“Il primo che, recintato un terreno, ebbe l’idea di dire: questo è mio, e trovò persone così ingenue da credergli, fu il fondatore della società civile” (Jean Jacques Rousseau, Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini, 1754). 264 anni dopo Rousseau, raccontate alle scimmie che gli uomini sono tutti uguali e che la proprietà privata deve essere abolita. Raccontate alle scimmie il Comunismo.
Si può concludere che il “Mediterraneo allargato” continuerà a rappresentare, sotto il profilo geopolitico e geostrategico, il paradigma dei contrasti e dei conflitti, che si manifesteranno sul teatro globale. La stabilità dell’area mediterranea, inoltre, dipenderà anche dal successo, o meno, delle politiche di consolidamento della democrazia e della cooperazione economica allo sviluppo, che la sponda Nord e, in particolare, l’UE riusciranno a realizzare, in un nuovo spirito di collaborazione paritaria con le democrazie nascenti. In linea teorica, gli Stati membri dell’UE hanno concordato sulla necessità di appoggiare, senza indugi, i processi di pacifica transizione politica, che si sono manifestati nel Nord Africa e nel Vicino Oriente, e sulla revisione, in senso migliorativo, delle politiche mediterranee di cooperazione e di sviluppo. Bisogna riconoscere, tuttavia, che, dai confronti in atto, tra gli Stati membri UE, si va affermando, non tanto una radicale ed innovativa riforma delle politiche mediterranee, tanto attesa, quanto un’opzione di miglioramento, di rafforzamento e di aggiornamento delle stesse (rafforzamento della PEV; trasformazione dell’UPM, superando il conflitto fallimentare tra il secondo pilastro – collaborazione politica e di sicurezza – e gli altri pilastri – collaborazione economica e culturale), senza la modifica della logica esistente. Non prevale l’applicazione, con rigore e coerenza, del criterio della condizionabilità, del criterio di sostegno preferenziale del settore privato dell’economia e del criterio della minore interferenza negli orientamenti politici e religiosi, che si affermeranno, tramite libere elezioni. In particolare, mentre si preannunciano continue ondate di immigrazione clandestina, ancora non si afferma, in sede comunitaria, l’urgente necessità di individuare una comune e coerente politica della mobilità e dell’immigrazione nell’area mediterranea. Sul tema dell’immigrazione, legale e clandestina, permane una visione fortemente conservatrice, per cui si manifesta più la disponibilità ad aumentare le risorse finanziarie per fronteggiare l’assistenza ai migranti, piuttosto che la reale volontà di definire una politica europea dell’immigrazione, che venga sostenuta non solo dai paesi di frontiera della sponda Nord del Mediterraneo, ma da tutti gli Stati membri dell’UE. Questa incertezza dell’UE condiziona anche una visione unitaria su come affrontare altri teatri di crisi, come la Siria. Allo stesso modo, l’UE non sembra sufficientemente pronta ad affrontare ed a risolvere le questioni che si pongono, con l’emergere di nuovi importanti attori della scena internazionale, come la Cina, l’India e i paesi del Golfo. Sarebbe necessaria una radicale riforma delle politiche mediterranee, una nuova logica, che inquadri il “Mediterraneo allargato” non come un’area separata dalle altre aree, specie quelle immediatamente adiacenti. Non è più possibile separare il Mediterraneo dal Medio Oriente, anche perché crescente risulta, sulla regione, l’influenza dell’Iran, del Qatar, degli Emirati Arabi Uniti e del Kuwait. La nuova politica euro-mediterranea, a mio giudizio, dovrà essere non solo migliorata, ma riformata radicalmente, tenendo presente le interrelazioni con il Medio Grande Oriente.
