Il servizio televisivo che propongo in calce all’articolo è un’ottimo specchio dell’Italia: la giovane Miss Italia 2015, Alice Sabatini, resasi protagonista della ormai celeberrima gaffe sulla seconda guerra mondiale, è stata insultata da persone che ne sanno quanto o meno di lei!!!
Ecco qualche risposta emersa dal video: la seconda guerra mondiale è cominciata nel 1936 o nel 1942. Winston Churchill era il presidente dell’America. Pearl Harbour è in Giappone. Yalta? Nessuna risposta. Il capo del governo italiano durante la guerra mondiale? Nessuna risposta. Il più famoso sbarco alleato della seconda guerra mondiale? Nessuna risposta.
Forse è bene che io cominci a vendere noccioline americane davanti ai cinema!!!
Nella Napoli borbonica si udiva sovente dire dai popolani: “Feste, farina e forca”, a significare il fatto che la durezza del regime monarchico fosse a volte addolcita, a modo di palliativo, da festeggiamenti e pane (panem et circenses) elargiti dai sovrani, per poi tramutarsi, quasi immediatamente, nelle abitudinarie persecuzioni e condanne a morte liberticide. Ciò che, mutate ovviamente le cose che è necessario mutare, è accaduto a Massa Lubrense durante la scorsa campagna elettorale. Feste danzanti per giovani amanti della disco, spettacoli con comici di grido e soubrette all’ultima moda, pranzi e cene luculliani, proposte benefiche o benevole che dir si vogliano, buone intenzioni delle quali si sa, è lastricata la strada che conduce all’inferno, donazioni spontanee (ma va là!) di affetto e stima, risoluzione immediata di qualsiasi tipo di problema, meglio di Wolf che risolve i problemi in Pulp Fiction, montagne di fogli di carta, da incenerire quel che rimane della Foresta vergine in Amazzonia, che sprizzano programmi politici, filantropici e caritatevoli, più ottimistici delle pagine del Candide di Voltaire, sfregamento di mani da parte di baristi che hanno visto moltiplicata la quantità giornaliera dei caffè offerti e bevuti, etcetera etcetera. Un gran carnevale, insomma, durante il quale, alla sera del Martedì grasso, sulla pira, invece del fantoccio di Re Carnevale, come accadeva sin dai tempi dei Medici a Firenze, sono stati immolati il buon senso e la decenza! Adesso, però, è cominciata la Quaresima ed è tempo di riflessioni per gli eletti, per i non eletti e per gli elettori, o, forse, sarebbe più giusto dire per i vincitori (gli eletti e i non eletti) e i vinti (gli elettori). Poiché, dunque, chi scrive appartiene suo malgrado alla categoria dei vinti (San Giovanni Verga, prega per noi!), questa sarà di seguito analizzata. Vorrei porre alla vostra attenzione, cortesi lettori, un dato di fatto: nel nostro Comune (sono massese, ergo parlo di Massa Lubrense, anche se ciò vale per le altre realtà) nonostante la presenza di ben due candidati locali, i “forestieri” abbiano raccolto oltre 2600 voti su 7.383 schede valide, voti i quali, guarda caso, sarebbero serviti ai nostri due candidati permettendo loro l’elezione. Ma non è questo il dato focale, soprattutto perché il voto è libera espressione, diritto e dovere del cittadino. Ognuno può e deve essere animato da sentimenti e idee, e riporre questi nella persona che crede possa meglio rappresentarlo. Questa è la vera democrazia, questa è la parafrasi un po’ romantica dell’articolo I della Costituzione allorquando recita che la sovranità appartiene al popolo. Ma è proprio a questo punto che comincio a rabbrividire, perché mi son reso conto che alle elezioni non è la volontà di tutti i cittadini ad essere espressa, ma piuttosto la volontà di alcuni cittadini (i cosiddetti notabili) i quali, animati da idee e sentimenti molto raramente romantici e troppo spesso di interesse (non soltanto, comunque, nella accezione negativa del termine) controllano e spostano gruppi più o meno consistenti di voti. Quindi, cortesi lettori, sapete quale è il problema? Il problema siamo noi stessi, forse troppo poco interessati a faccende che aprioristicamente giudichiamo male, critichiamo insensatamente, offendiamo. Quante volte avete voi stessi detto o sentito dire: “Sono tutti uguali, sono tutti ladri, è tutto uno schifo, ma che votiamo a fare”. Bene, è proprio questa l’origine della questione. La scarsa conoscenza, eufemismo per ignoranza, e il disinteresse. La politica è innanzitutto conoscenza e ragionamento. Conoscenza di idee, di uomini, di programmi politici, e ragionamento finalizzato ad una conoscenza intima e personale di ciò che sic et simpliciter si definisce “per chi o per cosa votare”. Dico questo perché sono purtroppo convinto che la maggior parte dei cittadini non si curino o non vogliano curarsi affatto di questi affari. Ed ecco che, dunque, peraltro inconsapevolmente, affidano quanto di più prezioso è stato loro concesso dalla forma di governo, o costituzione, per usare la definizione dello storico greco Polibio, democratica, ovvero la propria volontà, alla mercé dell’amico, del parente, del medico, del professore, dell’assessore, ai quali chiedono “per chi o per cosa dobbiamo votare?”. Per questo, cortesi lettori, io che, parafrasando Immanuel Kant, credo che l’uso della Ragione sia veramente “l’ultima pietra di paragone con la verità”, vi dico: svegliatevi, cominciate a ragionare, diventate padroni della vostra volontà, non affidate il vostro potere in mani altrui, siate voi a tessere il filo della vostre scelte, solo così diventeremo grandi, solo così infine, riferendomi al titolo di uno splendido quadro del pittore torinese Giuseppe Pietro Bagetti, al notturno che sovente oscura le menti, potremo noi stessi dipingere, effetti di luna.
Pubblicato a giugno 2005 su L’Indice – Mensile di approfondimento della Penisola Sorrentina
(Un accenno di rilettura, in chiave poetico-letteraria, dell’attuale situazione greca)
Nella storia della letteratura mondiale vi è un capolavoro assoluto, scritto e pubblicato tra il 1797 e il 1799 da Johann Christian Friedrich Hölderlin (foto a sinistra). Un testo la cui tensione poetica non è inferiore a quella di opere di autori come Dante Alighieri e William Shakespeare, considerati, dai più, insuperabili. Si tratta di Iperione o l’eremita in Grecia (Hyperion oder der Eremit in Griechenland). In esso, è narrata la storia del giovane eponimo greco il quale, tornato nella sua terra e trovatavi una situazione sociale e politica catastrofica, scrive all’amico Bellarmino, rimasto in Germania, raccontandogli le sue esperienze. Iperione vive nella metà del XVIII secolo nella Grecia Meridionale, immerso nella natura, dove, introdotto dal saggio pedagogo Adamas al mondo eroico di Plutarco e a quello incantato delle divinità greche, si appassiona alle antichità del suo Paese. Più tardi, conosce Alabanda, unico a condividere le idee riguardo un progetto di liberazione della sua patria, pur non accettandone, tuttavia, la visione sul ruolo dello Stato. A Kalaurea, incontra, poi, Diotima, della quale finisce per innamorarsi e che, durante un viaggio, di fronte alle rovine di Atene, gli infonde la forza per tramutare i suoi ideali in azione. Il giovane, così, partecipa alla guerra di liberazione della Grecia dai turchi. Le battaglie, però, lo cambiano nel profondo: viene ferito gravemente, Alabanda è costretto a fuggire perché ricercato e una lettera gli annuncia la morte di Diotima, consunta dal dolore, avendolo creduto morto. Iperione vaga senza meta e senza piani. In Sicilia, alle pendici dell’Etna e, poi, in Germania. Decide, infine, di tornare in Grecia, dove vive in eremitaggio, riscoprendo, malinconicamente, quella bellezza della natura, nella quale, adesso, risuona la voce dell’amata Diotima. Riesce, così, a superare la tragicità della sua solitudine. La meravigliosa poesia di quest’opera insegna ad amare la Grecia, terra dal cui spirito e da quello del cui popolo, parafrasando un altro grande connazionale di Hölderlin, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, è nata tutta la nostra civiltà occidentale. È chiaro come i tedeschi dell’XVIII-XIX secolo amassero tanto la Grecia. Perché, mi chiedo, non fanno lo stesso quelli di oggi, a cominciare dalla loro Cancelliera?
