine (autostrade, pozzi di perforazione petrolifera). Dall’analisi di tutti i tipi di contratto si evidenza un dato costante: l’ancoraggio ad un asset reale e la condivisione del rischio operativo del cliente. Questo dato sta facendo assumere alla finanza islamica un valore sempre più attrattivo, agli antipodi della finanza creativa occidentale e della filosofia dei derivati, per cui appare più sicura, per gli stessi investitori occidentali, di quanto non sia la finanza tradizionale, slegata dai beni sottostanti e, quindi, sempre più carica di rischi.

 

 

 

Relativism and Human Rights

 

by

Claudio Corradetti

 

 

We live in a rule-constrained world. Even our most insignificant practices are somehow dependent upon a socially agreed standard regulating their structures, procedures, and general goals. We can, for instance, appreciate our neighbour’s ability to keep her garden tidy and in good shape…

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Cultural diversity, cosmopolitan principles
and the limits of sovereignty

 

by

David Held

 

 

Thinking about the future of humankind on the basis of the early years of the 21st Century does not give grounds for optimism. From 9/11 to the 2006 war in the Middle East, terrorism, conflict, territorial struggle and the clash of identities appear to define the moment. The wars in Afghanistan, Iraq, Israel/Lebanon and elsewhere suggest that political violence is an irreducible feature of our age…

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I fondamenti religiosi della finanza islamica

 

di

Riccardo Piroddi

 

 

Parte I

 La definizione di finanza islamica

 

 

