Archivi categoria: Politica

Francesco Guicciardini e la storiografia moderna

 

Terzo figlio di Piero di Jacopo e Simona Gianfigliazzi, ricchi e influenti cittadini fiorentini fedeli ai Medici, nacque il 6 marzo 1483 e fu tenuto a battesimo nientemeno che da Marsilio Ficino – chissà quale influenza esercitò su di lui questo padrino così illustre! Il giovane Francesco apprese il diritto a Firenze, presso uno degli insegnanti più alla moda del tempo, messer Francesco Pepi. francesco-guicciardiniFu, poi, a Ferrara e a Padova, dove concluse gli studi presso la celeberrima Università cittadina. Rientrato a Firenze non ancora laureato, cominciò ad esercitare la professione forense e l’insegnamento. Nel 1508, contro il volere del padre, sposò Maria Salviati, figlia di Alamanno, potente aristocratico che aveva le mani in paste un po’ dappertutto nella città dell’Arno. Grazie proprio alle amicizie del suocero poté avviarsi alla carriera politica, che lo condusse rapidamente al successo. Fu ambasciatore in Spagna e, al ritorno dei Medici a Firenze, governatore di Modena, Reggio Emilia, Parma e, in seguito, di tutta la Romagna, incarico nel quale dimostrò carattere e grande abilità diplomatica. Nel 1527, dopo la cacciata dei Medici, a causa dei sospetti dei repubblicani che non si fidarono di lui, decise di ritirarsi nella sua villa al Finocchietto, fuori Firenze. Colà si dedicò alla scrittura, aspettando tempi migliori che, però, non arrivarono. Nel 1529, gli furono perfino confiscati i beni, costringendo lui e la sua famiglia a trasferirsi a Roma, presso papa Clemente VII, un Medici. Quando il potente casato mediceo, per la terza volta, rientrò in città, fu consigliere del duca Alessandro ma poco ottenne dal suo successore Cosimo I. Scelse, quindi, di abbandonare definitivamente la vita politica. Pochi anni dopo, nel 1540, il 22 maggio, morì.

Ricordi politici e civili

Presso le famiglie di ricchi mercanti o, comunque, molto facoltose, era consuetudine, da parte dei membri culturalmente dotati, redigere e collezionare brevi pensieri, aforismi, raccomandazioni pratiche ed etiche, consigli, rivolti ai congiunti. Guicciardini elaborò sentenze e precetti lungo tutta la vita, sin dalla prima gioventù. Da essi si intuisce molto bene quali fossero i reali pensieri dell’Autore e il suo modo di rapportarsi alla realtà, alla vita civile e alla politica.Doria-Pamphilij-Metsys-Usurai Non esistono verità universali! Questo è il suo punto di partenza. La realtà è così multiforme e mutevole che ricercare regole di comportamento generali è una mera perdita di tempo. Importante è che ogni uomo riesca ad accrescere la propria riputazione e quella della sua famiglia. Una regola, tutto sommato, può essere seguita: orientarsi al meglio attraverso tutti gli innumerevoli casi della vita, cercando di cavalcare la fortuna quando essa arride. Proprio per questo, l’uomo di successo, ben conscio che i rapporti sociali siano condizionati da falsità, errori e illusioni, deve soltanto occuparsi di sé, aumentando, ad ogni costo, la propria posizione, agendo segretamente senza mai far intendere ad alcuno i suoi intenti, dissimulando e mascherando. In una parola, deve agire pensando esclusivamente ai fatti propri. 

XIII. È molto utile el governare le cose sue segretamente, ma piú utile in chi si ingegna quanto può di non parere con gli amici; perché molti, come poco stimati, si sdegnono quando veggono che uno recusa di conferirgli le cose sue.

XVIII. È da desiderare piú l’onore e la riputazione che le ricchezze; ma perché oggidí sanza quelle male si ha e conserva la riputazione, debbono gli uomini virtuosi cercare non d’averne immoderatamente, ma tante che basti allo effetto di avere o conservare la riputazione e autoritá.

IL. Conviene a ognuno el ricordo di non comunicare e’ secreti suoi se non per necessitá, perché si fanno schiavi di coloro a chi gli comunicano, oltre a tutti gli altri mali che el sapersi può portare; e se pure la necessitá vi strigne a dirgli, metteteli in altri per manco tempo potete, perché nel tempo assai nascono mille pensamenti cattivi.

CLXXIV. Non mancate di fare le cose che vi diano riputazione, per desiderio di fare piacere e acquistare amici; perché a chi si mantiene o accresce la riputazione, corrono gli amici e le benivolenzie drieto; ma chi pretermette di fare quello che debbe, ne è stimato manco; e a chi manca la riputazione, mancano poi gli amici e la grazia. 

