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Ecco cosa succederà al nostro corpo appena dopo la morte. Ergo, viviamo al meglio, materialmente e intellettualmente, perché diventeremo mero cibo per vermi!

 

 

Quanto descrivo di seguito, appare terribile, perché sarà quanto, ineluttabilmente, accadrà a ciascuno di noi. Appena dopo la morte, il nostro copro si svuoterà dell’ossigeno, i neuroni cesseranno le loro attività (beh, a molti hanno cessato molto prima!), il cervello smetterà di produrre gli ormoni che regolano le funzioni corporee e i muscoli si rilasseranno. Dopo circa venti minuti, diventeremo pallidi, perché il cuore non pomperà il sangue, che scenderà verso le parti più basse. Entro dodici ore, il nostro corpo si decolorerà (tale processo è denominato “livor mortis”). Il “rigor mortis”, ovvero la contrazione dei muscoli, invece, si verificherà tra le tre e le sei ore dopo il decesso. Il corpo si irrigidirà e rimarrà così per le successive ventiquattro – quarantotto ore. Dopodiché, comincerà la putrefazione. A quel punto, il nostro corpo rilascerà i gas rimasti, emanando odori nauseabondi e attirando gli insetti, che cominceranno a deporre le uova nei tessuti. Queste, si schiuderanno in un giorno, e le larve si nutriranno del tessuto finché non matureranno, consumandone il 60% in poche settimane. Tra i venti e i cinquanta giorni dopo la morte, avverrà la fermentazione butirrica, che attirerà larve di scarafaggi, protozoi e funghi, i quali banchetteranno allegramente e lucullianamente con quel che resta del nostro corpo.

 

 

Ὁ μῦθος δηλοῖ ὅτι… (Ho mythos dēloi hoti). ” Il racconto dimostra che…”. Con questa locuzione, lo scrittore greco antico Esopo concludeva le sue favole, fornendo, così, un insegnamento morale ai lettori. Bene, anche questo scritto ambisce a consegnare una morale, la quale è la seguente: visto ciò che diventeremo, dopo la morte, cerchiamo di vivere al meglio, materialmente e intellettualmente e, soprattutto, quando nella vita si presenteranno occasioni vantaggiose, ma di cui temiamo gli sforzi per raggiungerle, pensiamo a un bel ammasso di vermi mentre si rimpinzano di quelle che erano le nostre carni! Da napoletano, ve lo dico anche more napolitano: ‘ccà se more!!! (si muore!).

 

 

La religione della ragione e i suoi santi

 

 

Nella Basilica di San Pietro, a Roma, non percepisco la presenza di Dio, ma venero il genio e la potenza dell’uomo” (R. P.)

Secondo la dottrina cattolica, contenuta nel Catechismo della Chiesa Cattolica, ecco la definizione di santo: “Canonizzando alcuni fedeli, ossia proclamando solennemente che tali fedeli hanno praticato in modo eroico le virtù e sono vissuti nella fedeltà alla grazia di Dio, la Chiesa riconosce la potenza dello Spirito di santità, che è in lei, e sostiene la speranza dei fedeli offrendo loro i santi quali modelli e intercessori”. I santi sono stati oggetto di devozione e di culto sin dai primissimi secoli della storia del Cristianesimo Un riadattamento di fondo degli eroi pagani? Forse, nonostante le molte differenze intercorrenti. La nuova religione popolare (Cristiana) ebbe certamente necessità di essere alimentata nella continuità con la precedente (pagana) e i primi ministri del culto secondarono questa persistenza. Cosa abbiano rappresentato e rappresentino, ancora oggi, i santi, nell’immaginario e nel quotidiano dell’Occidente cristiano, e di quali pratiche cultuali siano oggetto da parte dei fedeli, è più che noto e rientra in quel contenitore, sia semantico che pragmatico, denominato, tuttora, religione. Esiste, però, un altro tipo di religione, in questo modo impropriamente denominata, se non per renderne comprensibile la definizione: la religione laica o la religione della ragione. Due ossimori! (La ragione è tutto ciò che si contrappone alla religione!). Ebbene, anche nella religione della ragione è contemplato il culto dei santi. Esiste, altresì, un Catechismo della Ragione, che ne definisce la natura: “I santi hanno praticato in modo eroico la ragione e sono vissuti nella fedeltà all’intelletto umano, divenendo modello per lo sviluppo morale e materiale dell’umanità”. Capitoli del libro di questi santi e, in troppi casi, di martiri, sono le storie della Filosofia, della Scienza e della Tecnica!