Una radicale riforma delle politiche mediterranee dell’UE
Prima di accennare alle possibili linee di una radicale riforma delle politiche mediterranee della UE, può risultare utile approfondire le ragioni di fondo di quel disagio sociale, che ha determinato la crisi di alcuni regimi autoritari del Nord Africa. La precarietà delle condizioni economiche investe vastissimi strati sociali e colpisce tutte le generazioni, con una particolare gravità le più giovani. Le famiglie si sono impoverite e i giovani sembrano non aver altra prospettiva che sfidare, su un gommone, il Mediterraneo per emigrare, anche clandestinamente, anche a costo di perdere la vita. Se il tasso della disoccupazione giovanile nel mondo è del 14,5%, nel mondo arabo arriva al 30% ed incide al 51% sulla disoccupazione totale. E, paradossalmente, la disoccupazione della gioventù araba colpisce di più i diplomati ed i laureati. Questa situazione è destinata ad aggravarsi, anche in Algeria, che, pur beneficiando delle risorse energetiche, a differenza dei paesi petroliferi del Golfo, non produce sviluppo economico e sociale (disoccupazione giovanile al 46% e, sul quella totale, fino al 70%). Non mancano attese ed aspettative di miglioramento del clima sociale, per effetto della svolta che sarà impressa dai regimi democratici, che hanno sostituito quelli autoritari caduti, ma nessuno si può aspettare, a breve, un’inversione netta di tendenza, in materia di sviluppo economico, di lotta alla corruzione e di epurazione delle classi dirigenti responsabili del “sacco cleptocratico”. Riusciranno i responsabili delle nuove democrazie arabe ad imporre le riforme politiche necessarie ed a migliorare le condizioni economiche e sociali oppure, come ammoniva Alexis de Tocqueville, saranno travolti o si trasformeranno, anch’essi, in regimi oppressivi? Naturalmente, l’UE non può rimanere a guardare, anche perché il ruolo dei paesi della sponda Nord e delle organizzazioni economiche internazionali risulta determinante. Le discussioni, tra i membri UE, su come riformulare e su come rafforzare la politica euro-mediterranea, hanno almeno indicato i principali obiettivi da conseguire: 1) l’istitution-bulding: trasformazione democratica e consolidamento delle istituzioni; 2) un più forte collegamento operativo nella cooperazione con le popolazioni; 3) una crescita economica sostenibile ed equa. Altro discorso riguarda le modalità per perseguire questi obiettivi trasversali e che passano per: il criterio di differenziazione dei partner; il criterio di condizionabilità per le incentivazioni, chi dimostrerà di saper ben fare, riceverà di più (more for more); il criterio dell’estensione a tutti i partner dello statuto avanzato e il criterio del rafforzamento del dialogo politico, multilaterale e bilaterale, non solo con i governi, ma anche con le espressioni della società civile, anche per non cadere, di nuovo, nella trappola del sostegno a regimi autoritari, concepiti come bastioni della minaccia terroristica islamista. I fondamenti della riforma delle politiche mediterranee dell’UE sono: la promozione della democrazia e il sostegno ai processi di transizione nel Nord Africa, con politiche coerenti a tali obiettivi; il miglioramento qualitativo del sostegno economico, con una particolare attenzione al rafforzamento dei sistemi di istruzione e di formazione e alle aspirazioni socio-economiche delle popolazioni (un lavoro, un reddito, infrastrutture sociali); il bilanciamento delle iniziative di sviluppo tra i governi, che spesso si sono appropriati delle risorse a fini di arricchimenti personali, ed i privati e, laddove esistenti, le espressioni della società civile; il perseguimento diretto del benessere delle popolazioni, con programmi mirati; una politica unitaria dell’UE in materia di immigrazione e di immigrazione clandestina; il finanziamento e l’assistenza finanziaria per progetti infrastrutturali, anche privati; la realizzazione di una governance multilaterale dell’area mediterranea, conflitto arabo-israeliano e processi di transizione in atto, permettendo. Il ruolo della UE nel “Mediterraneo allargato” dipenderà anche dal futuro della NATO e dal rapporto tra l’UE e gli Stati Uniti. La trasformazione, cioè, della “pax americana” nella “pax cum America”, la quale, secondo alcuni autorevoli studiosi, sarebbe possibile solo se l’Unione Europea riuscisse a raggiungere un livello di coesione politica e una volontà di ricorrere, quando necessario, all’impiego della forza militare, tali da potersi trasformare in un partner credibile, affidabile ed efficace degli Stati Uniti.