È chiaro come questa sia una vera lezione di opportunismo, egoismo e cinismo, comprensibile, certamente, se si tiene conto del contesto storico e familiare in cui visse l’Autore: per un aristocratico impegnato in politica, in un’epoca dove, d’improvviso, ci si poteva trovare con la testa avvoltolata in un cappio o con un pugnale piantato dietro la schiena, era necessario usare qualsiasi mezzo per riuscire a rimanere in auge, evitando di essere travolti dagli eventi.

Storia d’Italia

Quando Guicciardini cominciò a stendere quest’opera, era ormai in pensione. In gioventù, aveva scritto le Storie fiorentine dal 1378 al 1509, per cui, l’argomentazione storica e la sua metodologia non gli erano affatto sconosciute. 70231AnobilE’ stato questo il suo unico scritto elaborato per la pubblicazione, che, però, fu postuma, del 1561. L’esposizione include gli eventi compresi tra la morte di Lorenzo il Magnifico (1492) e quella di papa Clemente VII (1534). Lo scrittore ragiona della rovina dei principi e dei principati italiani, i quali sono passati dalla libertà della fine del ‘400 al dominio straniero, francese e spagnolo, del ‘500. Questi poco sagaci signori, a detta dell’Autore, credendo di essere assennati e prudenti, si sono fidati troppo degli stranieri, venendone, poi, travolti. Con impassibile distacco e cruda ironia, Guicciardini indaga le cause di questo decadimento italiano, il tutto seguito in maniera molto scrupolosa e dettagliata, grazie alle testimonianze di numerosi protagonisti e alla consultazione di materiali d’archivio (esaminò gran parte dell’archivio della Magistratura fiorentina). Proprio per questo, per il metodo che adoperò nella stesura della sua opera, Guicciardini può, a buon diritto, essere definito il padre della storiografia moderna.

 

La Guerra fredda

 

 

INTRODUZIONE

Il termine guerra fredda è stato coniato dal giornalista americano Walter Lippman per descrivere la situazione, presente a livello mondiale, in seguito all’esplosione della bomba atomica ad Hiroshima. La fine della Seconda guerra mondiale segnò il declino dell’egemonia europea sul mondo. Le due reali potenze vincitrici, ciascuna detentrice di una propria ideologia e di una propria promessa di benessere universale, risultarono essere gli USA e l’URSS, destinate a dominare gli equilibri mondiali del dopoguerra. Il modello statunitense si fondava sul capitalismo e sull’affermazione dell’economia di mercato su scala mondiale, mentre il modello di origine sovietica (socialismo), basato sulla filosofia marxista, prevedeva una lotta di classe sul piano internazionale, ovvero, uno scontro fra Paesi proletari e Paesi capitalisti. Durante il periodo degli anni ’50, noto, appunto col termine di guerra fredda, i due modelli e i relativi progetti di egemonia si fronteggiarono su scala planetaria. Si definì guerra, per la contrapposizione tra i contendenti e la mobilitazione militare sviluppatasi all’interno dei Paesi coinvolti, fredda, perché le armi prodotte e accumulate in realtà non furono utilizzate. Ciascuna delle due potenze possedeva armamenti distruttivi e sofisticati, sia convenzionali che nucleari. La competizione nell’accumulo di tali armi sostituì il loro uso effettivo e garantì il mantenimento dell’equilibrio. Tali armi, quindi, ebbero, principalmente, una funzione di dissuasione: minacciare l’avversario in modo da impedirgli qualsiasi azione aggressiva. Come affermato dal politologo francese Raymond Aron, la guerra fredda, tuttavia, vide anche l’utilizzo di altre armi: strumenti di persuasione e di sovversione. I due strumenti di persuasione furono rappresentati dalla diplomazia e dalla propaganda, basata, quest’ultima, su un uso spregiudicato dei mezzi di comunicazione di massa, tra cui la radio, e finalizzata a condizionare l’opinione pubblica dei Paesi avversari. La sovversione, invece, utilizzò strumenti clandestini, per infiltrarsi imagesnell’area dell’avversario e minarne le capacità di controllo: ne sono esempi la CIA (agenzia americana di intelligence, cioè di spionaggio e controspionaggio), e il KGB (agenzia sovietica di spionaggio e controspionaggio, interno e internazionale). Il periodo compreso tra il 1945 e gli anni ‘70 fu contrassegnato da una situazione di mobilitazione psicologica, economica e politica, come in precedenza si era verificata solo in periodi di guerra. Nel blocco sovietico, la mobilitazione consistette in una restrizione permanente delle libertà fondamentali, al fine di contrastare la minaccia imperialista; nel blocco occidentale, invece, nell’anticomunismo, con pesanti misure repressive, che portarono all’estromissione dal pubblico impiego di tutti i sospetti simpatizzanti comunisti (una vera caccia alle streghe!) e alla repressione delle minoranze, a partire dai neri, potenzialmente sovversive. Il periodo della guerra fredda presentò diverse fasi: una prima fase di guerra fredda vera e propria, 1947 ai primi anni ‘60, una seconda fase di distensione, dagli anni ‘60 ai primi anni ’70, e una terza fase di tensione internazionale, successiva al 1973.

