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Brevi ragguagli sul concetto di “coscienza” nella storia della filosofia Occidentale

 

PARTE II

 

LA COSCIENZA COME CONOSCENZA (Ragion pura) E COME MORALE (Ragion pratica)

downloadImmanuel Kant, nella sua monumentale opera filosofica, dà al concetto di coscienza una duplice attenzione: una gnoseologica, relativa ai processi della conoscenza, l’altra morale, relativa alla sfera comportamentale. Per quanto riguarda il primo aspetto, considerò la coscienza come appercezione (Leibniz), pur rimanendo nella convinzione dell’esistenza del mondo esterno alla coscienza. Il filosofo di Königsberg (immagine a destra) distinse, poi, le appercezioni in pure trascendentali (chiamate anche “Io penso“), il vertice della conoscenza critica, in quanto fornisce senso alle rappresentazioni della realtà esterna; e in empiriche, l’esperienza interna, variabile e soggettiva. Entrambe le appercezioni e, quindi, la coscienza di esse, concorrono alla formazione dei processi cognitivi. In merito all’aspetto comportamentale, Kant considerò la coscienza come l’elemento che garantisce il valore assoluto della legge morale. La moralità è la somma ultima dei comandamenti della ragione, o imperativi, dai quali l’uomo deriva tutti gli obblighi e i doveri. Kant definisce la morale “Ragione pura pratica“, concependola come un’attività razionale a priori, che risulta sufficiente, da sola, a determinare la volontà. (Critica della ragion pura, Critica della ragion pratica).

 

HEGEL: LA COSCIENZA PREMESSA DELL’AUTOCOSCIENZA CHE NON RICERCA L’ASSOLUTO PERCHE’ E’ PARTE DI ESSO

GeorgWilhelmFriedrichHegelAl concetto di coscienza, inteso in molteplici significati, il filosofo tedesco George Wilhelm Hegel (immagine a sinistra) dedicò un’intera opera: La fenomenologia dello Spirito. Nella Fenomenologia è tracciato il cammino che la coscienza umana, detta anche individuale, deve compiere per giungere all’Assoluto. La prima tappa è costituita dall’indagine sulla coscienza: l’individuo, attraverso il confronto sensibile con la realtà circostante, ha contezza e, quindi, coscienza della propria esistenza. Tale consapevolezza è generata dalla conoscenza sensibile, dalla percezione e dall’intelletto. Interiorizzata in sé la realtà, la coscienza diviene autocoscienza, seconda tappa. L’autocoscienza che riesce a raggiungere l’indipendenza crede di poter sussistere facendo a meno della realtà. La scissione tra l’autocoscienza e il tutto è chiamata da Hegelcoscienza infelice religiosa“, intesa come spaccatura che l’uomo avverte tra sé e Dio. Giunta al punto più basso di mortificazione e infelicità, l’autocoscienza si rende conto che è inutile ricercare l’Assoluto in quanto essa stessa è parte dell’Assoluto. Allora diviene Ragione, terza ed ultima tappa del percorso.

 

LA COSCIENZA COME RIFLESSO DELLA REALTA’ MATERIALE

220px-Karl_Marx_001Per Karl Marx (immagine a destra) la coscienza, come la produzione di idee e di rappresentazioni mentali, è direttamente collegata alle attività materiali degli uomini. Anche la produzione spirituale, che si manifesta nel linguaggio della politica, delle leggi, della morale e della religione, è una conseguenza dei comportamenti materiali. Gli uomini, intesi quali reali, operanti e condizionati dallo sviluppo delle loro forze produttive e dalle relazioni che vi corrispondono, sono i produttori delle loro rappresentazioni. La coscienza, quindi, è l’essere cosciente, e l’essere degli uomini è il processo reale della loro vita. Gli uomini, sviluppando la loro produzione materiale e le loro relazioni materiali, trasformano, insieme con la loro realtà, anche il loro pensiero e i prodotti del loro pensiero. Non è, dunque, la coscienza a determinare la vita, ma la vita a determinare la coscienza  (Ideologia Tedesca).