Si può definire finanza islamica l’insieme delle banche commerciali e dei fondi di investimento, che operano nel rispetto della Shari’ha, cioè della legge islamica e dei principi religiosi, presenti nel Corano. Il libro sacro dell’Islam giudica gli interessi finanziari sui capitali (riba) e la speculazione finanziaria stessa, come una forma di usura e di strozzinaggio (gharar). Fa divieto, cioè, che il denaro “fermo” possa generare, di per sé, altro danaro. Ne discende che la finanza islamica, a differenza di quella occidentale, non possa guadagnare interessi. Una banca islamica, pertanto, non concede mutui ad interesse per l’acquisto di una casa, ma acquista direttamente la casa, cedendola in affitto al richiedente, il quale si impegna ad onorare un piano di rate mensili e, a conclusione del piano, diventa il legittimo proprietario dell’immobile. Nella finanza islamica prevale l’aspetto “sociale” dell’investimento, con conseguente divieto assoluto di investire in tutti settori proibiti dalla legge coranica, a partire da armi, droga, pornografia, bevande alcoliche e carne di maiale. La finanza islamica si propone, quindi, di tutelare e di promuovere i valori, i principi e le regole dell’Islam. Essa non opera soltanto nei paesi islamici, come generalmente si può ritenere, ma anche nel mondo occidentale (USA, Inghilterra, Germania e Francia), dove sono numerose le comunità islamiche che non vogliono utilizzare, per finanziarsi, strumenti finanziari illeciti (haram), ma strumenti religiosamente leciti (halal). Il che non vale al contrario, perché sempre più numerose imprese occidentali o cittadini europei fanno ricorso, per investire, alla finanza islamica. A tutt’oggi (agosto 2012), i capitali, amministrati dalla finanza islamica, nel mondo, sono stimati nell’ordine di 2.000 miliardi di dollari. Della finanza islamica, costituisce, ormai, il simbolo visibile e vitale, nonché la crescente potenza, sulla skyline di Londra, la “Scheggia di Vetro” (Shard of Glass), che sfida, come la vetta più alta, il cielo della capitale del Regno Unito, realizzata, da Renzo Piano, principalmente con i capitali (l’80%) del Qatar. Il valore degli assets della “shri’ha compliant” è passato dai 5 miliardi di dollari del 1980 ai 1800 del 2017. Nonostante la crisi del debito di Dubai, anche il mercato delle obbligazioni islamiche (sukuk) sta conoscendo un’enorme fase di espansione, con un tetto di 22,6 miliardi di dollari, a fine 2011, e tassi di insolvenza quasi nulli. Le banche islamiche e i fondi di investimento, in particolare, sono presenti massicciamente anche sul mercato finanziario internazionale. Tra i paesi europei, il Regno Unito è stato, in ordine di tempo, il primo ad aver accolto in Inghilterra ben cinque banche islamiche, modificando anche la propria legislazione, in quanto la finanza islamica opera secondo principi etici e religiosi, in ossequio alla legge coranica, e secondo regole, che sono alternative alla tradizionale finanza cartolare dell’Occidente (divieto degli interessi; condivisione di rischi e profitti tra creditore e debitore; divieto di speculazione; divieto di investimento in settori, ritenuti illeciti; indissolubile legame tra strumento finanziario ed economia reale). Non sono da meno Parigi (dal 2011, i parigini possono aprire il loro conto corrente presso la Chaabi Bank, filiale della Banca Popolare del Marocco) e Berlino (la Deutsche Bank guida la fila di joint venture con banche islamiche), che si collocano dopo Londra, nel favorire, con l’adattamento delle norme interne, l’ingresso sul loro territorio di prodotti di finanza islamica, al fine di competere, con la capitale britannica, come centri finanziari internazionali. Non sono mancate polemiche, da parte di chi vede, in questa penetrazione, i rischi di islamizzazione dell’Occidente, per via finanziaria, anche perché le banche islamiche sono tenute a versare il 2,5% dei loro profitti (zakat) ad enti ed associazioni di beneficenza islamica, anche per la “causa di Allah” (fi sabil Allah). Al di fuori dell’Europa, la finanza islamica opera principalmente sulle direttrici africane (Senegal, Nigeria e Kenia) e mediorientali, con un incremento complessivo, nel 2010, di 416 miliari di dollari. Non è stata esente la Cina, dove il governo di Pechino ha autorizzato, nel 2012, sul territorio cinese, l’apertura del primo istituto finanziario islamico. Appare evidente, di fronte alla crisi dei mercati finanziari occidentali, delle bolle e della speculazione, cioè del distacco crescente della finanza tradizionale dall’economia reale, quanto sia attraente una finanza, come quella islamica, che si ispira a principi etici e religiosi, nonché sull’adesione della stessa all’economia reale. Il dubbio ricorrente riguarda il fattore tempo: se la finanza islamica riuscirà, a contatto con quella occidentale, a mantenersi fedele ai suoi principi ispiratori, presenti nel Corano. Nel dettaglio, i contratti finanziari islamici devono rispettare le regole della Muamalat, quella parte della Shari’ha, che disciplina i comportamenti da tenere nell’economia e nella finanza. Secondo il Corano, Dio ha creato ogni cosa, nella giusta quantità, per soddisfare i bisogni umani (gli esseri umani sono i “custodi di Dio nel mondo”; la proprietà privata è un “prestito” da parte di Dio; la gestione dei beni deve avvenire, quindi, nel rispetto dei principi religiosi), per cui la scarsità delle risorse deriva solo dall’egoismo e dall’ingordigia umana, cioè dal processo di accumulazione capitalistica: l’homo islamicus non coincide con l’homo oeconomicus. Da questa premessa discendono i cinque pilastri, già sopra accennati: 1) il divieto di percepire interessi (riba); 2) il divieto di speculare (gharar); 3) il divieto di finanziare settori, banditi dalla Shari’ha; 4) il divieto di scindere la transazione finanziaria dall’asset di riferimento, che deve essere tangibile ed identificabile; 5) l’obbligo della purificazione del patrimonio, con la corresponsione di un’offerta, che può essere obbligatoria (zakat) o volontaria (sadaqat). La finanza islamica ha due obiettivi: economico (conservazione del capitale, massimizzazione dei guadagni, equilibrio tra liquidità e profittabilità); religioso (rispetto assoluto dei precetti coranici, nel possesso di beni legittimi, halal, e nel respingimento dei beni illegittimi, haram). Nella finanza islamica non esiste la concorrenza, ma la cooperazione, per cui le partnership e i contratti finanziari islamici possono essere di quattro tipologie: prestiti sintetici (debt-based: salam, istisna, murabaha), realizzati con accordi di vendita-riacquisto di asset oppure di vendita di asset, detenuti da terzi per conto del debitore (back-to-back); contratti di lease (assetbased: ijarah), realizzati con un accordo di vendita-riacquisto in leasing o mediante lease di asset acquisiti da terze parti con obbligazione al riacquisto (lease finanziario); contratti profit-loss sharing (PLS; equity-based: mudaraba e musharakah), nei quali solamente una banca fornisce il finanziamento e l’imprenditore tempo e lavoro;  obbligazioni islamiche (sukuk), di recente formulazione, che, a causa della proibizione dei tassi di interesse, consentono il rifinanziamento delle banche. Sui rischi, le banche islamiche devono affrontare non solo gli stessi rischi convenzionali (insolvenze; fluttuazioni delle materie prime; gestione della liquidità; rischi di mercato; rischi legali; rischi regolamentari), ma anche un  rischio tipico della finanza islamica, lo “Shari’ha risk”, quello di non adempiere correttamente la condivisione o non rispettare i precetti religiosi della legge coranica. Sul fronte assicurativo, si evidenzia tutta la differenza tra la finanza islamica e quella occidentale, in quanto gli islamici non possono sottoscrivere contratti di assicurazione tradizionali (assicurare una casa significherebbe trasferire il rischio ad una compagnia di assicurazione, la quale trasformerebbe i premi ricevuti in un reddito, in assenza del verificarsi dell’evento assicurato), per due divieti religiosi: il divieto di incertezza (gharar); il divieto di scommessa (maysir). Da qui, discende che l’assicurazione islamica (takaful) si realizza con il versamento di una contribuzione volontaria, da parte degli assicurati, ad un fondo comune, la cui gestione è affidata ad un terzo, al quale viene pagata una commissione: né l’assicurato, né il gestore si assumono singolarmente il rischio, ma in modo condiviso, nel pieno rispetto della legge islamica (contratto di mudaraba).

