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Trattati, cronache e storie tra il ‘200 e il ‘300

 

Secondo quel modo di scrivere tipicamente medievale, a partire dal 1100, furono composte, in Europa e in Italia, vastissime opere che trattavano di tutto e di più. Quando, ad esempio, un letterato scriveva un libro di storia, non si limitava a raccontare quanto era accaduto ai suoi tempi o, al massimo, nell’arco di qualche secolo, come accade oggi in gran parte dei testi di storia che si studiano a scuola, ma cominciava da quando Dio che creò il mondo, fino al momento in cui staccava definitivamente la penna dal foglio.im099 Allo stesso modo, chi metteva insieme animali, piante e pietre preziose, in particolari raccolte dette bestiari, erbari o lapidari, non catalogava solo quello che aveva sotto gli occhi, ma vi inseriva mostri, belve feroci, animali mitologici, finti e inventati, piante che non sarebbero esistite nemmeno nel più attrezzato orto botanico del mondo, come i Kew Gardens a Londra, erbe magiche, fiori che divoravano gli uomini, pietre dai poteri meravigliosi, che si trasformavano in oro, che rendevano invisibili, il tutto arricchito con mille significati e allegorie. Questa particolare tendenza dello scrivere è stata detta enciclopedismo, perché, ogniqualvolta venisse in mente a qualcuno di mettersi a fare lo scrittore, doveva stendere un’enciclopedia. Giusto per fare due nomi, cito Vincenzo di Beauvais, autore dello “Speculum (specchio) Maius“, diviso in naturale, doctrinale e historiale, che rifletteva proprio tutto, e Ristoro d’Arezzo, redattore di una “Composizione del mondo con le sue cascioni“, due capitoloni difficilissimi e di una noia mortale. Molti furono anche i trattati di matematica, come quelli di Lorenzo Fibonacci, che nel tempo libero inventava sequenze numeriche per Dan Brown, e quelli di medicina, di astronomia e di astrologia.

I lettori di allora avevano poco tempo e ancor meno voglia di sfogliare libroni che non avrebbero mai finito, pieni di cose che non gli interessavano affatto. download (2)Avrebbero preferito leggere qualcosa che gli raccontasse come andassero le cose in modo spicciolo. Anch’essi volevano interessarsi di politica, sapere chi avesse perso la battaglia, chi fosse stato stato eletto re o nominato vescovo. Volevano leggere i settimanali scandalistici dell’epoca, come Novella 2000 o Chi, i quali rivelavano l’ultimo fidanzato della contessa o con chi era scappata la figlia del vassallo, promessa in sposa al principe reale.  Fu per questo, che tra la fine del ‘200 e gli inizi del ‘300, qualche storico furbo e un po’ curioso, pensò bene di scrivere cronache di quello che era successo e succedeva in quegli stessi anni, cui aveva potuto assistere con i suoi occhi o, al massimo, si era fatto raccontare da qualcuno che era stato presente.

Salimbene de Adam e la Cronica

Monaco francescano contro la volontà del padre, Salimbene, il quale, in realtà, si chiamava Ognibene, nacque a Parma nel 1221. Durante la sua vita si spostò molto tra il Nord Italia e la Francia.download Quando fu troppo stanco per continuare, si fermò e scrisse la “Cronica“. Morì nel 1287. A Salimbene due persone gli erano antipatiche che più antipatiche non si può: i francesi e Federico II. Non perse mai occasione, soprattutto ai primi, di combinarli male: “Quando bevono – diceva – le sparano grossissime, strillando che possono prendersi il mondo in un colpo solo e, pure quando non bevono, pensano di essere migliori di tutti gli altri popoli.” Come i francesi di oggi, dunque! Contro l’imperatore, invece, scrisse un libello intitolato “XII scelera Friderici imperatoris“, (Dodici pazzie di Federico imperatore) che, purtroppo, è andato perduto, dove lo accusava di essere uno spilorcio, di non aver avuto amici a causa proprio della sua avarizia e di aver combattuto la Chiesa solo per confiscarne le proprietà. La “Cronica” di Salimbene narra i fatti storici accaduti tra gli ultimi trent’anni dell’XII secolo fino alla sua morte. Rimane una delle fonti più importanti per la storia del ‘200, piena di eventi, con lo sguardo volto alle ingiustizie e alle miserie della società del tempo e con il grande rispetto per i personaggi che quella storia stavano facendo.