 

LA COSCIENZA NEL PENSIERO FILOSOFICO CONTEMPORANEO

Con Edmund Husserl il concetto di coscienza, arricchito dalle dottrine dei filosofi dei secoli precedenti, conquista il passaggio verso il pensiero contemporaneo. Se per Hegel il termine Husserl-3fenomenologia aveva significato tracciare il cammino della coscienza, per Husserl (immagine a sinistra), invece, ineriva proprio lo studio della coscienza. Il filosofo prese le distanze dallo Spiritualismo del XIX secolo, per cui la coscienza era una sostanza, un ente, sostenendo che questa non fosse, appunto, un essenza, ma un’attività. In più, essa è anche intenzionalità, ovvero coscienza di qualcosa e si presenta in diversi modi: percepire, pensare, ricordare, immaginare. La coscienza, però – e qui c’è la rottura con tutta la tradizione precedente -, non si identifica col suo oggetto. Essa è totalmente soggettiva. Solo la coscienza può rivelare l’essere: essere è solo ciò che è per la coscienza. Da ciò, l’originale intreccio husserliano tra coscienza e filosofia: teoretica (filosofia di riflessione, di contemplazione, poiché riguarda sempre il soggetto conoscente); edetica (che si occupa delle essenze, non avendo un rapporto diretto con la realtà come essa è ma come appare alla coscienza); non oggettiva (l’approdo cui giungono le sue posizioni è estremamente soggettivo) (Ricerche logiche, Meditazioni cartesiane). Come Husserl, anche Martin Heidegger muove la sua analisi della coscienza Heideggerdalla soggettività di questa, mettendo, però, in luce che gli sforzi di Husserl non siano bastati, avendo questi non tenuto conto anche della finitezza e della esistenza storica. Il filosofo tedesco (immagine a destra) insiste sull’esigenza di connettere la coscienza alla concretezza dell’esistenza. L’essere, progettando il mondo, lo fa venire all’esistenza, in quanto coscienza trascendentale, trovandosi, quindi, ad essere a sua volta progettato. L’essere, avendo coscienza della propria esistenza si apre al mondo, uscendo dalla soggettività per entrare nell’universo della coesistenza fra le cose. Tale azione aliena l’essere da sé stesso. La conseguenza è l’appello alla coscienza, ma questa apre la prospettiva al nulla, al nichilismo (Essere e tempo). Jean Paul Sartre, ponendosi tra la fenomenologia di Husserl e l’esistenzialismo di Heidegger, trasforma la filosofia della coscienza in esistenzialismo ateo, negando l’esistenza dell’io nella coscienza e trasportandolo al di fuori di essa, come ente del mondo. L’esistenza è la nullificazione dell’essere, poiché l’essere è affetto da una frattura insanabile tra l’essere in sé, come totalità fuori dalla coscienza, e l’essere per sé, che è l’essere della coscienza stessa. L’essere non riesce mai ad afferrare sé stesso. Ha in sé la tara del nulla. Da qui, la nullificazione del mondo, poiché le cose sono quelle che sono in sé, ma non ne hanno coscienza. Esse non hanno senso, come non ha senso la coscienza umana; sono una realtà di fronte alla quale l’unico atteggiamento possibile della coscienza umana non può che essere la nausea (Saggi, La nausea). Con Sigmund Freud e la sua scuola il concetto di coscienza entra nella psicoanalisi moderna. Per esigenze di brevità, data la vastità del pensiero freudiano, mi limito a fornire accenni esplicativi sui più importanti contributi che lo psicoanalista austriaco ha fornito alla scienza contemporanea, con l’indagine della mente umana e dei suoi processi: i concetti di coscienza, preconscio e inconscio. La coscienza è downloadfacilmente accessibile perché in stretta e immediata connessione con la realtà che ci circonda: essa è sempre vigile, razionale, presente e non vive, perciò, di ricordi passati. Freud (immagine a sinistra) considera la coscienza come un dato dell’esperienza individuale. La assimila alla percezione, considera come essenza di quest’ultima la capacità di ricevere qualità sensibili e affida questa funzione di percezione-coscienza ad un sistema autonomo e funzionante in base a principi quantitativi. Tra la coscienza e l’inconscio, è collocato il preconscio. Esso incamera tutte le esperienze passate, che possono essere fatte emergere con facilità: attraverso uno sforzo, grande o piccolo, dipende dal ricordo, si può riscoprire qualcosa che è accaduto. Al preconscio, dunque, vi si può accedere grazie alla ragione, senza grosse difficoltà. L’inconscio. In esso risiedono desideri vergognosi, impulsi repressi, esperienze traumatiche rimosse. Tutto ciò che si vuole cancellare definitivamente e domare con la ragione si inabissa in questo spazio di ricordo eterno. Tutto ciò che accade o è accaduto in un passato, anche remotissimo, viene divorato dall’inconscio e mai viene dimenticato (L’interpretazione dei sogni).