 

 

 

Empires and Nations: convergence or divergence?

 

by

Krishan Kumar

 

 

It has long been the conventional wisdom that nations and empires are rivals, sworn enemies. The principle of nationalism is homogeneity, often seen in ethnic terms. Nations strive to embody, or to produce, a common culture. They express a radical egalitarianism: all members of the nation are in principle equal, all partake of the common national “soul”. Nations moreover are intensely particularistic…

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Forza, contratto e convenzione:
osservazioni sull’interpretazione evoluzionistica
della politica di Spinoza

 

di

Gabriella Lamonica

 

 

La critica recente sulla politica di Spinoza ha raggiunto, nella sua varietà, due sostanziali punti di accordo: si sottolinea il fondamento metafisico della politica spinoziana, e se ne minimizza il significato contrattualistico. Il primo punto non riguarda soltanto Spinoza…

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Baruch Spinoza (1632-1677)

 

 

Nietzsche: lo Stato contro l’individuo

 

di

Andrea Cimarelli

 

 

Quando si parla di politica, all’interno del pensiero di Friedrich Nietzsche, molto spesso si finisce per ragionare più su cosa abbiano implicato le sue considerazioni – si faccia qui lo sforzo “sovrumano” di metterne fra parentesi il contenuto, già abbondantemente discusso in altre sedi – che non sui meccanismi di pensiero e di analisi della realtà che ne hanno favorito l’emersione e l’articolazione…

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Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900)

 

 

Proceduralismo e liberalismo nella democrazia
di Norberto Bobbio

 

di

Silvia Piredda

 

 

È noto che la preferenza di Norberto Bobbio va alla concezione procedurale della democrazia. Nonostante al giorno d’oggi, all’interno dei dibattiti sulla democrazia, questa sia l’impostazione prevalente, non si può dire che sia stata esente da critiche. Ne troviamo un sintetico elenco in un recente articolo di Roberto Rodriguez Guerra, che analizza le teorie di Huntington, Dahl e Diamond: il risalto dato alle istituzioni di rappresentanza politica che metterebbe in secondo piano il concetto di governo del popolo…

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Norberto Bobbio (1909-2004)

 

 

 

L’origine del potere: luogo di crisi della ragione?

 

di

Luca Alici

 

 

Il presente contributo intende essere una sorta di tappa intermedia nel percorso di una ricerca più ampia che tenta di far incontrare un autore – e gli stimoli fecondi della sua riflessione – con un tema – e la portata teoretica che esso implica: l’autore è Paul Ricoeur, in relazione a quella eredità, tra le molte, che il suo itinerario filosofico ha lasciato e che risulta ancora poco sviluppata, ovvero la sua riflessione politica, e la grande questione che egli racchiude sotto la definizione densissima di “paradosso del potere”; il tema più ampio che da questa espressione ricoeuriana può prendere le mosse concerne il rapporto tra razionalità e potere…

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Paul Ricoeur (1913–2005)

 

 

 

Il potere tra retorica e rappresentazione simbolica.
Riflessioni sulla servitù volontaria di Étienne de La Boétie

 

di

Domenica Mazzù

 

 

La presente riflessione prende spunto dalle vicende relative ad un breve ma denso libretto dal titolo Discorso sulla servitù volontaria, pubblicato verso la metà del Cinquecento, in un periodo di trasformazioni epocali, segnato dalla crisi della concezione umanistica e dal graduale perfezionamento di quel processo politico-istituzionale, che culminerà nell’affermazione dello Stato assoluto. L’autore, Étienne de La Boétie, giovane pensatore molto amico del più famoso Michel de Montaigne…

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Étienne de La Boétie (1530-1563)