Dino Compagni e la Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi

Guelfo bianco, ricco borghese e sindacalista dell’Arte della Seta, Dino Compagni visse a Firenze tra il 1255 e il 1324. Fu gonfaloniere di giustizia e priore e, proprio per questo, quando i suoi compagni di partito, tra cui Dante, furono esiliati, cacciati dai neri, poté rimanere in città, grazie ad una sorta di immunità parlamentare, ma fu costretto ad abbandonare la vita politica.download (1) Non avendo più da lavorare, quindi, saputo che l’imperatore Arrigo VII stava scendendo in Italia, pensò di dare notizia di quanto fosse successo a Firenze dal 1280 al 1312. Illustrando in modo particolare la lotta tra i guelfi bianchi e neri e la vittoria di questi ultimi, Compagni dichiarò di trattare solo “il vero delle cose certe“, pure perché non aveva intenzione di scrivere falsità. Per questo, si servì solo di ciò che aveva visto e sentito di persona o che gli aveva riferito qualche galantuomo. Per di più, non voleva raccontarla a modo suo. Ma non riuscì ad essere imparziale. La sconfitta ancora gli bruciava e, accanto alla narrazione dei fatti, inserì predicozzi contro i suoi concittadini e contro la malvagità e l’infamia dei neri e del loro capo Corso Donati. Anziché una cronaca, quest’opera sembra un diario segreto, dove la passione adoperata per descrivere quanto è richiamato va al di là del fatto storico. I giudizi violenti contro personaggi potenti ancora in vita si sprecano e l’Autore, per paura che questi gliela facessero pagare tendendogli un agguato con i loro sgherri, nascose il manoscritto in un buco nel muro in cantina. Non disse niente ad alcuno e, per caso, 150 anni dopo, questo fu ritrovato.   

Giovanni Villani e la Nuova Cronica di famiglia

Sicuramente riuscì ad essere molto meno parziale di Dino Compagni, anche perché, nel frattempo, a Firenze, i tempi erano mutati. A comandare c’erano i neri, i bianchi erano in esilio e si stava tutti un po’ più tranquilli. Giovanni Villani nacque nella città dell’Arno nel 1280. Figlio del popolo, fu mercante, banchiere socio dei Peruzzi e dei Buonaccorsi e priore un paio di volte, simpatizzando per i neri. Fu accusato falsamente di aver sgraffignato danari pubblici durante la costruzione delle nuove mura della città e, a seguito del fallimento del Banco Buonaccorsi, fu incarcerato per qualche mese. VillaniMorì durante l’epidemia di peste del 1348, quella di cui Boccaccio si servì per dare inizio al “Decameron“. Villani divise la sua “Nuova Cronica” in dodici capitoli: non seppe resistere al fascino dell’enciclopedia e, nei primi sei, raccontò la storia del mondo, dalla Torre di Babele fino al 1265, con lo scopo di vantare, in maniera esagerata, le origini romane di Firenze. Negli ultimi sei, invece, riportò quanto successo nella sua città dal 1265 all’anno della morte. L’Autore non si perde in chiacchiere. Non gli interessa dire la sua sull’accaduto, quanto soltanto raccontare come sono andati i fatti. Piena di documenti d’archivio, di informazioni sulla popolazione e su come si svolgevano i commerci in città, essa contiene anche le prime notizie biografiche su Dante, con la soddisfazione di poter annoverare, tra i cittadini fiorentini, un così illustre poeta. Sul letto di morte, col corpo pieno di bubboni per la peste, Giovanni si fece promettere dal fratello Matteo la continuazione dell’opera. Matteo proseguì fino al 1363 e chiese, poi, la stessa cosa a suo figlio Filippo il quale, però, evidentemente poco interessato a questa pratica di famiglia, aggiunse soltanto il 1364.

 

 

Francesco Guicciardini e la storiografia moderna

 

Terzo figlio di Piero di Jacopo e Simona Gianfigliazzi, ricchi e influenti cittadini fiorentini fedeli ai Medici, nacque il 6 marzo 1483 e fu tenuto a battesimo nientemeno che da Marsilio Ficino – chissà quale influenza esercitò su di lui questo padrino così illustre! Il giovane Francesco apprese il diritto a Firenze, presso uno degli insegnanti più alla moda del tempo, messer Francesco Pepi. francesco-guicciardiniFu, poi, a Ferrara e a Padova, dove concluse gli studi presso la celeberrima Università cittadina. Rientrato a Firenze non ancora laureato, cominciò ad esercitare la professione forense e l’insegnamento. Nel 1508, contro il volere del padre, sposò Maria Salviati, figlia di Alamanno, potente aristocratico che aveva le mani in paste un po’ dappertutto nella città dell’Arno. Grazie proprio alle amicizie del suocero poté avviarsi alla carriera politica, che lo condusse rapidamente al successo. Fu ambasciatore in Spagna e, al ritorno dei Medici a Firenze, governatore di Modena, Reggio Emilia, Parma e, in seguito, di tutta la Romagna, incarico nel quale dimostrò carattere e grande abilità diplomatica. Nel 1527, dopo la cacciata dei Medici, a causa dei sospetti dei repubblicani che non si fidarono di lui, decise di ritirarsi nella sua villa al Finocchietto, fuori Firenze. Colà si dedicò alla scrittura, aspettando tempi migliori che, però, non arrivarono. Nel 1529, gli furono perfino confiscati i beni, costringendo lui e la sua famiglia a trasferirsi a Roma, presso papa Clemente VII, un Medici. Quando il potente casato mediceo, per la terza volta, rientrò in città, fu consigliere del duca Alessandro ma poco ottenne dal suo successore Cosimo I. Scelse, quindi, di abbandonare definitivamente la vita politica. Pochi anni dopo, nel 1540, il 22 maggio, morì.

