Comparse

 

Quando ero più giovane e disubbidiente e irresponsabile osavo parlare, azzardavo mosse, quantunque fossero maldestre e compromettenti, scalpitavo, facevo sentire la mia voce. E così la mia vita era un susseguirsi di alti e bassi, un insieme di trionfi e paurosi scivoloni. Mi sono fatto male, tanto. Ma ho anche goduto. Oh, se ho goduto. Poi, non so di preciso quando, il silenzio, i protocolli, le buone maniere mi hanno anestetizzato, addomesticato, ammansito, fino a rendermi muto, fino a mettermi in un angolo. A guardare. Mi dicevo: be’, è perché ora sono finalmente adulto, finalmente non devo più chiedere niente a nessuno, se la vita mi vorrà sarà la vita a venire da me. Ma mi sbagliavo. La vita non si muove se non per conto suo, fa il suo film e se non conservi un briciolo di sfrontata intraprendenza di quel film diventerai a poco a poco una fugace, trascurabilissima comparsa.
Allora a che è servito? Crescere. A cosa serve se poi il risultato è sparire nel nulla, non esistere più? Non ho forse guadagnato di più battagliando e strillando? Non ho forse vissuto gioito pianto riso molto ma molto di più quando ho cercato di imporre il mio essere? Fallivo, certo, ma almeno gli altri si accorgevano di me. Vincevo anche e dio solo sa l’estasi che si prova nel piantare una bandiera, nel dire: questo posto è mio, l’ho conquistato io. Bisogna fare domande, ribellarsi, opporsi. A costo di morire. Altrimenti si finisce dietro il sipario, si finisce dietro la vita. E, si sa, se non la chiami a squarciagola, la vita farà benissimo a meno di te.

Patrick Gentile

 

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