“Amanti delle buone maniere, gente per la quale l’apparenza è tutto, voi che vi industriate per far bella figura ogniqualvolta vi troviate in compagnia di uomini e donne perbene, voi che avete a cuore l’esser composti ed educati, voi che vorreste una guida per non far la figura degli zotici quando siete invitati ad una cena di gala, aprite bene le orecchie, anzi gli occhi, e leggete con attenzione quanto segue: vi parlerò del Galateo, ovvero di quell’insieme di regole che vi permetteranno di presentare voi stessi quali degni membri della società civile civilizzata!”.
Giovanni Della Casa nacque, forse al Mugello, forse a Firenze, nel 1503. Studiò nel capoluogo toscano e a Bologna, intraprendendo, poi, la carriera ecclesiastica, l’unica che, allora come oggi, gli permise di vivere da vero signore senza far praticamente nulla. Per dar valore a questa sua scelta scrisse pure un trattatello, An uxor sit ducenda (Se sia buono prender moglie), con risposta, ovviamente, scontata. Fu arcivescovo di Benevento e nunzio apostolico a Venezia, dove se la spassò alla grande, nel suo palazzo sul Canal Grande, in cui si circondò di nobili, poeti, artisti e belle donne, da una delle quali ebbe anche un figlio, in barba dell’arcivescovato. Per fare ammenda dei suoi peccati, espiandoli, però, sulla pelle dei poveruomini, introdusse i Tribunali della Santa Inquisizione in Veneto e si occupò personalmente dei primi processi contro i protestanti. Aspirò per tutta la vita alla porpora cardinalizia, che non ottenne mai, probabilmente a causa dei suoi trascorsi troppo salottieri, festaioli e goderecci. Morì a Roma nel 1556.
Il Galateo
Data la sua vicenda esistenziale, quindi, chi meglio di quest’uomo avrebbe potuto scrivere un saggio sul comportamento da tenere in società? Quest’opera fu composta tra il 1551 e il 1556 ed ebbe immediatamente grande successo – i “fissati” e i “vacui” esistevano già a quell’epoca! Il titolo completo è: “Trattato di Messer Giovanni Della Casa, nel quale sotto la persona d’un vecchio idiota ammaestrante un suo giovinetto, si ragiona dei modi che si debbono o tenere o schifare nella comune conversazione, cognominato Galateo ovvero dei costumi“. Il titolo “Galateo” deriva dal nome del vescovo di Sessa Aurunca, Galeazzo (in latino Galatheus) Florimonte, il quale, stimata l’esperienza del Della Casa in quell’ambito, gli consigliò di scriverci un trattato. Eccovi alcune regole:
(III) Percioché non solamente non sono da fare in presenza degli uomini le cose laide o fetide o schife o stomachevoli, ma il nominarle anco si disdice; e non pure il farle et il ricordarle dispiace, ma eziandio il ridurle nella imaginazione altrui con alcuno atto suol forte noiar le persone. E perciò sconcio costume è quello di alcuni che in palese si pongono le mani in qual parte del corpo vien lor voglia. Similmente non si conviene a gentiluomo costumato apparecchiarsi alle necessità naturali nel conspetto degli uomini; né, quelle finite, rivestirsi nella loro presenza; né pure, quindi tornando, si laverà egli per mio consiglio le mani dinanzi ad onesta brigata, conciosiaché la cagione per la quale egli se le lava rappresenti nella imaginazion di coloro alcuna bruttura. E per la medesima cagione non è dicevol costume, quando ad alcuno vien veduto per via (come occorre alle volte) cosa stomachevole, il rivolgersi a’ compagni e mostrarla loro. E molto meno il porgere altrui a fiutare alcuna cosa puzzolente, come alcuni soglion fare con grandissima instanzia, pure accostandocela al naso e dicendo: “Deh, sentite di grazia come questo pute!” Anzi doverebbon dire: “ Non lo fiutate, percioché pute”.
(V) Dèe adunque l’uomo costumato guardarsi di non ugnersi le dita sì che la tovagliuola ne rimanga imbrattata, perciò che ella è stomachevole a vedere; et anco il fregarle al pane che egli dèe mangiare, non pare polito costume.
(VI) Per che non si dèe dire né fare cosa per la quale altri dia segno di poco amare o di poco apprezzar coloro co’ quali si dimora.
(XI) Nel favellare si pecca in molti e varii modi, e primieramente nella materia che si propone, la quale non vuole essere frivola né vile, perciò che gli uditori non vi badano e perciò non ne hanno diletto, anzi scherniscono i ragionamenti et il ragionatore insieme.
(XVIII) D’altrui né delle altrui cose non si dèe dir male, tutto che paia che a ciò si prestino in quel punto volentieri le orecchie, mediante la invidia che noi per lo più portiamo al bene et all’onore l’un dell’altro; ma poi alla fine ogniuno fugge il bue che cozza, e le persone schifano l’amicitia de’ maldicenti, facendo ragione che quello che essi dicono d’altri a noi, quello dichino di noi ad altri.
(XXX) Non si dèe alcuno spogliare, e spetialmente scalzare, in publico, cioè là dove onesta brigata sia, ché non si confà quello atto con quel luogo, e potrebbe anco avenire che quelle parti del corpo che si ricuoprono si scoprissero con vergogna di lui e di chi le vedesse.
Nonostante il comportamento perfetto sia, in ogni caso, difficile da realizzare, a monsignor Della Casa va riconosciuto almeno il merito di aver provato a ingentilite i suoi contemporanei e quanti, nei secoli a venire, si siano accostati alla sua opera, traendone modelli da seguire per essere più chic.
Dal 1° Maggio 2015 entrerà in vigore la NASpI (Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego), la nuova indennità di disoccupazione prevista dal Jobs Act, che andrà a sostituire i vecchi sussidi, ASpI (Assicurazione Sociale per l’Impiego)e mini-ASpI, introdotti con la Legge n. 92 del 2012 (Riforma Fornero). A cambiare è praticamente tutto: la platea dei destinatari, i requisiti d’accesso, il calcolo e la durata dell’indennità, i termini di presentazione della domanda e le regole sulla compatibilità con un nuovo lavoro o attività. Il nuovo assegno sarà esteso a tutti coloro che perderanno il lavoro (ad esclusione di dipendenti a tempo indeterminato della P.A. e operai agricoli a tempo determinato o indeterminato), quindi, anche a precari e collaboratori a progetto che non potevano accedere alle vecchie prestazioni ASpI e mini-ASpI, a patto che posseggano tutti e tre i seguenti requisiti:
siano in stato di disoccupazione (ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera c, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni);
possano far valere, nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione, almeno tredici settimane di contribuzione;
possano far valere trenta giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione.