Ricordi politici e civili

Presso le famiglie di ricchi mercanti o, comunque, molto facoltose, era consuetudine, da parte dei membri culturalmente dotati, redigere e collezionare brevi pensieri, aforismi, raccomandazioni pratiche ed etiche, consigli, rivolti ai congiunti. Guicciardini elaborò sentenze e precetti lungo tutta la vita, sin dalla prima gioventù. Da essi si intuisce molto bene quali fossero i reali pensieri dell’Autore e il suo modo di rapportarsi alla realtà, alla vita civile e alla politica.Doria-Pamphilij-Metsys-Usurai Non esistono verità universali! Questo è il suo punto di partenza. La realtà è così multiforme e mutevole che ricercare regole di comportamento generali è una mera perdita di tempo. Importante è che ogni uomo riesca ad accrescere la propria riputazione e quella della sua famiglia. Una regola, tutto sommato, può essere seguita: orientarsi al meglio attraverso tutti gli innumerevoli casi della vita, cercando di cavalcare la fortuna quando essa arride. Proprio per questo, l’uomo di successo, ben conscio che i rapporti sociali siano condizionati da falsità, errori e illusioni, deve soltanto occuparsi di sé, aumentando, ad ogni costo, la propria posizione, agendo segretamente senza mai far intendere ad alcuno i suoi intenti, dissimulando e mascherando. In una parola, deve agire pensando esclusivamente ai fatti propri. 

XIII. È molto utile el governare le cose sue segretamente, ma piú utile in chi si ingegna quanto può di non parere con gli amici; perché molti, come poco stimati, si sdegnono quando veggono che uno recusa di conferirgli le cose sue.

XVIII. È da desiderare piú l’onore e la riputazione che le ricchezze; ma perché oggidí sanza quelle male si ha e conserva la riputazione, debbono gli uomini virtuosi cercare non d’averne immoderatamente, ma tante che basti allo effetto di avere o conservare la riputazione e autoritá.

IL. Conviene a ognuno el ricordo di non comunicare e’ secreti suoi se non per necessitá, perché si fanno schiavi di coloro a chi gli comunicano, oltre a tutti gli altri mali che el sapersi può portare; e se pure la necessitá vi strigne a dirgli, metteteli in altri per manco tempo potete, perché nel tempo assai nascono mille pensamenti cattivi.

CLXXIV. Non mancate di fare le cose che vi diano riputazione, per desiderio di fare piacere e acquistare amici; perché a chi si mantiene o accresce la riputazione, corrono gli amici e le benivolenzie drieto; ma chi pretermette di fare quello che debbe, ne è stimato manco; e a chi manca la riputazione, mancano poi gli amici e la grazia. 

È chiaro come questa sia una vera lezione di opportunismo, egoismo e cinismo, comprensibile, certamente, se si tiene conto del contesto storico e familiare in cui visse l’Autore: per un aristocratico impegnato in politica, in un’epoca dove, d’improvviso, ci si poteva trovare con la testa avvoltolata in un cappio o con un pugnale piantato dietro la schiena, era necessario usare qualsiasi mezzo per riuscire a rimanere in auge, evitando di essere travolti dagli eventi.

Storia d’Italia

Quando Guicciardini cominciò a stendere quest’opera, era ormai in pensione. In gioventù, aveva scritto le Storie fiorentine dal 1378 al 1509, per cui, l’argomentazione storica e la sua metodologia non gli erano affatto sconosciute. 70231AnobilE’ stato questo il suo unico scritto elaborato per la pubblicazione, che, però, fu postuma, del 1561. L’esposizione include gli eventi compresi tra la morte di Lorenzo il Magnifico (1492) e quella di papa Clemente VII (1534). Lo scrittore ragiona della rovina dei principi e dei principati italiani, i quali sono passati dalla libertà della fine del ‘400 al dominio straniero, francese e spagnolo, del ‘500. Questi poco sagaci signori, a detta dell’Autore, credendo di essere assennati e prudenti, si sono fidati troppo degli stranieri, venendone, poi, travolti. Con impassibile distacco e cruda ironia, Guicciardini indaga le cause di questo decadimento italiano, il tutto seguito in maniera molto scrupolosa e dettagliata, grazie alle testimonianze di numerosi protagonisti e alla consultazione di materiali d’archivio (esaminò gran parte dell’archivio della Magistratura fiorentina). Proprio per questo, per il metodo che adoperò nella stesura della sua opera, Guicciardini può, a buon diritto, essere definito il padre della storiografia moderna.

 

Seventies revival or more? A timeless rock band is again on the stage. The countdown is at last on, now!