 

Pubblicato l’1 novembre 2016 su La Lumaca

 

 

 

La concreta filosofia inglese e la forza della sterlina

 

 

Gli inglesi, per quel che concerne la storia del pensiero, si sono distinti dagli altri popoli europei, antichi e moderni, a causa di quella impronta, ad essi del tutto peculiare, tendenzialmente antimetafisica ed essenzialmente pragmatica. A scorrere rapidamente quella storia, infatti, ciò può essere facilmente notato:1 quando il Medioevo volgeva ormai al termine, mentre nelle scuole del resto d’Europa i dotti erano ancora impelagati nelle dispute scolastiche sulle prove dell’esistenza di Dio, sugli universali, sulla Trinità e sui quodlibeta, Roger Bacon (immagine a sinistra), filosofo, scienziato e mago, il Doctor mirabilis (Dottore dei miracoli), fondava la gnoseologia empirica, secondo la quale l’esperienza sia il vero e unico mezzo per acquisire conoscenza del mondo. Tre erano, secondo il filosofo, i modi con cui l’uomo potesse comprendere la verità: con la conoscenza interna, data da Dio tramite l’illuminazione; con la ragione, la quale, però, non è bastevole, e, infine, con l’esperienza sensibile, ovvero tramite i cinque sensi, il non pus ultra di cui esso possa disporre e che gli consente di avvicinarsi alla reale conoscenza delle cose. 1Il frate francescano William of Ockham, il Doctor invincibilis (Dottore invincibile), con il suo famosissimo rasoio, semplificò al massimo la spiegazione dei fenomeni, mostrando l’inutilità di moltiplicare le cause e di introdurre enti al di là della fisica: “Frustra fit per plura, quod fieri potest per pauciora” (è inutile fare con più, ciò che si può fare con meno). Francis Bacon (immagine a destra), il filosofo dell’adagio “Sapere è potere”, padre della rivoluzione scientifica e del metodo scientifico nell’osservazione e nello studio dei fenomeni attraverso l’induzione, meglio definita e rinnovata rispetto a quella aristotelica, fu avversatore dei pregiudizi, da lui chiamati idola (idoli o immagini), che impedivano la reale conoscenza e intelligenza della natura, e fu ispiratore di un’altra grande mente inglese, Isaac Newton, lo scienziato-osservatore empirico per eccellenza. Thomas Hobbes diede spiegazione a tutti gli aspetti della realtà col suo materialismo meccanicistico, annullando la res cogitans (sostanza pensante) di Cartesio e il suo ambiguo rapporto con la res extensa (sostanza materiale), retroterra sul quale basò la sua concezione della natura umana, della condizione di guerra di tutti contro tutti (l’homo homini lupus),1 del patto di unione e del patto di società, dai quali sarebbero poi nati, rispettivamente, la civiltà e, attraverso la rinuncia da parte di ogni uomo al suo diritto su tutto e la cessione di questo al sovrano, lo Stato, il Leviatano. John Locke (immagine a sinistra), l’empirista, l’autore di An essay concerning human understanding (Saggio sull’intelletto umano), sosteneva che tutta la conoscenza umana derivasse dai sensi. Indagò le idee e i processi conoscitivi della mente, criticando l’innatismo cartesiano e leibniziano, e, tra l’altro, fu strenuo propugnatore del liberalismo politico e della tolleranza religiosa. David Hume, l’estremo dell’empirismo inglese, asseriva, come Locke, che la conoscenza non fosse innata, ma scaturisse dall’esperienza. Egli negò sia la sostanza materiale che quella spirituale, tutto riducendo a sensazione e stato di coscienza. 1Demolì il concetto di causa, ritenendolo mero costume della mente, suscitato dall’abitudine, e postulò, quali conoscenze universali e necessarie, soltanto quelle della geometria, dell’algebra e dell’aritmetica. Adam Smith (immagine a destra), filosofo ed economista, teorizzò l’idea che la concorrenza tra vari produttori e consumatori avrebbe generato la migliore distribuzione possibile di beni e servizi, poiché avrebbe incoraggiato gli individui a specializzarsi e migliorare il loro capitale, in modo da produrre più valore con lo stesso lavoro. 1E, infine, l’Utilitarismo di Jeremy Bentham e John Stuart Mill prima, con tutte le implicazioni morali (o moralmente inglesi), legate ai concetti di “utile” e di “felicità“, e quello di Henry Sidgwick (immagine a sinistra), poi, col suo edonismo etico, mediante il quale aggiunse importanti precisazioni ai concetti dell’utilitarismo classico. Queste riflessioni filosofiche hanno certo corrispettivo pratico allorquando si osservano attentamente tutte le sfaccettature dell’English way of life e dei princìpi che, ancora oggi, lo animano. Il motivo per cui gli inglesi, fino a circa settant’anni fa, hanno realmente dominato il mondo (basti pensare al British Empire e al Commonwealth), ha le proprie basi nel pragmatismo che, dal 1200 in poi, ha caratterizzato le sue classi intellettuali e, di riflesso, quelle deputate all’azione. Un popolo non condizionato dalla religione, come lo sono stati, dal Medioevo alle soglie dell’età contemporanea, la maggior parte dei Paesi cattolici europei, libero di sottomettere altre genti, che non ha combattuto in nome di Dio ma degli uomini, era destinato ad avere il ruolo che ha avuto e che ancora ha. Del resto, negli stessi anni in cui un bardo venuto dalle Midlands incantava gli spettatori del Globe Theatre a Londra, mettendo in scena l’amore tra Romeo e Giulietta, la filosofia dell’essere e del non essere e la gelosia di Otello, la regina Elisabetta I nominava baronetto il più astuto e lesto pirata della storia: sir Francis Drake!