Il testo, inoltre, specifica che il lavoratore deve partecipare ai percorsi di riqualificazione professionale previsti e prender parte alle iniziative di ricollocazione. La misura dell’indennità sarà rapportata alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni, divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per 4,33. In quei casi in cui la retribuzione mensile sia pari o inferiore, nell’anno 2015, all’importo di 1.195 euro (rivalutato annualmente sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo intercorsa nell’anno precedente), la nuova disoccupazione è pari al 75% della retribuzione mensile. Nei casi in cui la retribuzione mensile sia superiore all’importo di cui sopra, l’indennità è pari al 75% del predetto importo, incrementato di una somma pari al 25% della differenza tra la retribuzione mensile e il predetto importo stesso. Nuovi anche i massimali: nel 2015, l’assegno mensile non potrà superare l’importo di 1.300 euro, anch’esso rivalutato annualmente sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo. Diversa anche la progressione nel tempo: la NASpI si riduce del 3% ogni mese successivo al terzo, l’ASpI, di contro, scendeva del 15% dopo i primi sei mesi e di un ulteriore 15% dopo il primo anno. Venendo alla nota dolente della riforma, soprattutto per i lavoratori stagionali che risultano essere i più penalizzati dalla stessa, il decreto legislativo che introduce la NASpI prevede, all’art. 5, che il nuovo sussidio di disoccupazione sia corrisposto “mensilmente, per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni. Ai fini del calcolo della durata, non sono computati i periodi contributivi che hanno già dato luogo ad erogazione delle prestazioni di disoccupazione. Per gli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1° gennaio 2017 la NASPI è corrisposta per un massimo di 78 settimane”. Come si comprende limpidamente, la durata della nuova NASpI è pari alla metà delle settimane lavorate durante l’anno precedente al momento della disoccupazione. In tale calcolo, tuttavia, non si tiene conto dei periodi contributivi per i quali è già stata erogata una prestazione di disoccupazione. Nel caso dei lavoratori stagionali, ciò implica (assumendo come esempio di riferimento il caso di un lavoratore che risulta occupato per soli sei mesi in un anno) che saranno considerati utili ai fini del calcolo per la durata del sussidio, i soli sei mesi lavorati nel 2015 e non anche quelli precedentemente lavorati nel 2014 i quali, nella maggior parte dei casi, sono già stati utilizzati l’anno precedente per accedere al sussidio della mini-ASpI. In tal modo, per i lavoratori stagionali si prevede una sensibile riduzione del sussidio di disoccupazione che diventerà pari alla metà dei soli mesi lavorati nel 2015 e, quindi, sarà erogato per tre mesi, mentre, con la mini-ASpI, il sussidio poteva essere percepito per sei mesi, poiché il calcolo delle settimane lavorate era spalmato sugli ultimi due anni di contribuzione. A seguito del sollevarsi delle prime polemiche, legate ai lavoratori stagionali come destinatari di NASpI, è arrivata una ulteriore precisazione da parte del Ministero del Lavoro: i periodi senza contribuzione, da parte del datore di lavoro o di cassa integrazione a zero ore, sono considerati “neutri e determineranno un ampliamento, pari alla loro durata, del quadriennio all’interno del quale ricercare il requisito necessario di almeno tredici settimane di contribuzione”. Lo stesso principio del valore neutro vale anche per il requisito delle trenta giornate di lavoro effettive negli ultimi dodici mesi. Il Ministero conclude informando che tutti gli aspetti controversi saranno chiariti nella circolare attuativa della NASpI che sarà emanata a breve dall’INPS. Ciò che è indubbio, per il momento, è che i lavoratori stagionali perderanno tre mesi di sussidi di disoccupazione, una penalizzazione che, considerato anche lo specifico settore lavorativo, richiede una revisione urgente da parte del legislatore o, comunque, della Previdenza. Ancora più certa è la direzione presa da questo Governo, cosi come dai precedenti: nonostante gli apparenti buoni propositi, si continuano a fare giochetti contabili sulla pelle dei ceti meno abbienti, smantellando, un pezzetto alla volta, quel che resta del nostro Stato sociale. “Ci pisciano in testa e ci dicono che piove!”.
Giuseppe De Simone
Non appena sarà emanata la circolare dall’INPS, aggiornamenti sulla questione saranno immediatamente comunicati ai lettori del blog.
Many people all around the world wish Jimmy, Robert and John Paul, and not the lady of their most famous song, bought a stairway to heaven to let the fans go up there along with them. Led Zeppelin will be soon again on the stage. This crashing event will take place on the 10th of December at O2 Arena in London, twenty-seven years after that morning of September, when John “Bonzo” Bonham, the powerful drummer of the band, was found dead bringing to a conclusion the unwitting adventure of four lads in love with music and after some reunion all along these past years. John Paul Jones, Jimmy Page, Robert Plant and John Bonham’s son, Jason, (photo on the side) will be on the stage again. Those who were young in the Seventies, surely will be excited, remembering not only the golden age of rock, but also a season of passions and youthful thoughtlessness. Led Zeppelin aren’t a myth only for now old generation, in fact many youths love them and listen to their music although it is so different from the present one because their appeal has remained unchanged. To prepare the ground for this stunning concert, on the 12th on November it’s been released Mothership, a triple CD plus DVD that retraces their complete carrier through their unforgettable songs. The Led Zeppelin story, started up in 1968 from the ashes of the Yardbirds, for which guitarist Jimmy Page had served as lead guitarist after Eric Clapton and Jeff Beck. Bassist John Paul Jones also boasted a lofty session musician’s pedigree. Singer Robert Plant and drummer John Bonham came from Birmingham, where they’d previously played in the Band of Joy. The Zep’s members were musical sponges, often traveling the world – literally traipsing about foreign lands and figuratively exploring the cultural landscape via their record collections – in search of fresh input to trigger their muse. The group’s use of familiar blues-rock forms spiced with exotic flavors found favor among the rock audience that emerged in the Seventies. Led Zeppelin aimed itself at the album market, eschewing the AM-radio singles orientation of the previous decade. Their self-titled first album found them elongating blues forms with extended solos and psychedelic effects, most notably on the agonized Dazed and Confused, and launching pithy hard-rock rave-ups like Good Times Bad Times and Communication Breakdown. Led Zeppelin II found them further tightening up and modernizing their blues-rock approach on such tracks as Whole Lotta Love, Heartbreaker and Ramble On.Led Zeppelin III took a more acoustic, folk-oriented approach on such numbers as Leadbelly’s Gallows Pole and their own Tangerine, yet they also rocked furiously on Immigrant Song and offered a lengthy electric blues, Since I’ve Been Loving You. The group’s untitled fourth album (a.k.a. Led Zeppelin IV or The Runes Album, or ZOSO), which appeared in 1971, remains an enduring rock milestone and their defining work. The album was a fully realized hybrid of the folk and hard-rock directions they’d been pursuing, particularly on When the Levee Breaks and The Battle of Evermore. Black Dog was a pile driving hard-rock number cut from the same cloth as Whole Lotta Love. Most significant of the album’s eight tracks was the fable-like Stairway to Heaven, an eight-minute epic that, while never released as a single, remains radio’s all-time most-requested rock song. Houses of the Holy, Zep’s fifth album, were another larger-than-life offering, from its startling artwork to the adventuresome music within. Even more taut, dynamic and groove-oriented, it included such Zeppelin staples as Dancing Days, The Song Remains the Same and D’yer Mak’er. They followed with the Physical Graffiti, a double-album assertion of group strength that included the Trampled Underfoot, Sick Again, Ten Years Gone and the lengthy, Eastern-flavored Kashmir. Led Zeppelin’s sold-out concert tours became rituals of high-energy rock and roll theater. The Song Remains the Same, a film documentary and double-album soundtrack from 1976, attests to the group’s powerful and somewhat saturnalian appeal at the height of their popularity. The darker side of Zep’s – their reputation as one of the most hedonistic and indulgent of all rock bands – is an undeniable facet of the band’s history. In the mid-to-late Seventies, a series of tragedies befell and ultimately broke up Led Zeppelin. A 1975 car crash on a Greek island nearly cost Plant his leg and sidelined him (and the band) for two years. In 1977, Plant’s six-year-old son Karac died of a viral infection. The group inevitably lost momentum, as three years passed between the release of the underrated Presence (1976) and In Through The Out Door, their final studio album (1979). On September 25th, 1980, while in the midst of rehearsals for an upcoming American tour, Led Zeppelin suffered another debilitating blow. The last one! John Bonham was found dead due to asphyxiation, following excessive alcohol consumption. Feeling that he was irreplaceable, they disbanded. Now the story comes back to the present time in which Jason, Bonham’s son, will replace his father as a drummer for the concert of the 10th of December. Only twenty thousand lucky fans have the ticket to attend this unmissable event because of the sits of the O2 Arena and someone of them has surely paid a lot of pounds to catch the only-in-a-life chance to see one of the most famous rock bands of the world. Browsing in internet, is it possible find out tickets, but how many people can spend from £ 1,700 up to £ 2,200 for a ticket? To many fans does not stay what to dream of being in the O2 Arena and try to reach not a ticket, but a stairway that since 1968 is going up to the heart of the music.