 

Many people all around the world wish Jimmy, Robert and John Paul, and not the lady of their most famous song, bought a stairway to heaven to let the fans go up there along with them. Led Zeppelin will be soon again on the stage. This crashing event will take place on the 10th of December at O2 Arena in London, twenty-seven years after that morning of September, when John “Bonzo” Bonham, the powerful drummer of the band, was found dead bringing to a conclusion the unwitting adventure of four lads in love with music and after some reunion all along these past years. John Paul Jones, Jimmy Page, Robert Plant and John Bonham’s son, Jason, (photo on the side) will be on the stage again. Those who were young in the Seventies, surely will be excited, remembering not only the golden age of rock, but also a season of passions and youthful thoughtlessness. Led Zeppelin aren’t a myth only for now old generation, in fact many youths love them and listen to their music although it is so different from the present one because their appeal has remained unchanged. To prepare the ground for this stunning concert, on the 12th on November it’s been released Mothership, a triple CD plus DVD that retraces their complete carrier through their unforgettable songs. The Led Zeppelin story, started up in 1968 from the ashes of the Yardbirds, for which guitarist Jimmy Page had served as lead guitarist after Eric Clapton and Jeff Beck. Bassist John Paul Jones also boasted a lofty session musician’s pedigree. Singer Robert Plant and drummer John Bonham came from Birmingham, where they’d previously played in the Band of Joy. The Zep’s members  were musical sponges, often traveling the world – literally traipsing about foreign lands and figuratively exploring the cultural landscape via their record collections – in search of fresh input to trigger their muse. The group’s use of familiar blues-rock forms spiced with exotic flavors found favor among the rock audience that emerged in the Seventies. Led Zeppelin aimed itself at the album market, eschewing the AM-radio singles orientation of the previous decade. Their self-titled first album found them elongating blues forms with extended solos and psychedelic effects, most notably on the agonized Dazed and Confused, and launching pithy hard-rock rave-ups like Good Times Bad Times and Communication Breakdown. Led Zeppelin II found them further tightening up and modernizing their blues-rock approach on such tracks as Whole Lotta Love, Heartbreaker and Ramble On. Led Zeppelin III took a more acoustic, folk-oriented approach on such numbers as Leadbelly’s Gallows Pole and their own Tangerine, yet they also rocked furiously on Immigrant Song and offered a lengthy electric blues, Since I’ve Been Loving You. The group’s untitled fourth album (a.k.a. Led Zeppelin IV  or The Runes Album, or ZOSO), which appeared in 1971, remains an enduring rock milestone and their defining work. The album was a fully realized hybrid of the folk and hard-rock directions they’d been pursuing, particularly on When the Levee Breaks and The Battle of Evermore. Black Dog was a pile driving hard-rock number cut from the same cloth as Whole Lotta Love. Most significant of the album’s eight tracks was the fable-like Stairway to Heaven, an eight-minute epic that, while never released as a single, remains radio’s all-time most-requested rock song. Houses of the Holy, Zep’s fifth album, were another larger-than-life offering, from its startling artwork to the adventuresome music within. Even more taut, dynamic and groove-oriented, it included such Zeppelin staples as Dancing Days, The Song Remains the Same and D’yer Mak’er. They followed with the Physical Graffiti, a double-album assertion of group strength that included the Trampled Underfoot, Sick Again, Ten Years Gone and the lengthy, Eastern-flavored Kashmir. Led Zeppelin’s sold-out concert tours became rituals of high-energy rock and roll theater. The Song Remains the Same, a film documentary and double-album soundtrack from 1976, attests to the group’s powerful and somewhat saturnalian appeal at the height of their popularity. qThe darker side of Zep’s – their reputation as one of the most hedonistic and indulgent of all rock bands – is an undeniable facet of the band’s history. In the mid-to-late Seventies, a series of tragedies befell and ultimately broke up Led Zeppelin. A 1975 car crash on a Greek island nearly cost Plant his leg and sidelined him (and the band) for two years. In 1977, Plant’s six-year-old son Karac died of a viral infection. The group inevitably lost momentum, as three years passed between the release of the underrated Presence (1976) and In Through The Out Door, their final studio album (1979). On September 25th, 1980, while in the midst of rehearsals for an upcoming American tour, Led Zeppelin suffered another debilitating blow. The last one! John Bonham was found dead due to asphyxiation, following excessive alcohol consumption. Feeling that he was irreplaceable, they disbanded. Now the story comes back to the present time in which Jason, Bonham’s son, will replace his father as a drummer for the concert of the 10th of December. Only twenty thousand lucky fans have the ticket to attend this unmissable event because of the sits of the O2 Arena and someone of them has surely paid a lot of pounds to catch the only-in-a-life chance to see one of the most famous rock bands of the world. Browsing in internet, is it possible find out tickets, but how many people can spend from £ 1,700 up to £ 2,200 for a ticket? To many fans does not stay what to dream of being in the O2 Arena and try to reach not a ticket, but a stairway that since 1968 is going up to the heart of the music.