L’instabilità geopolitica e geostrategica del “Mediterraneo allargato” ha avuto una conferma con i rivolgimenti politici nel Nord Africa, iniziati nel dicembre 2010, in Tunisia, e che hanno portato progressivamente alla caduta del regimi, personali ed autoritari, in Tunisia, del presidente Ben Alì; in Egitto, del presidente Mubarak e, in Libia, attraverso una guerra civile e l’internazionalizzazione della crisi libica, del colonnello Gheddafi, nonché, in Siria, alla crisi del regime della famiglia Assad, con sanguinose repressioni di massa e centinaia di morti civili, accadute anche in queste ultime settimane. Mentre altre manifestazioni antiregime restano, finora, nei limiti dell’ordine pubblico, in Algeria, in Giordania, in Yemen e nel Bahrein. Ma si tratta situazioni in ebollizione! Le ragioni di fondo sono sempre le stesse, precedentemente approfondite, che hanno subito un aggravamento con il processo di globalizzazione: disoccupazione giovanile e limitato sviluppo economico, crisi alimentare, urbanizzazione violenta, in una parola, profondo disagio sociale, non compreso, nella sua entità, dai regimi autoritari, che hanno risposto con una suicida repressione, finalizzata alla sola conservazione del potere dell’oligarchia dominante. Un particolare ruolo, anch’esso non colto dai regimi caduti, è stato quello svolto dalle comunicazioni di massa, dal web e dai social network, che hanno consentito, specie ai giovani arabi, di scambiarsi informazioni e giudizi, di aggregare il consenso e di organizzare prima le contestazioni in rete e, poi, le rivolte di massa in piazza. Tutta la politica euro-mediterranea dell’UE, dalle origini dell’Unione e, con maggior impegno, dal 1995, con il processo di Barcellona, fino all’istituzionalizzazione dell’UPM, finalizzata ad incentivare le riforme politiche dei paesi arabi del Mediterraneo e, attraverso la cooperazione multiforme, orientato allo sviluppo economico e sociale delle popolazioni, ha subito una pesante sconfessione. Si è imposto e si impone, quindi, un bilancio di questa politica, che, negli ultimi dieci anni, al di là della propaganda, non ha conseguito significative realizzazioni ed ha svelato l’errore di fondo dell’UE e degli Stati europei, nell’aver privilegiato la stabilità degli interlocutori politici della sponda sud del Mediterraneo, chiudendo gli occhi di fronte all’autoritarismo politico, alla repressione del dissenso e alla corruzione diffusa degli apparati di regime. Non che la politica di interrelazione con i regimi esistenti, nel breve, al fine di creare una reale interdipendenza economica tra i paesi della sponda Sud e della sponda Nord del Mediterraneo, non abbia prodotto un qualche risultato positivo, anche sui tentativi, purtroppo abortiti, di riforma politica (si ricorda, in tal senso, la pressione, nel 2005, degli Stati Uniti e dell’UE su Mubarak), ma, nel tempo lungo, l’aver prevalentemente privilegiato le esigenze di stabilità dei regimi, a svantaggio di riforme democratiche, da richiedere con fermezza, si è rivelato un errore storico, che impone oggi una radicale riforma delle politiche mediterranee dell’UE.