Il termine guerra fredda è stato coniato dal giornalista americano Walter Lippman per descrivere la situazione, presente a livello mondiale, in seguito all’esplosione della bomba atomica ad Hiroshima. La fine della Seconda guerra mondiale segnò il declino dell’egemonia europea sul mondo. Le due reali potenze vincitrici, ciascuna detentrice di una propria ideologia e di una propria promessa di benessere universale, risultarono essere gli USA e l’URSS, destinate a dominare gli equilibri mondiali del dopoguerra. Il modello statunitense si fondava sul capitalismo e sull’affermazione dell’economia di mercato su scala mondiale, mentre il modello di origine sovietica (socialismo), basato sulla filosofia marxista, prevedeva una lotta di classe sul piano internazionale, ovvero, uno scontro fra Paesi proletari e Paesi capitalisti. Durante il periodo degli anni ’50, noto, appunto col termine di guerra fredda, i due modelli e i relativi progetti di egemonia si fronteggiarono su scala planetaria. Si definì guerra, per la contrapposizione tra i contendenti e la mobilitazione militare sviluppatasi all’interno dei Paesi coinvolti, fredda, perché le armi prodotte e accumulate in realtà non furono utilizzate. Ciascuna delle due potenze possedeva armamenti distruttivi e sofisticati, sia convenzionali che nucleari. La competizione nell’accumulo di tali armi sostituì il loro uso effettivo e garantì il mantenimento dell’equilibrio. Tali armi, quindi, ebbero, principalmente, una funzione di dissuasione: minacciare l’avversario in modo da impedirgli qualsiasi azione aggressiva. Come affermato dal politologo francese Raymond Aron, la guerra fredda, tuttavia, vide anche l’utilizzo di altre armi: strumenti di persuasione e di sovversione. I due strumenti di persuasione furono rappresentati dalla diplomazia e dalla propaganda, basata, quest’ultima, su un uso spregiudicato dei mezzi di comunicazione di massa, tra cui la radio, e finalizzata a condizionare l’opinione pubblica dei Paesi avversari. La sovversione, invece, utilizzò strumenti clandestini, per infiltrarsi nell’area dell’avversario e minarne le capacità di controllo: ne sono esempi la CIA (agenzia americana di intelligence, cioè di spionaggio e controspionaggio), e il KGB (agenzia sovietica di spionaggio e controspionaggio, interno e internazionale). Il periodo compreso tra il 1945 e gli anni ‘70 fu contrassegnato da una situazione di mobilitazione psicologica, economica e politica, come in precedenza si era verificata solo in periodi di guerra. Nel blocco sovietico, la mobilitazione consistette in una restrizione permanente delle libertà fondamentali, al fine di contrastare la minaccia imperialista; nel blocco occidentale, invece, nell’anticomunismo, con pesanti misure repressive, che portarono all’estromissione dal pubblico impiego di tutti i sospetti simpatizzanti comunisti (una vera caccia alle streghe!) e alla repressione delle minoranze, a partire dai neri, potenzialmente sovversive. Il periodo della guerra fredda presentò diverse fasi: una prima fase di guerra fredda vera e propria, 1947 ai primi anni ‘60, una seconda fase di distensione, dagli anni ‘60 ai primi anni ’70, e una terza fase di tensione internazionale, successiva al 1973.
IL BLOCCO SOVIETICO
Nel dopoguerra, l’URSS era presente, militarmente, nei Paesi dell’Europa orientale, distrutti dalla guerra e che aveva liberato dal nazismo, ma, nello stesso tempo, rappresentava il Paese maggiormente devastato economicamente e demograficamente. Quindi, per garantire la propria sicurezza e la propria ripresa economica, creò una sfera di influenza su quei Paesi, caratterizzati da un regime analogo al socialismo. Il piano sovietico, nel periodo 1945-48, si basò sull’idea delle cosiddette democrazie popolari. I Paesi interessati non passarono direttamente al socialismo (stato a partito unico, collettivizzazione dell’agricoltura, nazionalizzazione dell’economia) ma attraversarono una fase transitoria, che vide insediarsi governi di coalizione, nei quali, il partito comunista assumeva un’influenza superiore rispetto agli altri e avviava una progressiva introduzione di elementi di socialismo. Nel 1947, tale progetto gradualistico di controllo sui Paesi orientali subì una brusca svolta, dovuta all’offerta americana di estendere ad essi gli aiuti del Piano Marshall. Questo progetto di finanziamento alla ricostruzione dei Paesi distrutti dal conflitto, interessò numerosi governi dell’Europa orientale e, in tal modo, l’egemonia economica statunitense minacciò di estendersi oltre l’Elba. Andrej Zdanov, stretto collaboratore di Stalin e presidente del Soviet supremo (organo legislativo dell’URSS) definì il Piano Marshall, durante un discorso pronunciato a Varsavia, in occasione del convegno di fondazione del Cominform (organismo che prese il posto del Comintern, cioè la Terza Internazionale), “un’arma dei disegni imperialistici americani“. Invitò, pertanto, tutti i Paesi amici dell’URSS ad opporvisi. Nello stesso 1947, si verificò un grave dissidio tra URSS e Jugoslavia, la quale mirava alla costruzione di un regime socialista autonomo e non direttamente condizionato dall’influenza sovietica. Tale contrasto comportò una rottura clamorosa nella sinistra internazionale e nelblocco sovietico. Nel blocco sovietico nacquero regimi di tipo staliniano, in Cecoslovacchia fu soppresso, nel 1948, il governo di coalizione e il leader comunista Klement Gottwald assunse la presidenza della Repubblica, guidando la trasformazione del Paese in una democrazia popolare, in cui non era previsto il pluralismo dei partiti. In altri Paesi, il regime a partito unico si impose, di fatto, salvaguardando (Polonia e Ungheria) la facciata di partiti socialdemocratici o contadini. Tra il 1948 ed il 1953, si potenziò il controllo sovietico sui Paesi satelliti dell’URSS. Sul piano economico, si assistette alla nascita del Comecon (1949), un organismo centralizzato di coordinamento, che comportò la chiusura degli scambi con l’Occidente e favorì lo sviluppo dell’URSS. Sul piano politico, ebbe luogo il processo già avvenuto in URSS: in Ungheria (processo Rajk), così come in Cecoslovacchia (processo Slansky) si effettuarono grandi purghe di comunisti, che il regime reputava eccessivamente nazionalisti. Fu, così, negata, all’interno dei partiti comunisti, qualsiasi possibilità di dibattito. Nel 1953, si verificò la prima crisi politica del blocco sovietico, pochi mesi dopo la morte di Stalin, avvenuta nel mese di marzo. La prima rivolta in cui i lavoratori manifestarono contro le proprie misere condizioni di vita, fu a Pilsen (Cecoslovacchia), seguita da Berlino Est, capitale della Germania Orientale (Repubblica Democratica Tedesca). Nel 1955, il Patto di Varsavia comportò un potenziamento delle alleanze militari tra gli stati dell’Europa orientale, nei quali la leadership sovietica tentò una sorta di liberalizzazione. Si concesse, quindi, qualche spazio a leader emergenti (Imre Nagy, in Ungheria), si ridimensionarono i capi di stato più compromessi e si intraprese una graduale riconciliazione con la Jugoslavia.