 

Brevi ragguagli sul concetto di “coscienza” nella storia della filosofia Occidentale

 

PARTE I

 

LA COSCIENZA COME ANIMA 

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Secondo Platone (immagine a sinistra) la coscienza umana ha una funzione essenzialmente conoscitiva, collegata alla dottrina delle Idee, cardine della sua filosofia. Le Idee, infatti, oltre ad essere realtà ontologiche a sé stanti, immutabili ed eterne, che fungono da modello al Demiurgo per plasmare il mondo, ovvero forme con le quali è strutturata la realtà empirica, sono altresì presenti nella coscienza umana, come forme intellettuali, mediante le quali l’uomo comprende la dimensione sensibile dell’esistenza. La coscienza, quindi, nella dottrina platonica, corrisponde, sotto l’aspetto del mito, all’anima, la quale, avendo vissuto nell’Iperuranio, conserva in sé il ricordo delle Idee. Da ciò, scaturisce la concezione platonica della conoscenza innata, proprio perché già presente nell’anima e, quindi, nella coscienza di ogni essere umano (Fedone, Critone, Repubblica). Anche Aristotele identifica la coscienza con l’anima ma, a differenza di Platone, non strettamente nell’ambito della conoscenza, quanto piuttosto riguardo al concetto di tempo. Il filosofo di Stagira indaga sul rapporto tra il tempo e il movimento per far assumere ai due concetti una connotazione concreta. Il movimento è nel tempo e il tempo non può esistere senza movimento. Per Aristotele, infatti, il tempo è “il numero del movimento secondo il prima e il poi”, intendendo per numero la funzione del contare, che non è possibile senza avere coscienza della successione numerica. Dato che l’esistenza del tempo è empiricamente ovvia e chiaramente riscontrabile, la sua percezione è un fatto di coscienza. Per coscienza, dunque, Aristotele intende l’anima, unico ente in grado di determinare un prima e un poi in relazione alla vita del singolo individuo (Fisica, De Anima).

LA COSCIENZA COME INTERIORITA’/RIFLESSIONE SU DI SE’, PER GIUNGERE A DIO

Il filosofo Plotino sviluppa il concetto di coscienza non come consapevolezza di qualsivoglia proprio stato interno, ma come campo privilegiato in cui si manifestano, nella loro evidenza, le verità più alte cui l’uomo può giungere, e la fonte, o il principio stesso, di tali verità: Dio. Indicando la coscienza come introspezione o ascolto interiore, egli adopera espressioni quali “ritorno a sé stesso”, “ritorno alla interiorità”, “riflessione su di sé”, contrapponendo costantemente questo atteggiamento proprio del saggio a quanti, invece, per la condotta della propria vita, si basano unicamente sulla conoscenza delle cose esterne (Enneadi).