Con una Dichiarazione, firmata da 43 Stati e dalla Commissione Europea, nel luglio 2008, il vertice del Capi di Stato e di Governo, a Parigi, varò l’Unione per il Mediterraneo (UPM), trasformando il PEM, che aveva operato dal novembre del 1995 fino al 2008. Componevano l’UPM 27 paesi membri UE, 12 paesi dell’area mediterranea (Algeria, Autorità Palestinese, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Marocco, Mauritania, Monaco, Siria, Tunisia e Turchia) e 4 paesi dell’area balcanica (Albania, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro). L’UPM presentava, rispetto al PEM, due novità principali: il carattere geopolitico e quello politico-istituzionale. Il carattere geopolitico derivava dalla partecipazione, rispetto al PEM, di paesi mediterranei, non facenti parte dell’UE, con un ampliamento, quindi, del formato mediterraneo, comprensivo anche di altri paesi europei non-UE. La configurazione geopolitica dell’UPM differiva, quindi, sostanzialmente da PEM, con un rapporto prioritario dei paesi UE con l’insieme dei paesi arabi e la scommessa di includere sia arabi che israeliani, quasi a sottolineare il ruolo di mediazione dell’UE, come fattore di pace nello storico conflitto. L’allargamento ai Balcani occidentali, tuttavia, attenuava, in parte, la valenza euro-mediterranea e caricava l’Unione di un carattere di eterogeneità, sotto il profilo politico e della sicurezza, risultando, alla fine, più problematica per la realizzazione di obiettivi di cooperazione e di governance. Il carattere politico-istituzionale evidenziava ancor più le differenze con il PEM, in quanto emanazione dei governi e non dell’UE. Mentre il PEM esprimeva la politica UE, l’UPM una politica intergovernativa, in quanto l’UE partecipava solo come semplice membro. L’UPM nacque con grandi speranze, anche se non mancarono voci critiche sul formato politico-istituzionale, che avrebbe reso non facile la sintonia tra tanti membri, appartenenti, peraltro, ad aree eterogenee, con esigenze ed obiettivi non del tutto convergenti. La parità assicurata, tra membri UE e membri non-UE, costituiva certamente un passo avanti, ma che non garantiva, di per sé, la cooperazione. Purtroppo, l’esperienza ha dimostrato quanto fondate fossero le perplessità e, oggi, bisogna registrare una frammentazione della politica mediterranea dell’UE, causata dal dualismo presente all’interno dell’UPM. Questa frammentazione è anche il portato dell’involuzione, che sta subendo l’UE, a causa del mancato approfondimento della propria identità politica ed istituzionale. Basterebbe ripercorrere gli obiettivi, che portarono alla nascita dell’UPM, per capire come essi siano stati progressivamente abbandonati: la promozione della cooperazione tra le due sponde del mare interno; la risoluzione delle problematiche legate all’immigrazione dai paesi meridionali verso quelli settentrionali; la lotta al terrorismo; il conflitto arabo-israeliano; la tutela del patrimonio ecologico mediterraneo. Dopo quattro anni dall’istituzione, bisogna riconoscere che l’UPM ha sostanzialmente fallito i suoi obiettivi e la sua missione. Anche il secondo tentativo europeo di organizzare una governance mediterranea, dopo l’agonia del PEM, durata otto anni, ha impiegato meno tempo per arrivare allo stesso risultato negativo. La rivoluzione, annunziata da Sarkozy, in nome della Francia, non è riuscita: il passaggio, da un processo sotto tutela UE ad uno intergovernativo, si è rivelato una grande illusione. Ed oggi, i partner della sponda Sud sono più lontani di quelli della sponda Nord di quanto non lo fossero nel 1995, alla vigilia della nascita del PEM. Solo una UE più forte, decisa, credibile e rispettata, con una politica estera coerente, capace di esprimere una volontà di utilizzare le risorse per attuare una concreta politica mediterranea, riuscirà a recuperare il tempo perduto. Tutto deriva dalla volontà di esprimere una forte politica estera e perseguirla coerentemente. Serve un’Europa forte, capace di esercitare una egemonia giusta, in grado di dare alla regione mediterranea un adeguato assetto, normativo e cooperativo. Sul piano geopolitico e geostrategico, questa politica estera non potrà essere “solo” mediterranea, ma dovrà avere un respiro sovra-regionale e globale, di più ampie vedute e più strategicamente mirata, avendo presente non solo la regione mediterranea, ma anche il Medio Oriente e il Grande Medio Oriente. Cooperazione economica e politica estera, forte e giusta, con una visione strategica, restano le due priorità dell’UE per garantire la stabilità, geopolitica e geostrategica, del “Mediterraneo allargato”.