 

Published in November 2007 on www.clubdtv.com

 

La Guerra fredda

 

 

INTRODUZIONE

Il termine guerra fredda è stato coniato dal giornalista americano Walter Lippman per descrivere la situazione, presente a livello mondiale, in seguito all’esplosione della bomba atomica ad Hiroshima. La fine della Seconda guerra mondiale segnò il declino dell’egemonia europea sul mondo. Le due reali potenze vincitrici, ciascuna detentrice di una propria ideologia e di una propria promessa di benessere universale, risultarono essere gli USA e l’URSS, destinate a dominare gli equilibri mondiali del dopoguerra. Il modello statunitense si fondava sul capitalismo e sull’affermazione dell’economia di mercato su scala mondiale, mentre il modello di origine sovietica (socialismo), basato sulla filosofia marxista, prevedeva una lotta di classe sul piano internazionale, ovvero, uno scontro fra Paesi proletari e Paesi capitalisti. Durante il periodo degli anni ’50, noto, appunto col termine di guerra fredda, i due modelli e i relativi progetti di egemonia si fronteggiarono su scala planetaria. Si definì guerra, per la contrapposizione tra i contendenti e la mobilitazione militare sviluppatasi all’interno dei Paesi coinvolti, fredda, perché le armi prodotte e accumulate in realtà non furono utilizzate. Ciascuna delle due potenze possedeva armamenti distruttivi e sofisticati, sia convenzionali che nucleari. La competizione nell’accumulo di tali armi sostituì il loro uso effettivo e garantì il mantenimento dell’equilibrio. Tali armi, quindi, ebbero, principalmente, una funzione di dissuasione: minacciare l’avversario in modo da impedirgli qualsiasi azione aggressiva. Come affermato dal politologo francese Raymond Aron, la guerra fredda, tuttavia, vide anche l’utilizzo di altre armi: strumenti di persuasione e di sovversione. I due strumenti di persuasione furono rappresentati dalla diplomazia e dalla propaganda, basata, quest’ultima, su un uso spregiudicato dei mezzi di comunicazione di massa, tra cui la radio, e finalizzata a condizionare l’opinione pubblica dei Paesi avversari. La sovversione, invece, utilizzò strumenti clandestini, per infiltrarsi imagesnell’area dell’avversario e minarne le capacità di controllo: ne sono esempi la CIA (agenzia americana di intelligence, cioè di spionaggio e controspionaggio), e il KGB (agenzia sovietica di spionaggio e controspionaggio, interno e internazionale). Il periodo compreso tra il 1945 e gli anni ‘70 fu contrassegnato da una situazione di mobilitazione psicologica, economica e politica, come in precedenza si era verificata solo in periodi di guerra. Nel blocco sovietico, la mobilitazione consistette in una restrizione permanente delle libertà fondamentali, al fine di contrastare la minaccia imperialista; nel blocco occidentale, invece, nell’anticomunismo, con pesanti misure repressive, che portarono all’estromissione dal pubblico impiego di tutti i sospetti simpatizzanti comunisti (una vera caccia alle streghe!) e alla repressione delle minoranze, a partire dai neri, potenzialmente sovversive. Il periodo della guerra fredda presentò diverse fasi: una prima fase di guerra fredda vera e propria, 1947 ai primi anni ‘60, una seconda fase di distensione, dagli anni ‘60 ai primi anni ’70, e una terza fase di tensione internazionale, successiva al 1973.

 

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IL BLOCCO SOVIETICO

Nel dopoguerra, l’URSS era presente, militarmente, nei Paesi dell’Europa orientale, distrutti dalla guerra e che aveva liberato dal nazismo, ma, nello stesso tempo, rappresentava il Paese maggiormente devastato economicamente e demograficamente. Quindi, per garantire la propria sicurezza e la propria ripresa economica, creò una sfera di influenza su quei Paesi, caratterizzati da un regime analogo al socialismo. Il piano sovietico, nel periodo 1945-48, si basò sull’idea delle cosiddette democrazie popolari. I Paesi interessati non passarono direttamente al socialismo (stato a partito unico, collettivizzazione dell’agricoltura, nazionalizzazione images (2)dell’economia) ma attraversarono una fase transitoria, che vide insediarsi governi di coalizione, nei quali, il partito comunista assumeva un’influenza superiore rispetto agli altri e avviava una progressiva introduzione di elementi di socialismo. Nel 1947, tale progetto gradualistico di controllo sui Paesi orientali subì una brusca svolta, dovuta all’offerta americana di estendere ad essi gli aiuti del Piano Marshall. Questo progetto di finanziamento alla ricostruzione dei Paesi distrutti dal conflitto, interessò numerosi governi dell’Europa orientale e, in tal modo, l’egemonia economica statunitense minacciò di estendersi oltre l’Elba. Andrej Zdanov, stretto collaboratore di Stalin e presidente del Soviet supremo (organo legislativo dell’URSS) definì il Piano Marshall, durante un discorso pronunciato a Varsavia, in occasione del convegno di fondazione del Cominform (organismo che prese il posto del Comintern, cioè la Terza Internazionale), “un’arma dei disegni imperialistici americani“. Invitò, pertanto, tutti i Paesi amici dell’URSS ad opporvisi. Nello stesso 1947, si verificò un grave dissidio tra URSS e Jugoslavia, la quale mirava alla costruzione di un regime socialista autonomo e non direttamente condizionato dall’influenza sovietica. Tale contrasto comportò una rottura clamorosa nella sinistra internazionale e nel blocco sovietico. Nel blocco sovietico nacquero regimi di tipo staliniano, in Cecoslovacchia fu soppresso, nel 1948, il governo di coalizione e il leader comunista Klement Gottwald assunse la presidenza della Repubblica, guidando la trasformazione del Paese in una images (3)democrazia popolare, in cui non era previsto il pluralismo dei partiti. In altri Paesi, il regime a partito unico si impose, di fatto, salvaguardando (Polonia e Ungheria) la facciata di partiti socialdemocratici o contadini. Tra il 1948 ed il 1953, si potenziò il controllo sovietico sui Paesi satelliti dell’URSS. Sul piano economico, si assistette alla nascita del Comecon (1949), un organismo centralizzato di coordinamento, che comportò la chiusura degli scambi con l’Occidente e favorì lo sviluppo dell’URSS. Sul piano politico, ebbe luogo il processo già avvenuto in URSS: in Ungheria (processo Rajk), così come in Cecoslovacchia (processo Slansky) si effettuarono grandi purghe di comunisti, che il regime reputava eccessivamente nazionalisti. Fu, così, negata, all’interno dei partiti comunisti, qualsiasi possibilità di dibattito. Nel 1953, si verificò la prima crisi politica del blocco sovietico, pochi mesi dopo la morte di Stalin, avvenuta nel mese di marzo. La prima rivolta in cui i lavoratori manifestarono contro le proprie misere condizioni di vita, fu a Pilsen (Cecoslovacchia), seguita da Berlino Est, capitale della Germania Orientale (Repubblica Democratica Tedesca). Nel 1955, il Patto di Varsavia comportò un potenziamento delle alleanze militari tra gli stati dell’Europa orientale, nei quali la leadership sovietica tentò una sorta di liberalizzazione. Si concesse, quindi, qualche spazio a leader emergenti (Imre Nagy, in Ungheria), si ridimensionarono i capi di stato più compromessi e si intraprese una graduale riconciliazione con la Jugoslavia.