L’EUROPA NEL 1956:NATO E PATTO DI VARSAVIA. IL SISTEMA DI ALLEANZE AMERICANO
Durante gli anni ‘40 e i primi anni ’50, gli USA realizzarono un sistema di alleanze politiche, militari ed economiche, mirato a contrastare la minaccia comunista e a risolvere il problema del declino degli imperi coloniali e della trasformazione degli equilibri economici, presenti a livello mondiale. Nei primi anni del dopoguerra, gli USA diventarono il Paese-guida di uno dei due grandi blocchi, formatisi contemporaneamente durante quel periodo: il blocco sovietico e il blocco occidentale, entrambi aspiranti ad ottenere l’egemonia planetaria. A partire dal 1947, la politica di contenimento del comunismo, lanciata dal presidente Harry Truman, permise agli USA di abbandonare l’isolazionismo e fu ritenuta la più idonea a realizzare, nella migliore maniera, gli interessi economici e politici americani. Si aprì, così, una fase in cui, negli USA, politica estera e finanza si muovevano di pari passo. Il 5 giugno 1947, il Segretario di Stato americano, GeorgeMarshall, annunciò il Programma per la ripresa economica europea (ERP), destinato a fornire aiuti economici per i Paesi europei, per oltre 13 miliardi di dollari: tale Programma è conosciuto con il nome di Piano Marshall. Il piano, originariamente ideato per favorire anche l’Unione Sovietica e la sua crescente sfera di influenza, prevedeva che l’offerta di aiuto economico all’URSS fosse accompagnata da un cambio di politica, comportando, quindi, negli anni immediatamente successivi al lancio del piano, una netta rottura tra i due blocchi. Il Piano Marshall, tuttavia, non aveva soltanto un fine economico, quanto anche politico: mirava, infatti, a far crescere, all’interno dei Paesi europei, l’influenza dei gruppi politici moderati, a discapito di quelli comunisti, e auspicava di ottenere una riconciliazione con la Germania (privata della sua parte orientale). A distanza di due anni nacque un’alleanza militare tra gli USAe i Paesi Europei ad ovest di Trieste: l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO). Con la progressiva fine del colonialismo e la conseguente dissoluzione degli imperi coloniali, si temeva un allargamento della sfera di influenza sovietica. Sulla base di questa situazione, la politica degli USA prevedeva di non intervenire nelle aree di rivolta considerate meno rischiose (Nordafrica e India), di convincere Gran Bretagnae Francia ad aprire le loro aree imperiali al commercio internazionale, a potenziare la propria influenza economica e politica a livello europeo e mondiale, come in Grecia e in America Latina, unita agli USA, dal 1948, nell’Organizzazionedegli Stati Americani, e di sostenere il colonialismo nelle aree a rischio di espansione del comunismo (colonie francesi dell’Indocina). In seguito alla vittoria del comunismo in Cina, avvenuta alla fine degli anni ‘40, gli USA costruirono, in Asia orientale, un sistema di alleanze politico-militari più complesso e agguerrito di quello creato in Europa, finalizzato a contenere il comunismo. In Giappone, inizialmente occupato dalla potenza americana al fine di disarticolare le basi economiche, politiche e ideologiche del militarismo nipponico, e come forma punitiva per la guerra, si passò, dal 1948-49, durante il governatorato di Douglas MacArthur, ad una politica di incoraggiamento della ripresa economica analoga a quella prevista dal Piano Marshall. A cinque anni da Hiroshima, Giappone e USA passano da Paesi nemici a stretti partner economici e politici. In molti Paesi asiatici, attraversati dalla crisi del colonialismo, gli USA tentarono di sperimentare una soluzione analoga a quella adottata in Germania: la Corea fu divisa in una Repubblica Democratica Socialista (Nord) e in una Repubblica di Corea (Sud), fortemente sostenuta dall’aiuto economico e militare americano; il Vietnam, dopo il 1954, fu suddiviso in Repubblica Democratico-Socialista, al nord, e in uno stato filoamericano al sud; in Cina, dopo la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese, a Pechino, gli USA tentarono di sostenere economicamente la Repubblica Cinese, insediatasi nell’isola di Taiwan, come unica vera rappresentante del popolo cinese. Questa politica aveva l’obbiettivo di opporre al comunismo degli stati socialisti, nati per via rivoluzionaria nei Paesi colonizzati, un sano nazionalismo asiatico, ispirato ad un modello di Stato nazionale libero (in realtà, quasi sempre dittatoriale).