 

Pubblicato il 28 luglio 2011 su www.caravella.eu

 

 

Bucaneve

 

Queste note. Questo pianoforte. Il sole che filtra tra le foglie degli alberi. La festa di maggio sulla collina identica a quella della Casa di Pony, l’armonica al posto delle sigarette, la corsa a cavallo per farle dimenticare Anthony, la vita che, nonostante tutto, andava avanti…
Ero così piccolo allora, un bucaneve. Eravamo bucaneve. E cosa mi aspettavo? In cosa credevo? Cosa cercavo? Cosa volevo?
Ecco, io credo di non aver desiderato altro che questo.
Solo quando avanza il buio ritroviamo le poche cose che davvero abbiamo amato.

Patrick Gentile

 

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Le tempeste solari e la tecnologia sulla Terra

 

Eventi si stanno manifestando in maniera costante da tempo e potrebbero causare seri danni a tutto ciò che di tecnologico è disponibile sul globo terrestre: le tempeste solari. La tempesta solare o tempesta geomagnetica è un fenomeno generato dall’attività del Sole e può creare disturbi alla magnetosfera della Terra. 4257598333Il Sole è una massa fluida in costante movimento. Regolarmente, si assiste a ciò che viene chiamata espulsione di massa coronale, cioè a qualcosa che somiglia allo scoppiare di una bolla d’acqua, quando questa, in una pentola, è messa sul fuoco in attesa di calarvi gli spaghetti. A differenza della pentola sul fuoco, il Sole non libera acqua ma particelle cariche, elettroni e protoni, che lasciano la sua atmosfera, formando il cosiddetto “vento solare”. Dalla Terra, queste attività di espulsione sono visibili sotto forma di macchie solari. Gli effetti possono essere pericolosi, come le radiazioni, dannose anche per l’uomo. Sono rischi remoti, ma numerosi scienziati, in questi giorni, stanno lanciando l’allarme. Un po’ di storia: il primo settembre del 1859, fu registrata la più grande tempesta geomagnetica della storia. L’evento produsse effetti su tutta la Terra, dal 28 agosto al 2 settembre. All’epoca, l’elettronica a disposizione era quasi inesistente, eppure notevoli disturbi furono causati alla tecnologia del telegrafo, provocandone l’interruzione delle linee per ben 14 ore. Molto intenso fu anche il flare solare del 4 agosto 1972, quando le comunicazioni telefoniche a lunga distanza vennero interrotte tra alcuni stati degli Stati Uniti. aurora_borealeQuesta circostanza suggerì la riprogettazione del sistema di comunicazione per i cavi transatlantici. Il 13 marzo 1989, un imponente brillamento solare lasciò senza energia elettrica sei milioni di persone in Quebec, Canada, per nove ore. Questo brillamento non era paragonabile, per intensità, all’evento del 1859, per cui è facile capire come i danni causati ad una società tecnologicamente più avanzata siano notevolmente superiori. Altri casi si sono manifestati fino ad oggi, con conseguenze quali corti circuiti a satelliti in orbita, black-out radio e danneggiamenti ai dispositivi GPS. Noi siamo al sicuro? Nessun rischio pare esserci per la salute: nonostante il flusso di particelle ad alta energia emesse dal Sole possa anche essere letale per un essere umano (critici soprattutto i protoni, che possono superare i 30 MeV di energia iniziale), l’atmosfera e la magnetosfera terrestre ci proteggono piuttosto efficacemente. Un rischio maggiore esiste per chi viaggia ad alta quota (il personale di volo, del resto, assorbe regolarmente dosi di radiazioni superiori alla media). Per questo, in concomitanza con fenomeni solari particolarmente violenti, il traffico aereo viene deviato, per evitare le zone polari, dove l’intensità di radiazione è massima (in corrispondenza dei poli la schermatura magnetica terrestre è, infatti, meno efficace). satellitiLo scienziato Pete Riley, sulla rivista Space Weather, ha formulato una previsione su un modello matematico, giungendo alla conclusione che esista solo il 12% di possibilità che la Terra venga colpita da una tempesta solare nei prossimi 10 anni. Alcuni studiosi della NASA, invece, hanno parlato di un fenomeno che, due anni fa, avrebbe rischiato di colpire la Terra, provocando gravi conseguenze. Il Sole, infatti, avrebbe generato due enormi nubi, le quali, colpendo la Terra, avrebbero potuto originare pericolosi effetti. Si sarebbe trattato della tempesta più forte degli ultimi 150 anni e avrebbe potuto provocare un blackout quasi totale di tutte le nostre tecnologie, satelliti compresi. Incredibili sarebbero state le conseguenze, con interruzioni di corrente, un impatto economico di proporzioni incredibili e danni per oltre 2000 miliardi di dollari. Cosa ci riserverà il futuro? Dobbiamo iniziare a preoccuparci?

Edoardo Morvillo