L’EUROPA NEL 1956:NATO E PATTO DI VARSAVIA. IL SISTEMA DI ALLEANZE AMERICANO

Durante gli anni ‘40 e i primi anni ’50, gli USA realizzarono un sistema di alleanze politiche, militari ed economiche, mirato a contrastare la minaccia comunista e a risolvere il problema del declino degli imperi coloniali e della trasformazione degli equilibri economici, presenti a livello mondiale. Nei primi anni del dopoguerra, gli USA diventarono il Paese-guida di uno dei due grandi blocchi, formatisi contemporaneamente durante quel periodo: il blocco sovietico e il blocco occidentale, entrambi aspiranti ad ottenere l’egemonia planetaria. A partire dal 1947, la politica di contenimento del comunismo, lanciata dal presidente Harry Truman, permise agli USA di abbandonare l’isolazionismo e fu ritenuta la più idonea a realizzare, nella migliore images (4)maniera, gli interessi economici e politici americani. Si aprì, così, una fase in cui, negli USA, politica estera e finanza si muovevano di pari passo. Il 5 giugno 1947, il Segretario di Stato americano, George Marshall, annunciò il Programma per la ripresa economica europea (ERP), destinato a fornire aiuti economici per i Paesi europei, per oltre 13 miliardi di dollari: tale Programma è conosciuto con il nome di Piano Marshall. Il piano, originariamente ideato per favorire anche l’Unione Sovietica e la sua crescente sfera di influenza, prevedeva che l’offerta di aiuto economico all’URSS fosse accompagnata da un cambio di politica, comportando, quindi, negli anni immediatamente successivi al lancio del piano, una netta rottura tra i due blocchi. Il Piano Marshall, tuttavia, non aveva soltanto un fine economico, quanto anche politico: mirava, infatti, a far crescere, all’interno dei Paesi europei, l’influenza dei gruppi politici moderati, a discapito di quelli comunisti, e auspicava di ottenere una riconciliazione con la Germania (privata della sua parte orientale). A distanza di due anni nacque un’alleanza militare tra gli USA e i Paesi Europei ad ovest di Trieste: l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO). Con la progressiva fine del colonialismo e la conseguente dissoluzione degli imperi coloniali, si temeva un allargamento della sfera di influenza sovietica. Sulla base di questa situazione, la politica degli USA prevedeva di non intervenire nelle aree di rivolta considerate meno rischiose (Nordafrica e India), di convincere Gran Bretagna e Francia ad aprire le loro aree imperiali al commercio internazionale, a potenziare la propria influenza economica e politica a livello europeo e mondiale, come in Grecia e in America Latina, unita agli USA, dal 1948, nell’Organizzazione degli Stati Americani, e di sostenere il colonialismo nelle aree a rischio di espansione del comunismo (colonie francesi dell’Indocina). In seguito alla vittoria del comunismo in Cina, avvenuta alla fine degli anni ‘40, gli USA costruirono, in Asia orientale, un sistema di alleanze politico-militari più complesso e agguerrito di quello creato in Europa, finalizzato a contenere il comunismo. In Giappone, inizialmente occupato dalla potenza americana al fine di disarticolare le basi economiche, politiche e ideologiche del militarismo nipponico, e come forma punitiva per la guerra, si passò, dal 1948-49, durante il governatorato di Douglas MacArthur, ad una politica di incoraggiamento della ripresa economica analoga a quella prevista dal Piano Marshall. A cinque anni da Hiroshima, Giappone e USA passano da Paesi nemici a stretti partner economici e politici. In molti Paesi asiatici, attraversati dalla crisi del colonialismo, gli USA tentarono di sperimentare una soluzione analoga a quella adottata in Germania: la Corea fu divisa in una Repubblica Democratica Socialista (Nord) e in una Repubblica di Corea (Sud), fortemente sostenuta dall’aiuto economico e militare americano; il Vietnam, dopo il 1954, fu suddiviso in Repubblica Democratico-Socialista, al nord, e in uno stato filoamericano al sud; in Cina, dopo la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese, a Pechino, gli USA tentarono di sostenere economicamente la Repubblica Cinese, insediatasi nell’isola di Taiwan, come unica vera rappresentante del popolo cinese. Questa politica aveva l’obbiettivo di opporre al comunismo degli stati socialisti, nati per via rivoluzionaria nei Paesi colonizzati, un sano nazionalismo asiatico, ispirato ad un modello di Stato nazionale libero (in realtà, quasi sempre dittatoriale).