Salvatore Di Giacomo, in tutta la sua opera, ha espresso il senso drammatico e gioioso insieme, che caratterizzava l’anima del popolo napoletano e le bellezze naturali della città partenopea. E’ stato capace di raccogliere quei colori, quella musicalità e quella poesia, tipicamente napoletani, sui fogli di carta prima e, poi, musicati da compositori, negli spartiti musicali. Prostituzione, malavita, miseria, bassi, vicoli, umanità sofferente, umanità gioiosa, amore, passione, vi erano rappresentati con una vivacità quasi teatrale. Il sapiente uso del dialetto, così dolce e musicale, tuttavia, perfettamente vero e veridico, faceva di un raffinato intellettuale, un piccolo borghese che si calava nello spirito e nell’anima di un popolo e ne diventava cantore, con un realismo senza pari, esprimendo, nei versi, le sfumature e le sfaccettature peculiari di una plebaglia, di quel ventre di Napoli (Matilde Serao), che, così, acquistava dignità poetica. La grandezza e l’importanza dell’opera di Di Giacomo, rispetto al popolo napoletano, è stata duplice: da un lato, proprio per la sua condizione di piccolo borghese, stupiva la capacità descrittiva di un mondo che doveva, per nascita, per storia personale e per educazione, non appartenergli, ma che, evidentemente, sentiva visceralmente suo; dall’altro, il lascito poetico, divenuto lo specimen di quel mondo. Nessun altro aveva saputo, fino agli inizi del Novecento, diventare un così abile e mirabile testimone poetico del popolo napoletano. La poetica di Di Giacomo risentiva, certamente, degli influssi del Verismo, il movimento letterario che, ispirandosi al Naturalismo francese, aveva pervaso la letteratura italiana della seconda metà dell’Ottocento. L’Autore, comunque, aveva interpretato il Verismo o, meglio, lo aveva adattato alla propria sensibilità, alla propria condizione e all’ambiente, nel quale si era trovato a vivere. Di Giacomo, infatti, rispetto a Giovanni Verga, maggiore esponente del Verismo, il quale riproduceva la realtà in modo diretto, crudo, impersonale, tale da rendere i suoi personaggi protagonisti di storie volte a mostrare quadri di decadenza, di fallimento, di impotenza, nei confronti degli eventi, ancorché di passiva e fatale accettazione degli stessi, tratteggiava, dipingeva i suoi personaggi e le loro storie con la fresca aria del mattino, con i raggi tenui della luna, con una petrarchesca idealizzazione di tipi e di modi, che sembravano cristallizzati in una realtà fuori dal tempo, grazie all’uso del dialetto napoletano, dolce e raffinato, il cui impiego aveva lo scopo non della mera rappresentazione, quanto piuttosto del vero che diventa musica, timbro, colore e sensazione, alla maniera dei pittori impressionisti. Il Verismo diciacomiano non era un Verismo dall’interno, non era la voce diretta del reale che agiva, ma era lo sguardo dell’autore su quelle azioni. Nella poesia di Di Giacomo, era senza dubbio il reale a produrre l’evento e il movimento della storia, ma era l’autore a darne contezza, inevitabilmente, riproducendolo attraverso il suo vissuto e la sua visione del mondo. Ciò era antitetico al modus scribendi schiettamente verista (Giovanni Verga, Luigi Capuana, Federico De Roberto), nel quale l’autore diventava mero narratore di realtà che erano completamente al di fuori di esso e senza alcun contatto con esso. Per quanto riguarda il rapporto con le donne, pur volendo attribuire una fortissima valenza al legame di Di Giacomo con la madre (si sarebbe sposato tardi, nel 1916, dopo la morte della madre), non era divenuto così totalizzante nella sua visione della donna e nel suo rapporto con essa. Si poteva ipotizzare una incapacità, da parte del poeta, di sostituire, nel suo cuore, l’immagine della madre, con quella di un’altra donna, in grado di occupare un posto altrettanto importante. Con il rischio, tuttavia, di giudicare le donne cantate dal poeta nient’altro che la stessa rappresentazione, con caratteri diversi, della madre. Quelle donne, quindi, sarebbero state figure femminili fittizie, meri artifici della sua poesia. C’era anche chi, tra gli stessi amici e colleghi, leggeva la presenza delle donne, nell’opera digiacomiana, come strettamente collegata al suo concetto di amore. Le donne, in Di Giacomo, diventavano lo strumento con il quale il poeta offriva se stesso e i suoi sentimenti al mondo, rappresentando l’amore nei suoi molteplici aspetti, tutti umani. In questo caso, la stessa varietà delle figure femminili di Di Giacomo rifletteva l’umanità del suo sentimento amoroso, che si manifestava inquieto, instabile, dispettoso e a tratti doloroso. L’amore era intenso, malinconico e perduto nelle tante sfaccettature della vita quotidiana. Le donne e l’amore, in Di Giacomo, erano l’aspirazione alla personificazione, non cosciente, di un desiderio molto più complesso: ricercare e concentrare l’essenza dell’umanità. Quasi una galleria-museo, dove erano esposti i diversi quadri dell’amore, tutti rappresentati attraverso donne diverse, con storie diverse, con passioni diverse. Donn’Amalia ’a Speranzella, la donna colta nell’atto di friggere le frittelle e l’osservatore che l’ammirava, desideroso della sua bellezza; Zì munacella, una ragazza che, per salvare il suo innamorato, condannato a morte per aver commesso un delitto passionale, si faceva monaca, senza sapere che quel delitto non era stato consumato per lei, ma per un’altra donna; Palomma ‘e notte, una donna-farfalla, la quale, per esercitare la propria libertà, rischiava di bruciarsi: Carolina era come una farfalla che girava e rigirava intorno a una candela che la attraeva, come se fosse stata un fiore, nonostante il poeta la mettesse in guardia dal prendere fuoco; ‘E ttrezze e Carulina, dove il poeta, con dispetto, esortava il pettine della donna desiderata a strapparle tutti i capelli, lo specchio nel quale ella si mirava ad appannarsi, le lenzuola ad infuocarsi e pungere le sue carni, le piante sul tetto della casa a farsi trovare seccate. Ma, poi, il poeta si mostrava felice di constatare che, nella realtà, avvenisse il contrario. Le donne, in Di Giacomo, assumevano, però, anche caratteri cupi, che le legavano al concetto di morte. La dolce sensibilità del poeta, il suo carattere fragile e mite, capace di soffrire e di far soffrire, e la sua paura del mondo, si esprimevano proprio in queste immagini di donne e morte, donne e dolore, come “Carmela”, ormai sposata, che sembrava aver dimenticato il primo amore, raccontato in un crescendo di ricordi e di gesti; come Tarantella scura, in cui veniva narrata una vicenda di vita e di sangue, o, ancora, in Femmene, femmene!, dove le donne prima ammaliavano e, poi, facevano disperare.
One in three young people living in cities throughout UK thinks it is acceptable to carry a knife in self-defence because violence is so rife. Teenagers and twenty-somethings have lost faith in politicians, the police or schools to protect them and increasingly believe they need to be armed to defend themselves against people of their own age. Nearly half said they knew someone who had been a victim of knife crime. A national advertising campaign is going to be launched, aimed at teenagers who carry knives for protection, warning that doing so makes them more likely to be stabbed. Parents, especially mothers, will also be targeted by ads in women’s magazines urging them to talk to their children about the risk of carrying weapons. However, experts warned that unless children can be made to feel safer on the streets, they are unlikely to give up their weapons. There is a picture of young people completely taking it for granted that guns and knives and violence is a kind of everyday part of their landscape. The scale of violence against lads has been revealed in new figures which show that in England an average 58 youngsters a day are being admitted to hospital after being deliberately injured. The numbers suggest that the incidence of intentional harm against youngsters may be rising. Aggression is a feature of behaviour that may be an element of youngsters’ need to be looked after, and trying to understand some of the causes of this are important. It is helpful for parents and carers to have strategies for dealing with violent or aggressive confrontations, should they arise. This can apply equally to younger children and older adolescents. Youngsters may well have experienced aggression, humiliation, or helplessness at home or school during their childhood. Circumstances that are threatening create feelings of fear and insecurity, and may well provoke an aggressive response. Fear of humiliation or a sense of being ignored, undervalued or misunderstood, with feelings of low self esteem, may be countered by strong aggressive reactions. Other youngsters may respond by becoming withdrawn and uncommunicative. Youngsters may have experienced adults who are not able to handle complex and difficult situations and have resorted to outbursts of temper, destructive behaviour or domineering means of control. Aggression is one of the identified products of frustration and helplessness. Parents and carers should be aware that when faced by challenging behaviour, their own feelings of anger may result from not knowing what to do that is, frustration and helplessness. Sometimes, aggression is used to cover up feelings of depression. In some rare cases, aggressive behaviour may have an organic cause, or may be evidence of a psychopathic disorder. In a indictment of the UK’s drinking and gangs culture among disaffected young people, police officers are fighting a constant battle against anti-social behaviour and alcohol-fuelled violence which needed greater support from parents. Most of the bad behaviour is fuelled by alcohol, much of it supplied by adults, including some parents. A hard core of parents turn a blind eye to the fact that their youngsters are out there, drinking under age and congregating in places where they cause nuisance to others. Groups of young people gather sometimes in large numbers and police officers constantly break the groups up, seize alcohol and send youngsters home to parents but police could not do it alone. All parents have a responsibility to make sure that they eradicate the problems caused by groups of youths, who intimidate and threaten people and same age boys. Whatever the causes, it is necessary to remedy this dangerous situation.