La politica mediterranea dell’UE si è sviluppata principalmente attraverso il PEM (Partenariato Euro-Mediterraneo), conosciuto anche come “processo di Barcellona”, e la PEV (Politica Europea di Vicinato), che ha incluso sia i paesi sud-mediterranei, facenti parte del PEM, che quelli dell’Europa Orientale, rimasti fuori dall’UE. Tra il 1995 e il 2004, dopo l’allargamento dell’UE, la politica mediterranea dell’Europa ha assunto un carattere bicefalo: da una parte, il PEM, a carattere multilaterale, finalizzato alle politiche di sicurezza e alle relazioni socio-culturali (I e II pilastro), di cui si sono occupati i governi nazionali; dall’altro, la PEV, a carattere bilaterale, finalizzata a trattare principalmente le relazioni economiche, cioè le materie comprese nel secondo pilastro della “Dichiarazione di Barcellona”, delle quali si è occupata prevalentemente la Commissione Europea. Va anche sottolineato che la composizione del PEM è mutata nel tempo, a causa dell’entrata di alcuni membri originari, come membri dell’UE, mentre ne sono entrati a far parte tutti i nuovi membri UE dell’Europa Centro-Orientale. Tra i membri non UE, risalta la Turchia, che, nel prossimo futuro, potrebbe diventare membro dell’UE. Il PEM è diventato come una porta girevole, con la costante di una partecipazione di membri UE sempre più numerosa di quella di membri non-UE. I risultati del PEM, a causa di questo squilibrio permanente, dovuto ai mutamenti strategici dell’Europa e delle aree limitrofe, sono giudicabili non del tutto soddisfacenti e molto limitati. Allo stesso modo, la PEV, gestita prevalentemente dalla Commissione Europea, non ha conseguito risultati significativi, a causa di visioni contrastanti sulla politica mediterranea, presenti anche all’interno della Commissione. Con la fine della guerra fredda e l’avvento del PEM, nonostante la dissoluzione delle vecchie solidarietà intra-mediterranee, a carattere terzomondista e antimperialista, nonché alternative a quelle europee, l’avvicinamento di molti paesi mediterranei alle iniziative di cooperazione con l’UE, in un’ottica euro-mediterranea, non ha realizzato una vera complementarità delle iniziative euro-mediterranee del PEM e della PEV. L’unico dato positivo risulta, ad oggi, una diffusa affermazione della tendenza euro-mediterranea, con il carattere complementare assunto dalle tendenze intra-mediterranee, che non hanno più il carattere della alternatività. Si può affermare che queste tendenze siano il frutto della politica euro-mediterranea, che si è consolidata. Questo obiettivo raggiunto non ha risolto le condizioni di squilibrio, a causa della permanente frammentazione introdotta con la PEV e la disaffezione, prodotta nel PEM, a causa di crescenti contrasti relativi alle questioni della sicurezza, come l’immigrazione e la lotta al terrorismo. Se nel PEM permane lo squilibrio tra la presenza massiccia dei membri UE, rispetto alla limitata presenza dei membri del Nord Africa, ne deriva la conseguenza di marginalizzazione di questi ultimi, facendo venir meno la stessa missione del PEM. D’altro canto, anche la PEV ha visto diminuire l’attenzione dell’UE verso il Mediterraneo, essendosi spostata più verso l’Est Europa e il Caucaso. L’inserimento, nel PEM, dei Paesi balcanici, ha trasferito le tensioni dell’aera balcanica nel PEM, marginalizzando la presenza dei paesi mediterranei, per i quali il PEM è stato istituito. Questa marginalizzazione sta pesando sull’equilibrio politico interno della stessa UE, determinando uno spostamento degli interessi europei a favore dell’Est Europa, rispetto all’area euro-mediterranea. L’Unione Europea, per il mantenimento della sua stessa coesione comunitaria, dovrebbe affermare il comune interesse a sviluppare forme di cooperazione e di solidarietà con i Paesi della sponda Sud e Sud-Orientale del Mediterraneo. L’insoddisfazione per il malfunzionamento del PEM e della PEV è stata alla base della proposta di Unione per il Mediterraneo dell’allora presidente francese Nicolas Sarkozy (UPM). La Francia ha manifestato sempre un atteggiamento critico verso le politiche mediterranee dell’UE, denunciando, anche sotto il profilo politico e diplomatico, la stessa sostanza del PEM e della PEV. Questa posizione critica ha avuto riflessi sulla coesione comunitaria e sull’equilibrio politico interno dell’UE. In questo quadro lacerato, è nata la proposta dell’UPM (2008), finalizzata ad istituire una solidarietà intra-mediterranea, al di fuori del contesto europeo. Ma non tutti i membri dell’UE, come vedremo di seguito, avevano interesse a disancorare l’iniziativa francese dal contesto europeo.