 

download

 

IL BLOCCO SOVIETICO

Nel dopoguerra, l’URSS era presente, militarmente, nei Paesi dell’Europa orientale, distrutti dalla guerra e che aveva liberato dal nazismo, ma, nello stesso tempo, rappresentava il Paese maggiormente devastato economicamente e demograficamente. Quindi, per garantire la propria sicurezza e la propria ripresa economica, creò una sfera di influenza su quei Paesi, caratterizzati da un regime analogo al socialismo. Il piano sovietico, nel periodo 1945-48, si basò sull’idea delle cosiddette democrazie popolari. I Paesi interessati non passarono direttamente al socialismo (stato a partito unico, collettivizzazione dell’agricoltura, nazionalizzazione images (2)dell’economia) ma attraversarono una fase transitoria, che vide insediarsi governi di coalizione, nei quali, il partito comunista assumeva un’influenza superiore rispetto agli altri e avviava una progressiva introduzione di elementi di socialismo. Nel 1947, tale progetto gradualistico di controllo sui Paesi orientali subì una brusca svolta, dovuta all’offerta americana di estendere ad essi gli aiuti del Piano Marshall. Questo progetto di finanziamento alla ricostruzione dei Paesi distrutti dal conflitto, interessò numerosi governi dell’Europa orientale e, in tal modo, l’egemonia economica statunitense minacciò di estendersi oltre l’Elba. Andrej Zdanov, stretto collaboratore di Stalin e presidente del Soviet supremo (organo legislativo dell’URSS) definì il Piano Marshall, durante un discorso pronunciato a Varsavia, in occasione del convegno di fondazione del Cominform (organismo che prese il posto del Comintern, cioè la Terza Internazionale), “un’arma dei disegni imperialistici americani“. Invitò, pertanto, tutti i Paesi amici dell’URSS ad opporvisi. Nello stesso 1947, si verificò un grave dissidio tra URSS e Jugoslavia, la quale mirava alla costruzione di un regime socialista autonomo e non direttamente condizionato dall’influenza sovietica. Tale contrasto comportò una rottura clamorosa nella sinistra internazionale e nel blocco sovietico. Nel blocco sovietico nacquero regimi di tipo staliniano, in Cecoslovacchia fu soppresso, nel 1948, il governo di coalizione e il leader comunista Klement Gottwald assunse la presidenza della Repubblica, guidando la trasformazione del Paese in una images (3)democrazia popolare, in cui non era previsto il pluralismo dei partiti. In altri Paesi, il regime a partito unico si impose, di fatto, salvaguardando (Polonia e Ungheria) la facciata di partiti socialdemocratici o contadini. Tra il 1948 ed il 1953, si potenziò il controllo sovietico sui Paesi satelliti dell’URSS. Sul piano economico, si assistette alla nascita del Comecon (1949), un organismo centralizzato di coordinamento, che comportò la chiusura degli scambi con l’Occidente e favorì lo sviluppo dell’URSS. Sul piano politico, ebbe luogo il processo già avvenuto in URSS: in Ungheria (processo Rajk), così come in Cecoslovacchia (processo Slansky) si effettuarono grandi purghe di comunisti, che il regime reputava eccessivamente nazionalisti. Fu, così, negata, all’interno dei partiti comunisti, qualsiasi possibilità di dibattito. Nel 1953, si verificò la prima crisi politica del blocco sovietico, pochi mesi dopo la morte di Stalin, avvenuta nel mese di marzo. La prima rivolta in cui i lavoratori manifestarono contro le proprie misere condizioni di vita, fu a Pilsen (Cecoslovacchia), seguita da Berlino Est, capitale della Germania Orientale (Repubblica Democratica Tedesca). Nel 1955, il Patto di Varsavia comportò un potenziamento delle alleanze militari tra gli stati dell’Europa orientale, nei quali la leadership sovietica tentò una sorta di liberalizzazione. Si concesse, quindi, qualche spazio a leader emergenti (Imre Nagy, in Ungheria), si ridimensionarono i capi di stato più compromessi e si intraprese una graduale riconciliazione con la Jugoslavia.