“La vera storia dell’affaire Casa di Riposo a Massa Lubrense”
Dramma satiresco, molto sui generis, in forma narrativa, in atto unico, con interpolazioni morali.
Autore: Riccardo Piroddi
Personaggi: I Rivoluzionari (varie figure); I Membri (forse è meglio dire Componenti) del Consiglio Comunale di Massa Lubrense, Maggioranza e Opposizione (varie figure); Il Pubblico (varie figure); Un giovane ingenuo e un po’ tonto (parla in virgolettati tra parentesi quadre); Il Diavolo (che fa le ciambelle senza coperchi e le pentole col buco. Fuori scena)
Regia: Massoneria massese, che sta operando, non troppo segretamente, per imbucare i propri adepti e neofiti nelle liste per la prossima competizione elettorale comunale.
P.s. Poiché il 27 Giugno 1969 i Led Zeppelin tennero un concerto al PlayHouse Theatre di Londra durante il quale fu registrato un album live dal titolo “White Summer” (e questo che c’entra? Boh!) i nomi propri e i cognomi degli interpreti rimarranno taciuti.
Prologo
Gentili lettori, nella Grecia classica, in occasione delle feste sacre allestite dai cittadini benemeriti in onore delle divinità, si celebravano gli agoni tragici, durante i quali ogni autore era tenuto a rappresentare tre tragedie ed un dramma satiresco. Le tragedie avevano funzione educativa e purificatrice dalle passioni negative, Aristotele ebbe a dire catartica, mentre il dramma satiresco era inserito nella rappresentazione tetralogica (tre tragedie più il dramma) al fine di sollevare l’animo degli spettatori affinché, dopo aver assistito a eventi tremendi, morti ammazzati, corpi squartati, uomini accecati etc., trovassero lieve motivo di diletto, per non tornare a casa più infelici e tristi di prima. Inoltre, poiché etimologicamente tragedia vuol dire “canto di (uomini travestiti da) capri”, e i nostri politici a volte sono “tragici” (vedi etimologia!), lascio loro la stesura delle tragedie, e a me riservo la scrittura di questo dramma. Buon divertimento!
Giovedì 30/9/04, ore 20.00 circa, piazza Vescovado a Massa Lubrense. Giunsero “sotto al Comune” i primi Rivoluzionari, i quali, dopo aver raccolto 1200 firme contro la delibera di Giunta Comunale n° 251 del 7/9/04 avente per oggetto la vendita della Casa di Riposo a Sant’Agata sui Due Golfi all’ASL, son venuti a presidiare la sala consiliare per impedire al Consiglio Comunale l’approvazione di questo scellerato provvedimento.
Il Pubblico arrivò alla spicciolata e si formarono combriccole che discutevano se la protesta si dovesse rivolgere contro la vendita della Casa di Riposo in sé, contro l’Asl che intendeva creare una struttura per tossicodipendenti e malati di mente, oppure semplicemente contro la Maggioranza consiliare. I Membri – perdonatemi lettori – i Componenti del Consiglio Comunale, si avviavano lentamente nella Stanza dei Bottoni, dopo aver rivolto qualche parola conciliante ai Rivoluzionari e al Pubblico, quasi a dire: “Non è stata colpa mia, perdonatemi”, “Non sono stato io, non posso farci comnulla”, fino a quando giunse il Capo dei Rivoluzionari, seguito dai suoi minacciosi luogotenenti, da lacchè in uniforme da parata e da una Donna, con il viso di bambola, bella come le “onde/ del greco mar da cui vergine/ nacque Venere, e fea quelle isole feconde…”, chiedo venia, lettori, ma il solo nominarla mi lascia sovvenir “l’eterno/ e le morte stagioni, e la presente/ e viva e il suon di lei…”. Questi, il Capo dei Rivoluzionari, per omonimia con il più famoso Che Guevara, si presentò con un sigaro in bocca, grosso quanto lo schioppo con cui Giovanni dalle Bande Nere combatteva i Lanzichenecchi di Carlo V, calati in Italia nel 1526, agli ordini del generale Frundsberg, che portava legato alla sella del suo cavallo un cappio in corda d’oro col quale, diceva, “di volervi impiccare il Papa”. Uuuh mamma mia!
La brigata rivoluzionaria si avviò “sopra al Comune” e ordinatamente tutti si sistemarono per godere della migliore visuale possibile e dell’angolo di tiro più preciso (si vociferava di lanci di oggetti quali verdure, uova, petardi, sanitari). Il chiacchiericcio del pubblico, oltre 600 secondo i Rivoluzionari, circa 130 secondo le Forze dell’ordine, praticamente 5 o 6 secondo quanti avevano veramente capito che cosa ci erano andati a fare, fu smorzato quando entrarono in scena, con incedere tremolante, i 20 Re Magi e cominciò l’Epifania. La parola all’Assessore al Patrimonio che esordì caldeggiando il ritiro della scellerata delibera da lui proposta [Il giovane ingenuo e un po’ tonto pensò: “Scusate, ma allora mettiamoci d’accordo! Proponiamo prima e ritiriamo poi?] perché il paese si era movimentato contro il provvedimento ed erano dunque necessarie una nuova discussione e una riformulazione del provvedimento stesso: “Con l’aiuto dei cittadini che sono stati così attenti verso un argomento così importante, anche a causa della non puntualità con la quale abbiamo (o non abbiamo) avvisato i cittadini”. [Ed è qui che il Diavolo fa le ciambelle senza coperchi e le pentole col buco!!! Il giovane pensò: “Ma scusate, allora che ci state a fare! A questo punto non facciamo più le elezioni, veniamo noi a fare gli amministratori, prendiamo noi lo stipendio, che con questi chiari di luna non farebbe male, ci avvisiamo e discutiamo da soli!]. “Propongo quindi di ritirare l’argomento in questione”. Tieeeh!
Il Sindaco: “ L’argomento è ritirato”.