Anche la geopolitica etnico-religiosa contribuisce alla instabilità dell’area mediterranea, determinando occasioni di conflitto interno e interstatuale. Le differenze culturali e religiose sono più profonde e radicate nella natura umana di quanto lo siano quelle politiche ed economiche. L’identità religiosa è più forte di quella etnica: un individuo può essere per metà italiano e per metà arabo, ma non può essere per metà cattolico e per metà musulmano. Cinque, inoltre, sono le differenziazioni storiche: cristiano-cattolica (Mediterraneo nord-occidentale); cristiano-ortodossa (Balcani e Eurasia russa); islamica (Nord Africa, Grande Medio Oriente, Corno d’Africa, parte dei Balcani, Caucaso, Asia Centrale); giudaica (Israele e comunità minoritarie in altri paesi); cristiano-copta (Etiopia e parte del Sudan e dell’Egitto). I conflitti, che ne sono derivati, non si contano: arabo-israeliano; israelo-palestinese; curdo; greco-turco; turco-armeno e quello interno al Sudan tra governo islamico e cristiani animisti. Da queste premesse, pur trattate sinteticamente, ne discende che il “Mediterraneo allargato” si presenta, per la geopolitica e la geostrategia, come il luogo geometrico di numerosi contrasti e di potenziali conflitti.
Il Mediterraneo e la geopolitica dell’alimentazione e delle risorse idriche
Fattori strutturali e fattori congiunturali hanno determinato un’impennata dei prezzi agricoli, con una contrazione dell’offerta ed una crescita della domanda globale. Il rallentamento del tasso di crescita della produzione agricola (diminuzione delle rese, bassi livelli di profitto, mancate riforme delle politiche agrarie, crescita della produzione dei biocarburanti etc.), a livello mondiale, con conseguente aumenti dei prezzi, ha determinato l’attuale crisi alimentare mondiale, che ha manifestato i suoi effetti perversi specie sul “Mediterraneo allargato”, investito negativamente da decenni di cambiamenti climatici, con cali delle precipitazioni e processi di desertificazione, con particolare riferimento ai versanti, africano ed asiatico. La diminuzione delle precipitazioni, incidendo sullo stato delle risorse naturali e sulle attività umane che da esse dipendono, ha determinato anche un calo delle risorse idriche rinnovabili pro-capite in tutti i paesi del “Mediterraneo allargato”, fatta eccezione per l’Albania. Questa riduzione della disponibilità idrica ha colpito al cuore l’agricoltura dei paesi arabi, che assorbe il 70% di tutte le risorse idriche disponibili, e si accompagna all’incapacità di rendere più efficienti i sistemi irrigui. L’acqua, quindi, rappresenta l’elemento che incide direttamente sull’insicurezza alimentare. L’intreccio tra demografia e scarsità delle risorse idriche rende l’insicurezza alimentare un altro fattore di destabilizzazione del sud del “Mediterraneo allargato”, a causa dello squilibrio, nei bilanci alimentari dei paesi nord-africani e medio-orientali, tra esportazioni e importazioni, con un deficit consistente per i cereali e gli alimenti di origine animale. La forte dipendenza alimentare dall’Europa e dal Nord America, se, da un lato, rende più agevole il perseguimento della sicurezza energetica dell’Occidente; dall’altro, nel medio lungo termine, si tradurrà, con la crescita demografica e l’inurbazione caotica, in un ulteriore fattore di instabilità della geopolitica del “Mediterraneo allargato”, con ricadute negative anche sul commercio internazionale. Alla luce del rapporto tra scarsità di risorse idriche e insicurezza alimentare, si può affermare che l’acqua diventerà uno dei maggiori fattori di instabilità del “Mediterraneo allargato”, investendo i paesi nord-africani e mediorientali, ma, di contro, anche quelli nord-occidentali e balcanici. Lo squilibrio tra la disponibilità di risorse idriche tra i primi ed i secondi è stridente: su 12 paesi del Sud e dell’Est del Mediterraneo, 8 paesi utilizzano già il 50% delle loro risorse idriche rinnovabili e due (Autorità Palestinese e Libia) più del 100%. Nel 2025, diventeranno 10 al 50% ed 8 consumeranno più del 100%. In questa situazione, alcuni paesi hanno fatto ricorso anche allo sfruttamento di falde fossili non rinnovabili. Il 72% delle risorse idriche del “Mediterraneo allargato” sono nella disponibilità dei paesi del nord, il 23% dei paesi dell’est e il 5% dei paesi del Sud. Siria, Israele, Palestina ed Egitto sono già in forte dipendenza idrica dai paesi che si trovano a monte dei bacini idrici di pertinenza. Si tratta di una situazione insostenibile, che alimenterà tensioni, contrasti e conflitti internazionali, anche perché alcuni bacini idrici sono condivisi. I casi più clamorosi risultano: l’accesso e lo sfruttamento delle risorse idriche del bacino del Giordano, che contrappone Israele all’Autorità Nazionale Palestinese, alla Giordania e alla Siria; il Grande Progetto Anatolico, per la costruzione di 32 dighe sul Tigri e sull’Eufrate, che contrappone la Turchia alla Siria e all’Iraq; le rivendicazioni sullo sfruttamento prioritario delle acque del Nilo azzurro, che contrappone l’Etiopia al Sudan e all’Egitto.