LA COSCIENZA COME MORALE 

Simone_Martini_003Con il Cristianesimo, a cominciare da San Paolo e dai Padri della Chiesa, il concetto di coscienza viene ricondotto a quello di morale. Ne è esempio l’espressione di uso comune “voce della coscienza” la quale dovrebbe suggerire come comportarsi e quali siano i principi certi che, in ogni uomo, lo guiderebbero sulla retta via, dalla quale esso devia a causa della debolezza umana. E inoltre, non a caso, la precettistica cristiana prescrive l’esame di coscienza come pratica per rintracciare i propri errori morali. Per Sant’Agostino  (immagine a destra) la coscienza è il luogo interiore dove l’uomo cerca e trova Dio, la Mens superior inhaerens Deo (mente superiore insita in Dio). Dio è per l’uomo Essere e Verità, Trascendenza e Rivelazione, Padre e Logos. In quanto Verità, Dio rivela all’uomo ciò che è, in contrasto al falso che fa apparire o credere ciò che non è. Dio-Verità è l’essere che si rivela, che illumina la coscienza umana della sua luce e le fornisce la norma di ogni giudizio, la misura di ogni valutazione. Dio si rivela come trascendenza all’uomo che incessantemente e amorevolmente lo cerca nella profondità del suo io, la coscienza (Confessioni, De vera religione). San Tommaso d’Aquino intende la coscienza sempre ed esclusivamente come coscienza morale. La sua stessa definizione (scienza con l’altro), secondo l’Aquinate, rivela l’ambito di una ricerca volta a definire la coscienza morale come un’applicazione della scienza morale al comportamento umano, al fine di valutarlo e direzionarlo. La coscienza è un atto della persona, che investe sia la sfera intelligibile che quella razionale. Essa applica ai casi concreti della vita l’oggettività e l’universalità della legge a cui si riferisce, la sinderesi, intesa come abito che contiene i precetti della legge naturale, i quali sono i primi principi delle azioni umane. La coscienza, pertanto, nella filosofia del Doctor Angelicus, non è un’altra facoltà (le facoltà sono due: intelletto e volontà), ma è l’uso della ragione per valutare cosa bisogna fare nella situazione concreta hic et nunc (qui e ora). Attraverso la ragione l’uomo applica le norme morali (Somma Teologica, De Veritate) .

LA COSCIENZA COME RAGIONE

Frans_Hals_-_Portret_van_René_DescartesCon l’età moderna, il concetto di coscienza si svincola da qualsiasi implicazione morale e religiosa e diviene il fulcro di tutte le dottrine cognitive e di tutti i processi di conoscenza. Il primo filosofo che muove la sua indagine in questo senso è Cartesio (immagine a sinistra). Egli ritiene che ogni operazione della mente sia accompagnata dalla coscienza di sentire o di ragionare, cioè dalla consapevolezza di possedere nella mente i propri contenuti mentali. La coscienza, per Cartesio, è la consapevolezza soggettiva di sentire e ragionare, perché il pensare implica il sapere di stare pensando. Le idee esistono nella mente, che ne ha coscienza, ma possono non corrispondere alla realtà esterna. Tra queste, ce n’è una privilegiata: l’idea del soggetto come mente, la quale è l’unica ad imporsi come certa vera e indubitabile (cogito ergo sum). Il cogito non è più l’atto pensante originario, da cui nasce il filosofare, ma diventa un pensato. L’evidenza o coscienza del cogito offre un metodo sicuro e infallibile di indagine razionale, tramite il quale poter distinguere il vero dal falso. Il cogito, inoltre, pone l’io esistente come  assolutamente indipendente dal corpo, non potendosi imporre come idea chiara se la mente pensante non fosse completamente separata dalla materia. La coscienza, nella filosofia cartesiana, è, dunque, equiparabile all’anima, intesa come res cogitans, distinta dal corpo, la res extensa (Principi di filosofia). Anche per il filosofo Gottfried Leibnitz il concetto di coscienza è strettamente legato ai processi della conoscenza. Questi, infatti, affida alla coscienza quella caratteristica che determina la capacità di percepire. Nell’uomo questa capacità è più elevata, rispetto agli altri esseri viventi, e le percezioni sono chiare e distinte. La loro consapevolezza o coscienza è l’appercezione, termine con il quale Leibnitz indica l’atto riflessivo attraverso cui l’uomo acquista consapevolezza, o coscienza, delle proprie percezioni, le quali, di per loro, potrebbero anche rimanere inavvertite. L’appercezione  è il fondamento ultimo della coscienza e dell’io (Monadologia).