 

L’origine delle lingue (mica troppo seria, però!)

 

Secoli e secoli fa, si raccontava che il linguaggio fosse stato donato da Dio agli uomini, ma, poiché questi si capivano fin troppo bene tra loro e avevano imparato subito le parolacce, il Padreterno decise di mischiare un po’ le carte in tavola. A quel tempo, su tutta la Terra, si parlava una sola lingua e si usavano le stesse parole. Emigrando dall’Oriente, gli uomini giunsero in una pianura nel paese di Sennaar, dove si stabilirono. Un bel giorno, però, cominciarono ad annoiarsi perché non sapevano proprio più cosa fare. Mangiavano, bevevano, contavano le pecorelle prima di addormentarsi e dormivano. Così, qualcuno disse a tutti gli altri, tanto si capivano benissimo: “Amici miei, ho trovato il modo per passare la giornata: ci alziamo quando il sole sorge, andiamo a bere al fiume, facciamo colazione e ci mettiamo a fare mattoni. A mezzogiorno, li cuociamo col fuoco. Di pomeriggio, costruiamo una città e una torre così alta, ma così alta, che arrivi fino al cielo, toccandolo”. “Sì!”, lo interruppe un altro. “Finalmente sapremo cosa fare domani e dopo domani e dopo domani ancora”. “Poi”, concluse il primo, “di notte, riempiremo di baci le nostre mogli e ci riposeremo!”. Il giorno dopo, non l’avessero mai detto, la piana di Sennaar cominciò a diventare un cantiere più grande di quello della Salerno-Reggio Calabria. imagesM27YN1OVChi impastava paglia e fango, chi cuoceva mattoni, chi costruiva case, chi beveva al fiume, chi correva, chi si affannava. E più si spargeva la notizia nei dintorni, più gente arrivava lì per passarvi la giornata. Qualche tempo dopo, però, mentre la costruzione della torre procedeva spedita, Dio, affacciatosi al balcone del suo palazzo paradisiaco e accortosi che gli uomini stavano quasi arrivando alle porte della sua proprietà, trasalì: “Mio Me Stesso! Questi mo’ verranno a scocciarmi ogni momento per l’eternità. Vorranno stare sempre vicino a me a guadarmi risplendere, mi raccomanderanno i loro partenti vivi, mi chiederanno miracoli, si organizzeranno in un unico sindacato ultraterreno e avrò sempre i loro rappresentanti a seccarmi! No, no. Per Me Stesso non posso permetterlo, altrimenti perdo la pace e la serenità. E sì! Io passo il mio tempo infinito a sentire i loro lamenti? Tanto, li ho creati e passano la loro vita a lamentarsi, figurati se non mi rompono per la mia vita eterna? No, no. Devo trovare un rimedio!”. E pensa, pensa, Dio escogitò un piano: “Se confondessi la loro lingua in modo che non si capiscano più l’un l’altro, impedirei loro di comunicarsi reciprocamente qualsiasi cosa, a meno che, ognuno, non impari tre o quattrocento lingue. Così, non potranno più costruire questa maledetta torre e io me ne resterò tranquillo. E poi, visto che ci sono, li disperdo pure, tanto ho creato abbastanza terra per tutti, e chissà quanto tempo passerà prima che si possano rincontrare, provare a farsi capire e prendersi a brutte parole”. In un batter di fulmine, Dio scese sulla Terra per attuare il suo piano. Gli uomini non riuscirono più a capirsi e smisero di costruire la torre, che fu chiamata di Babele, proprio perché nessuno ci capiva niente. Questa è una leggenda ma, come tutte le leggende, ha certamente un fondo di verità.
Anche in altre zone del mondo circolavano favole simili. In India, si narrava che al centro della Terra crescesse un meraviglioso albero, chiamato Albero del mondo o Albero della conoscenza. Era così alto che quasi raggiungeva il cielo. imagesALIEO9BGUn giorno, questa pianta straordinaria disse tra sé: “Terrò la mia chioma nel cielo, allargherò i miei rami su tutta la Terra, manterrò tutti gli uomini radunati insieme sotto la mia ombra e li proteggerò, affinché non si separino. Amen! Andate in pace!”. Brama, il dio locale, un tipetto scontroso e permaloso, volle punire quell’albero, a suo dire, tanto superbo. Gli tagliò tutti i rami e li scagliò a terra, dove germogliarono come alberi Wata e, non ancora contento, fece sì che gli uomini cambiassero fede, speranza e carità, lingua e usanze, disperdendosi per il mondo come dei miserabili (alla faccia dell’albero!). Gli indiani Kaska del Nord America, invece, raccontavano quanto capitato ai loro antenati. Questi, una sera, al tramonto, nelle loro tende, mentre fumavano il calumet, che, evidentemente, non era caricato solo con il tabacco, furono sorpresi da una grande oscurità e un vento tanto impetuoso, tipo l’uragano Katrina, spazzò via loro, animali, tende, calumet, tabacco, quello che ci avevano mischiato, baracche, burattini, musica e musicanti. Molto tempo dopo, vagabondando tra canyon, fiumi, praterie e la Monument Valley, incontravano gente sconosciuta, che veniva da posti lontani, parlava lingue diverse e nessuno era in grado di comprendere quello che dicessero gli altri, proprio come sul set del film C’era una volta il West. Infine, anche sulle rive del Rio delle Amazzoni, si ascoltavano cose analoghe. untitledGli indigeni Tikuna, intanto che pescavano, perché la caccia era stata bandita, si ripetevano, fino ad averla imparata a memoria in tutti i particolari, questa incredibile storia: alcuni uomini di ritorno al villaggio dopo una battuta di caccia (l’ultima!), stanchi, affamati e con il carniere e la saccoccia vuoti, sicuri che sarebbero stati messi a pane e cipolla dalle mogli, mangiarono, di nascosto, due uova di colibrì. All’improvviso, tutti, anche quelli che non avevano neppure assaggiato i parti dell’uccello, cominciarono a parlare lingue diverse e si separarono, disperdendosi per il mondo. Hai voglia a dare la colpa al disgraziato che aveva suggerito di papparsi quelle uova. La frittata, ormai, era fatta.
Nei tempi antichi, quindi, era credenza diffusa che tutti i popoli della Terra fossero stati, all’alba della storia, una sola tribù, avessero vissuto insieme e avessero parlato la stessa lingua. Poi, però, qualcosa accadde. Se vi raccontassi la verità, questo mio articolo varrebbe 10 milioni di euro. Per cui, anch’io mi limito ad accettare questi racconti mitici, facendo finta che corrispondano al vero. E consiglio a voi di fare lo stesso. Ma, se avete 10 milioni di euro a testa, possiamo anche riparlarne!