Il Mediterraneo e la geopolitica dell’immigrazione
La geopolitica dell’immigrazione, collegata direttamente alle dinamiche demografiche, rappresenta, nel “Mediterraneo allargato”, un altro elemento, non secondario, di instabilità. Studi recenti delle Nazioni Unite hanno messo a raffronto le dinamiche demografiche dei paesi mediterranei della sponda nord (Portogallo, Spagna, Francia, Italia e Grecia) con quelle dei paesi mediterranei della sponda sud (Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, oltre a Libano, Israele, Giordania e Turchia). Risulta evidente che la popolazione dei primi è in netta caduta, mentre quella dei secondi cresce nel tempo. Il divario raggiungerà, secondo le proiezioni, il 65% entro il 2017, capovolgendo i dati del 1975. Considerando il differenziale economico tra i paesi di origine e i paesi di destinazione, che si affacciano sul bacino mediterraneo, il flusso emigratorio sarà sempre più elevato e non subirà, a breve, alcun rallentamento, anche per la quasi assenza, nonostante le proposte italiane, di una politica unitaria europea dell’immigrazione. La spinta ad emigrare nasce dall’aspirazione a migliorare le proprie condizioni di vita, quando non si tratta di fuga dalla fame, dalla povertà e, non di rado, da guerre e da persecuzioni etnico – religiose. Un aspetto di complicazione riguarda la provenienza da paesi musulmani della maggior parte degli immigrati. Quanto premesso, lascia prevedere che il “Mediterraneo allargato”, nei prossimi decenni, sarà interessato da grandi trasformazioni degli assetti politici, economici, demografici e culturali, con una prevalenza della sponda Sud, caratterizzato da una vera esplosione demografica e delle classi giovanili, su quella Nord, dominante per secoli, caratterizzata da un invecchiamento progressivo della popolazione, a causa del basso numero delle nascite e dall’allungamento della durata media della vita. Sul piano geostrategico, gli effetti sono prevedibili: sulla sponda Nord, trasformazione progressiva della composizione etnica delle popolazioni degli Stati europei ed annacquamento delle vecchie identità nazionali; continue tensioni, a carattere socio-culturale e etnico – religioso, nelle realtà urbane europee e nelle periferie delle stesse e fenomeni di destabilizzazione politica; sulla sponda Sud, fenomeni di destabilizzazione politica, disoccupazione giovanile, urbanizzazione, contestazioni, carenza alimentare e scarsità di risorse idriche.