LA COSCIENZA EMPIRICA 

John-Locke-painting-664x1024La concezione cartesiana di coscienza ispirò anche i filosofi dell’empirismo inglese. John Locke (immagine a destra) intese, infatti, la coscienza come la percezione di ciò che passa nella mente di un uomo, o meglio, le sue idee. Inoltre, egli, da empirista, rinviò alla coscienza ogni possibile esperienza delle cose esterne poiché, proprio da quelle, l’uomo forma dentro di sé le idee. La coscienza, quindi, è l’io che possiede e sviluppa tutte le attività mentali (Saggio sull’intelletto umano). George Berkeley  fu ancora più radicale di Locke, sostenendo che l’esistenza delle cose è in quanto queste sono percepite come esistenti (esse est percipi), ovvero quando si ha coscienza della loro esistenza, nonostante le sostanze materiali, le res extensae di Cartesio, siano soltanto proiezioni della mente cui dover rinunciare per attenersi unicamente alle pure sensazioni (Commentari filosofici).

 

Il Quesito filosofico del 1688 risolto (?) soltanto nel 2011

 

di

Matteo Rubboli

 

William Molyneux (1656-1698) fu un filosofo, intellettuale e politico vissuto fra la metà e la fine del XVII secolo. Nel 1678 sposò Lucy Domville (? -1691), la figlia minore di Sir Wiliam Domville, il procuratore generale dell’Irlanda. Nel giro di pochi anni la moglie si ammalò sino a diventare completamente cieca, morendo poi nel 1691. Nonostante l’agiatezza della famiglia, dei loro 3 figli solo Samuel Molyneux (1689-1728) riuscì a sopravvivere sino all’età adulta. Provato dalle vicende familiari, Molyneux propose al filosofo John Locke, uno fra i principali precursori dell’Illuminismo e padre del liberalismo classico e dell’empirismo moderno, un quesito singolare che rimase senza risposta per oltre 300 anni…

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William Molyneaux ritratto da Sir Godfrey Kneller

 

 

 

 

L’Infinito Razzismo

 

di

Pasquale Russo*

 

L’incredibile delle tecnologie ancora lo dobbiamo vedere e ancora dobbiamo vedere il loro potere terrificante. Saranno molte quelle che fioriranno in questo secolo e per fortuna non credo che le vedrò in atto, ma le percepisco e così in questo mio ultimo definitivo articolo sull’evoluzione tecnologica proverò a parlarne, in particolare di due che più delle altre mi terrorizzano sperando che la generazione dei miei figli…

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Ho fotografato/ l’inferno/è sempre a fuoco/perfetto (Laura Accerboni)

 

*Direttore Generale dell’Università degli Studi “Link Campus University” di Roma

 

 

La lucida visione del De rerum natura di Lucrezio ai tempi del Coronavirus

 

di

Maurizio Morini

 

Il tempo eccezionale che stiamo vivendo a causa del morbo che imperversa nel mondo, ci impone di sospendere le rubriche ordinarie e di volgere lo sguardo a chi, tra i filosofi, in tempi simili a quello presente, ha pensato e scritto pagine di acume e intelligenza. Una premessa: parafrasando Nietzsche, in circostanze di questo tipo, tutti si sentono in dovere di esprimere qualcosa e di far conoscere il loro caro pensiero. Noi non abbiamo nulla da dire, nessun significato da recapitare...

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Tito Lucrezio Caro (94 a.C. – 55 a.C.)