Ed ecco che, come il mostro marino che comparve all’improvviso dal “risonante mar lungo la riva” antistante Troia per mangiarsi in un sol boccone il sacerdote Troiano Lacoonte e i figli, colpevole, il primo, di non volere che si trasportasse all’interno delle mura il famoso Cavallo [“E bene diceva, vista la fine che avrebbero fatto i suoi concittadini!”], dai banchi dell’opposizione si alzò il Capo, che chiese che non si ritirasse proprio niente e che, invece, si discutesse. Il Sindaco, allora, sospese la seduta e diede inizio ad un breve e acceso scambio di vedute con il Capo dell’Opposizione sulla liceità della sospensione della seduta stessa, sul fatto se fosse possibile o meno l’apertura di una discussione dopo il ritiro dell’argomento, etc. [Il giovane fece le stesse, precedenti, amare considerazioni “…”]. Il Capo della minoranza, allora, pronunciò un’orazione degna delle migliori scuole di retorica dell’antichità. Quale forza e validità avrebbero potuto avere le parole di Solone, di Marco Antonio [“Ma Bruto è un uomo d’onore!”] di Pietro l’Eremita, di Gerolamo Savonarola, dell’ultimo condottiero, in latino Dux, che arringava dal balcone, nei confronti del miglior discorso propagandistico che si sia ascoltato da queste parti da quando ce l’hanno buttato giù dal balcone il condottiero di prima! (Da quando l’Italia è diventata una Repubblica n.d.a.). Appellandosi al sacro valore della democrazia, al sacro valore del coinvolgimento dei cittadini, al sacro valore che il Sindaco vorrebbe fuggire la discussione, al sacro valore delle Forze dell’ordine presenti, al sacro valore che il Diavolo, ancora e sempre lui, fa le ciambelle senza coperchi e le pentole col buco, iniziò un’arringa durante al quale i familiari, i clientes – alla latina fa più chic – i supporters, accalcati in prima fila, sembravano rapiti, ricalcavano la condizione di turbamento estatico che una volta, in un noto club riminese, investì chi scrive, allorquando una graziosa spogliarellista completò la sublime opera di denudamento… Il Capo dell’Opposizione lodò i Rivoluzionari, asserì che le firme contro il provvedimento scellerato o contro la scellerata Maggioranza (è uguale) sarebbero dovute essere 10.000 se solo vi fosse stato più tempo per raccoglierle [“Ma che cos’è un referendum di Pannella!”] e andò giù pesante: “Si stanno vendendo tutto, Proprietà Baccolini, il Funno a Metrano, i pantaloni, le mutande [“Ah, quanto erano belle quelle della spogliarellista riminese!”], stanno amministrando allegramente le finanze comunali, sono un’allegra amministrazione [“E meno male! Visto che non qua non c’abbiamo manco più gli occhi per piangere, almeno c’è chi ci fa ridere!”], devono vendere la Casa di Riposo perché sono sul burrone del disastro economico (stanno per chiudere, n.d.a.), così con i soldi ricavati, 10 miliardi [“Ma non c’è l’Euro adesso?”] estingueranno i debiti, spenderanno qualcosa per i guai che hanno in corso e gli resterà pure qualche spicciolo per la campagna elettorale [“Ma lei doveva fare il Ragioniere dello Strato!”]. Per non parlare poi delle parcelle multi milionarie (In Lire n.d.a.) date ad avvocati e tecnici: 80 milioni, 100 milioni, 120 milioni, in Lire suonano meglio, [“E che sono la Banda di Massa?”] per controllare l’esattezza di alcune procedure, con i tecnici, gli architetti, gli ingegneri buttati qua sopra [“Ma che, il Comune è diventato un secchio dell’immondizia?”]. E se non fosse proibito per legge, venderebbero pure la Casa Comunale, perché non ci sono soldi che bastano a questi signori! Ma bisogna invertire la rotta, bisogna pensionare questi signori [“Aaaaaah, perciò volevano vendere la Casa di Riposo, per paura di finirci dopo la pensione. Hai capito, hai capito…”] Non è il caso stasera, organizzeremo incontri e assemblee pubbliche, vi chiarirò tutto quello che ignorate, vi informerò su tantissime cose che non sapete, [“Ma chi è Nostradamus!”] poi deciderete per chi votare [Il giovane di prima non ce la fa più e pensa: “Scusate, io sono venuto qui per capire qualcosa sulla faccenda della Casa di Riposo, ma, finora, mi hanno fatto solo capire che la Maggioranza si sta vendendo il Comune, che l’Opposizione ha fatto come il pastore Benino, che dorme mentre il lupo viene a mangiarsi le pecore e si sveglia quando arrivano gli altri pastori, che invece di amministrare si pensa a ridere e scherzare, che siamo qui per onorare i nuovi salvatori della patria che hanno scoperto dopo i cittadini quanto la scellerata Maggioranza stesse facendo. Ma che siamo venuti a fare, ad applaudire l’Opposizione, ad impiccare il Sindaco, a ritirare gli inviti per le prossime conventions della minoranza o a capire qualcosa circa questa delicatissima questione? Boh!!!]
Ma il climax, nota figura retorica, raggiunse la vetta, l’apoteosi del (dis) gusto e del (in) colore, allorquando il Capo dell’Opposizione, con il dito puntato, pronunciò le seguenti parole, taglienti come la lama di una spada di plastica: “Cittadini, la colpa del disastro è di questi tre signori!!! (Il Sindaco, il neo Vice Sindaco ex Assessore al Bilancio e il Direttore Generale n.d.a.). Il Pubblico (le prime file), fino a quell’istante attento in religioso silenzio, alle parole del Capo, come gli spettatori allo Stadio S. Paolo quando Renica al 119’ del secondo tempo supplementare trafisse Tacconi, esplose in un impeto di gioia, di approvazione, di applausi, di urla, di frizzi e di lazzi, di benedizioni, entrarono le ballerine di Can Can, le gheische giapponesi aprirono gli ombrellini di seta ondeggiandoli, la cavalleria del Generale Custer diede la carica, il coro delle Voci bianche in Vaticano intonò il ritornello di “O’ surdato ‘nnammurato” etc., etc., etc., per il proprio eroe, che terminò la sua Filippica così come Cicerone scoprì la congiura di Catilina… Ristabilito a fatica lo status quo (come stavano le cose prima n.d.a.), riprese la rappresentazione artistica che ha reso famoso nel mondo Mario Merola: la sceneggiata. Alcuni cittadini intervennero per esprimere all’assemblea i propri turbamenti e un Consigliere di minoranza, alla maniera dei quodlibeta nelle università medievali, intavolò con il Sindaco un’istruttivissima discettazione circa la professione di un notissimo ristoratore presente in platea; Abelardo e Bernardo di Chiaravalle (Sindaco e suddetto Consigliere n.d.a.) logomachizzarono se il succitato imprenditore dovesse andare a fare il cuoco o piuttosto se cucinasse bene. Il pubblico, espertissimo di teologia, di filosofia medievale e di questione degli universali, salutò con molto fervore la divagazione coltissima dei due novelli Magistri philosophiae, che bene si inserì nella farsa che stava ivi avendo luogo.
Così, dopo il comunicato stampa personale dell’ex Vice Sindaco dimissionario, il quale annunciò a tutti, come fa solitamente il Presidente Ciampi, l’auspicio di una comunanza di intenti circa la delicatissima questione [“E allora???”] e l’intervento del neo Vice Sindaco, volto a rispondere e, in parte, a confutare la brillantissima Catilinaria del Capo dell’Opposizione, il Sindaco sospese per qualche minuto la seduta e i Rivoluzionari, il Pubblico, il giovane ingenuo e un po’ tonto, il Diavolo, che continua a fare le ciambelle senza coperchi e le pentole col buco, avendo capito meno di quello che avevano capito prima di arrivare, si avviarono mestamente “sotto al Comune” e, come recita il titolo di un capitolo de Il nome della rosa del divino professor Umberto Eco, l’unico che riuscirebbe veramente a capirci qualcosa, “Tutti andarono a letto più infelici e tristi di prima”. Per questo io ti chiedo: “Cioè che mi hai portato a fare sopra al Comune se non mi vuoi più bene?”.
FINE
Pubblicato a novembre 2004 su L’Indice – Mensile di approfondimento della Penisola Sorrentina