 

 

 

Iperione di fronte alla crisi greca: quella di Hölderlin

 

Nella storia della letteratura mondiale vi è un capolavoro assoluto, scritto in tedesco, nel 1797, da Johann Christian Friedrich Hölderlin (immagine a sinistra), un testo in cui la tensione poetica non è inferiore a quella di autori considerati insuperabili, come Dante Alighieri e William Shakespeare. Quest’opera è Hyperion oder der Eremit in Griechenland (Iperione o l’eremita in Grecia). In essa, è narrata la storia del giovane eponimo greco il quale, tornato nella sua terra e trovatavi una situazione politica catastrofica, scrive all’amico Bellarmino, rimasto in Germania, raccontandogli le sue esperienze. Iperione vive nella metà del XVIII secolo nella Grecia Meridionale, immerso nella natura, dove, introdotto dal saggio pedagogo Adamas al mondo eroico di Plutarco e a quello incantato delle divinità greche, si appassiona alle antichità del suo Paese. Più tardi, conosce Alabanda, unico a condividere i suoi ideali riguardo un progetto di liberazione della sua patria, pur non condividendone la visione sul ruolo dello Stato. 1Poi, l’incontro con Diotima, a Kalaurea, della quale finisce per innamorarsi e che durante un viaggio, di fronte alle rovine di Atene, gli infonde la forza per tramutare i suoi ideali in azione. Il giovane, così, partecipa alla guerra di liberazione della Grecia dai turchi. La lotta, però, lo cambia profondamente: viene ferito gravemente, Alabanda deve fuggire perché ricercato e una lettera gli annuncia la morte di Diotima, consunta dal dolore perché lo crede morto. Iperione comincia a vagare senza meta e senza scopo. In Sicilia, alle pendici dell’Etna e, poi, in Germania. Decide, infine, di tornare in Grecia, dove inizia una vita di eremitaggio, scoprendo, ancora una volta, la bellezza della natura, nella quale risuona la voce della sua amata Diotima. Riesce, così, a superare la tragicità della sua solitudine. La poesia di quest’opera insegna ad amare la Grecia, terra dal cui spirito e da quello del cui popolo, parafrasando un altro grande connazionale di Hölderlin, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, è nata tutta la nostra civiltà occidentale.

 

Pubblicato il 20 luglio 2011 su www.caravella.eu