 

 

 

 

Le vite parallele di Newton e Leibniz

 

di

Mauro Comoglio

 

 

La polemica che ha visto opposti Newton e Leibniz, per la  paternità del calcolo infinitesimale, occupa tra le dispute scientifiche un posto di singolare rilievo; vuoi per la levatura dei personaggi coinvolti, vuoi per l’asprezza della polemica, ma soprattutto per il conteso storico assolutamente unico e per la posta in gioco…

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Isaac Newton (1642 – 1727)

 

Gottfried Wilhelm Leibniz (1646 – 1716)

 

 

Il segreto delle macchine anatomiche di Raimondo di San Severo

 

di

Elio Errichiello

 

 

Raimondo di Sangro fu letterato e accademico, inventore e alchimista, massone e militare, esoterista ed anatomista, ma soprattutto fu uno straordinario “mago”. I misteri e gli enigmi del Principe di San Severo, infatti, ancora oggi non smettono di lasciare a bocca aperta. Della carrozza anfibia, della cera vegetale o di altre strabilianti invenzioni non abbiamo alcuna traccia ma le celebri macchine anatomiche del San Severo, conservate nella Cappella omonima…

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Raimondo di San Severo, Principe di Sangro (1710 – 1771)

 

Macchine anatomiche, Cappella San Severo, Napoli

 

 

 

Picasso ed Einstein. Cubismo e Relatività. Il superamento delle tradizioni pittoriche e scientifiche

 

 

Il tema di questo numero mi suggerisce un paragone tra due menti illuminate, le quali ruppero, in maniera netta, nei rispettivi campi, con tutta la tradizione precedente. Parigi, 1906. Un giovane pittore spagnolo, Pablo Picasso, 25 anni, dà la prima pennellata a Les Damoiselles d’Avignon. Le cinque damigelle (in realtà, prostitute in un bordello di Calle Avignon, a Barcellona) rivivono sulla tela in una prospettiva spaccata, frantumata in volumi, incidenti l’uno nell’altro, proposte in simultanea, sebbene ciascuna viva in una sua dimensione spaziale. Il quadro inaugura la stagione del Cubismo e manda definitivamente in pezzi la concezione tradizionale dello spazio. Berna, 30 giugno 1905. Un giovane fisico tedesco, Albert Einstein, 26 anni, invia alla rivista “Annalen der Physik”, l’articolo Elettrodinamica dei corpi in movimento, in cui assume che la velocità della luce sia costante in qualsiasi sistema di riferimento e che il principio di relatività galileano sia valido per ogni sistema fisico in moto relativo uniforme. L’articolo unifica parzialmente la meccanica e l’elettrodinamica, rompendo la concezione tradizionale del tempo e dello spazio. Le due opere, il quadro e l’articolo, con strumenti affatto diversi, affrontano il medesimo problema: la natura della simultaneità. E, negli stessi mesi, giungono alla pari conclusione iconoclasta: la degradazione della tradizionale concezione plurimillenaria dello spazio, quale assoluto e ineffabile contenitore degli eventi cosmici. C’è qualcosa che connette Les Damoiselles d’Avignon all’Elettrodinamica dei corpi in movimento. C’è una qualche correlazione tra queste due opere che aprono una nuova era nell’arte figurativa e nella fisica. C’è qualcosa che lega il più grande pittore del XX secolo al più grande fisico del XX secolo. Gli storici dell’arte hanno riconosciuto che, nel dipingere Les Damoiselles d’Avignon, il genio di Picasso abbia interpretato e si sia fatto partecipe dello spirito del tempo. Ivi compreso quello spirito scientifico che, a inizio ‘900, stava sottoponendo a seria critica la concezione newtoniana dello spazio e del tempo. Riconoscimento tutt’altro che banale perché implica l’esistenza di un ponte tra la dimensione artistica e quella scientifica della cultura umana. Una correlazione diretta, forte, che va ben oltre una generica adesione allo spirito dei tempi, tra il quadro e l’articolo, tra il genio della pittura e il genio della fisica.

 

Pubblicato il 15 dicembre 2016 su La Lumaca

 


Ecco cosa succederà al nostro corpo appena dopo la morte. Ergo, viviamo al meglio, materialmente e intellettualmente, perché diventeremo mero cibo per vermi!