L’EUROPA NEL 1956:NATO E PATTO DI VARSAVIA. IL SISTEMA DI ALLEANZE AMERICANO

Durante gli anni ‘40 e i primi anni ’50, gli USA realizzarono un sistema di alleanze politiche, militari ed economiche, mirato a contrastare la minaccia comunista e a risolvere il problema del declino degli imperi coloniali e della trasformazione degli equilibri economici, presenti a livello mondiale. Nei primi anni del dopoguerra, gli USA diventarono il Paese-guida di uno dei due grandi blocchi, formatisi contemporaneamente durante quel periodo: il blocco sovietico e il blocco occidentale, entrambi aspiranti ad ottenere l’egemonia planetaria. A partire dal 1947, la politica di contenimento del comunismo, lanciata dal presidente Harry Truman, permise agli USA di abbandonare l’isolazionismo e fu ritenuta la più idonea a realizzare, nella migliore images (4)maniera, gli interessi economici e politici americani. Si aprì, così, una fase in cui, negli USA, politica estera e finanza si muovevano di pari passo. Il 5 giugno 1947, il Segretario di Stato americano, George Marshall, annunciò il Programma per la ripresa economica europea (ERP), destinato a fornire aiuti economici per i Paesi europei, per oltre 13 miliardi di dollari: tale Programma è conosciuto con il nome di Piano Marshall. Il piano, originariamente ideato per favorire anche l’Unione Sovietica e la sua crescente sfera di influenza, prevedeva che l’offerta di aiuto economico all’URSS fosse accompagnata da un cambio di politica, comportando, quindi, negli anni immediatamente successivi al lancio del piano, una netta rottura tra i due blocchi. Il Piano Marshall, tuttavia, non aveva soltanto un fine economico, quanto anche politico: mirava, infatti, a far crescere, all’interno dei Paesi europei, l’influenza dei gruppi politici moderati, a discapito di quelli comunisti, e auspicava di ottenere una riconciliazione con la Germania (privata della sua parte orientale). A distanza di due anni nacque un’alleanza militare tra gli USA e i Paesi Europei ad ovest di Trieste: l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO). Con la progressiva fine del colonialismo e la conseguente dissoluzione degli imperi coloniali, si temeva un allargamento della sfera di influenza sovietica. Sulla base di questa situazione, la politica degli USA prevedeva di non intervenire nelle aree di rivolta considerate meno rischiose (Nordafrica e India), di convincere Gran Bretagna e Francia ad aprire le loro aree imperiali al commercio internazionale, a potenziare la propria influenza economica e politica a livello europeo e mondiale, come in Grecia e in America Latina, unita agli USA, dal 1948, nell’Organizzazione degli Stati Americani, e di sostenere il colonialismo nelle aree a rischio di espansione del comunismo (colonie francesi dell’Indocina). In seguito alla vittoria del comunismo in Cina, avvenuta alla fine degli anni ‘40, gli USA costruirono, in Asia orientale, un sistema di alleanze politico-militari più complesso e agguerrito di quello creato in Europa, finalizzato a contenere il comunismo. In Giappone, inizialmente occupato dalla potenza americana al fine di disarticolare le basi economiche, politiche e ideologiche del militarismo nipponico, e come forma punitiva per la guerra, si passò, dal 1948-49, durante il governatorato di Douglas MacArthur, ad una politica di incoraggiamento della ripresa economica analoga a quella prevista dal Piano Marshall. A cinque anni da Hiroshima, Giappone e USA passano da Paesi nemici a stretti partner economici e politici. In molti Paesi asiatici, attraversati dalla crisi del colonialismo, gli USA tentarono di sperimentare una soluzione analoga a quella adottata in Germania: la Corea fu divisa in una Repubblica Democratica Socialista (Nord) e in una Repubblica di Corea (Sud), fortemente sostenuta dall’aiuto economico e militare americano; il Vietnam, dopo il 1954, fu suddiviso in Repubblica Democratico-Socialista, al nord, e in uno stato filoamericano al sud; in Cina, dopo la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese, a Pechino, gli USA tentarono di sostenere economicamente la Repubblica Cinese, insediatasi nell’isola di Taiwan, come unica vera rappresentante del popolo cinese. Questa politica aveva l’obbiettivo di opporre al comunismo degli stati socialisti, nati per via rivoluzionaria nei Paesi colonizzati, un sano nazionalismo asiatico, ispirato ad un modello di Stato nazionale libero (in realtà, quasi sempre dittatoriale).