A nessuno può sfuggire come le fonti di energia e la sicurezza degli approvvigionamenti energetici rappresentino una questione geopolitica e geostrategica di primaria importanza. Fondamentali risultano la distribuzione geografica delle principali risorse energetiche ed il controllo sulle stesse, dal momento che i principali giacimenti, sia di petrolio che di gas naturale, si trovano in massima parte, nel Medio Oriente e in Russia, la quale utilizza, sempre più, l’arma energetica per incidere sugli equilibri internazionali e per tentare di recuperare un ruolo di grande potenza, perduto con la fine dell’URSS, anche facendo ricorso ad accordi bilaterali con i paesi del Maghreb (Accordo Algeria-Gazprom). Tutti i dati, che seguono, confermano che la questione energetica è il cuore della geopolitica e della geostrategia del “Mediterraneo allargato”: le riserve energetiche, presenti nel Golfo Persico, in Asia Centrale, nel Mar Caspio e in Nord Africa, rappresentano il 70% delle riserve mondiali di petrolio e il 35% di quelle di gas; il traffico di greggio e di gas (navi e pipelines), nel Mediterraneo, è superiore a quello di qualsiasi altra area o bacino, a livello mondiale; le risorse finanziarie, ricavate da queste merci, costituiscono la principale ricchezza degli Stati del Medio Grande Oriente; la dipendenza energetica dei paesi industrializzati condiziona direttamente le politiche mediterranee di Stati Uniti e dei paesi europei. Il “Mediterraneo” allargato si conferma, quindi, uno dei teatri più importanti della geopolitica dell’energia, come già accadde negli anni ‘50-’60, sia per l’entità degli scambi di petrolio e gas naturale, sia per le previsioni di fabbisogno energetico futuro e sia, infine, per i progetti di nuove infrastrutture energetiche. Petrolio e gas naturale rappresentano le merci più scambiate nel “Mediterraneo allargato”, in quanto i paesi della sponda nord (Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia), membri dell’UE, si approvvigionano di petrolio e gas naturale presso i quattro paesi della sponda sud (Algeria, Libia, Egitto e Siria), incidendo, per il 27% del greggio e per il 32% di gas naturale, sulle importazioni dell’Unione Europea. Il fatto che queste siano le uniche merci scambiate, in grandissima quantità, tra le due sponde del Mediterraneo allargato, ne accresce l’importanza geostrategica. Senza dimenticare che, per il “Mediterraneo allargato”, transita il 25% del commercio mondiale del petrolio. Ed è un ruolo destinato a crescere ancora, nel prossimo ventennio, a causa dello sviluppo economico e della crescita demografica, che farà lievitare la domanda di energia di tutta la regione, dove 16 milioni di persone ancora non beneficiano di elettricità. Basti considerare lo sviluppo tumultuoso della Turchia, che si appresta a diventare uno dei maggiori consumatori di energia nel Mediterraneo, mentre l’Italia rimane il maggior consumatore di gas dell’area. La Turchia diventerà anche l’architrave del futuro equilibrio energetico del Mediterraneo, essendo, per collocazione naturale, un “corridoio energetico” tra il “Mediterraneo allargato” e i paesi caucasici, affacciati sul Mar Caspio, come regione esterna. In tal modo, la Turchia, ricevendo gas naturale, contemporaneamente, dalla Russia, dal Mar Caspio, dall’Iran, dall’Iraq e dall’Egitto, gestirà l’intero fabbisogno del bacino mediterraneo. Ciascun paese, quindi, deve affrontare il problema della sicurezza energetica con il criterio della diversificazione delle fonti e una serie di opzioni strategiche, come la costituzione, ad esempio, di riserve strategiche, precedentemente accumulate, sempre che l’interruzione delle forniture sia temporaneo e non indeterminata, a causa di motivazioni politiche (il recente caso Libia è esemplare). Se i paesi importatori attenuano i rischi, con la diversificazione delle fonti e dei fornitori, i paesi esportatori, come la Russia di Putin, tendono a diversificare i mercati, spesso per una politica di potenza. È noto che una minaccia per la sicurezza energetica dell’UE, il cosiddetto “accerchiamento energetico”, viene proprio dalla strategia putiniana di ricostituzione della grande potenza eurasiatica, che colleziona continui successi, alimentati dalla continuità del potere, confermato anche dal successo nelle recenti elezioni presidenziali. Sia che l’UE riesca a garantire una politica comune in materia di energia, nel rapporto con i paesi produttori, in quanto le enormi sfide geopolitiche in materia di energia non possono essere affrontate in ordine sparso, sia che ciascun paese dell’Unione proceda, da solo, per accordi bilaterali, il “Mediterraneo allargato” si conferma lo scacchiere principale, sul quale si deciderà, nel prossimo futuro, la sicurezza energetica mondiale.