 

 

Quanto descrivo di seguito, appare terribile, perché sarà quanto, ineluttabilmente, accadrà a ciascuno di noi. Appena dopo la morte, il nostro copro si svuoterà dell’ossigeno, i neuroni cesseranno le loro attività (beh, a molti hanno cessato molto prima!), il cervello smetterà di produrre gli ormoni che regolano le funzioni corporee e i muscoli si rilasseranno. Dopo circa venti minuti, diventeremo pallidi, perché il cuore non pomperà il sangue, che scenderà verso le parti più basse. Entro dodici ore, il nostro corpo si decolorerà (tale processo è denominato “livor mortis”). Il “rigor mortis”, ovvero la contrazione dei muscoli, invece, si verificherà tra le tre e le sei ore dopo il decesso. Il corpo si irrigidirà e rimarrà così per le successive ventiquattro – quarantotto ore. Dopodiché, comincerà la putrefazione. A quel punto, il nostro corpo rilascerà i gas rimasti, emanando odori nauseabondi e attirando gli insetti, che cominceranno a deporre le uova nei tessuti. Queste, si schiuderanno in un giorno, e le larve si nutriranno del tessuto finché non matureranno, consumandone il 60% in poche settimane. Tra i venti e i cinquanta giorni dopo la morte, avverrà la fermentazione butirrica, che attirerà larve di scarafaggi, protozoi e funghi, i quali banchetteranno allegramente e lucullianamente con quel che resta del nostro corpo.

 

 

Ὁ μῦθος δηλοῖ ὅτι… (Ho mythos dēloi hoti). ” Il racconto dimostra che…”. Con questa locuzione, lo scrittore greco antico Esopo concludeva le sue favole, fornendo, così, un insegnamento morale ai lettori. Bene, anche questo scritto ambisce a consegnare una morale, la quale è la seguente: visto ciò che diventeremo, dopo la morte, cerchiamo di vivere al meglio, materialmente e intellettualmente e, soprattutto, quando nella vita si presenteranno occasioni vantaggiose, ma di cui temiamo gli sforzi per raggiungerle, pensiamo a un bel ammasso di vermi mentre si rimpinzano di quelle che erano le nostre carni! Da napoletano, ve lo dico anche more napolitano: ‘ccà se more!!! (si muore!).

 

 

La religione della ragione e i suoi santi

 

 

Nella Basilica di San Pietro, a Roma, non percepisco la presenza di Dio, ma venero il genio e la potenza dell’uomo” (R. P.)

Secondo la dottrina cattolica, contenuta nel Catechismo della Chiesa Cattolica, ecco la definizione di santo: “Canonizzando alcuni fedeli, ossia proclamando solennemente che tali fedeli hanno praticato in modo eroico le virtù e sono vissuti nella fedeltà alla grazia di Dio, la Chiesa riconosce la potenza dello Spirito di santità, che è in lei, e sostiene la speranza dei fedeli offrendo loro i santi quali modelli e intercessori”. I santi sono stati oggetto di devozione e di culto sin dai primissimi secoli della storia del Cristianesimo Un riadattamento di fondo degli eroi pagani? Forse, nonostante le molte differenze intercorrenti. La nuova religione popolare (Cristiana) ebbe certamente necessità di essere alimentata nella continuità con la precedente (pagana) e i primi ministri del culto secondarono questa persistenza. Cosa abbiano rappresentato e rappresentino, ancora oggi, i santi, nell’immaginario e nel quotidiano dell’Occidente cristiano, e di quali pratiche cultuali siano oggetto da parte dei fedeli, è più che noto e rientra in quel contenitore, sia semantico che pragmatico, denominato, tuttora, religione. Esiste, però, un altro tipo di religione, in questo modo impropriamente denominata, se non per renderne comprensibile la definizione: la religione laica o la religione della ragione. Due ossimori! (La ragione è tutto ciò che si contrappone alla religione!). Ebbene, anche nella religione della ragione è contemplato il culto dei santi. Esiste, altresì, un Catechismo della Ragione, che ne definisce la natura: “I santi hanno praticato in modo eroico la ragione e sono vissuti nella fedeltà all’intelletto umano, divenendo modello per lo sviluppo morale e materiale dell’umanità”. Capitoli del libro di questi santi e, in troppi casi, di martiri, sono le storie della Filosofia, della Scienza e della Tecnica!

 

Pubblicato l’1 novembre 2016 su La Lumaca