De rerum natura di Tito Lucrezio Caro

Il canto libero della natura

 

 

 

De rerum natura, composto da Tito Lucrezio Caro nel I secolo a.C. e riscoperto nella biblioteca dell’abbazia di San Gallo, in Svizzera, dall’umanista Poggio Bracciolini nel 1417, è un poema che si districa attraverso le volute del pensiero e, con tocco di sublime eloquenza, nell’abbraccio avvolgente dei versi del poeta, custode di una saggezza antica, illumina le profondità oscure della natura e della condizione umana, svelando i segreti dell’universo.
Il testo si rifà alla forma prosastica e al pensiero filosofico di Epicuro, seguendo la struttura del suo trattato Περὶ φύσεως (Sulla natura). Diviso in tre diadi di due libri ciascuna, conta complessivamente 7415 versi.
Nel primo libro, Lucrezio principia con un inno a Venere, simbolo della forza generatrice della natura, avviando, poi, l’esposizione delle teorie fisiche di Epicuro. Discute la natura e il comportamento degli atomi, l’assenza di un fine ultimo nel movimento atomistico e la critica all’idea di un creatore divino, introducendo il concetto di clinamen, o deviazione spontanea degli atomi, meccanismo che permette la libertà nell’universo deterministico. Il secondo libro approfondisce la teoria atomistica, descrivendo come gli atomi formino tutto ciò che si vede e si percepisce, illustrando altresì la varietà infinita delle forme della materia attraverso le combinazioni e le configurazioni degli atomi. Inoltre, mostra la struttura del cosmo, presentando l’universo come infinito ed eterno, tesi che nega la possibilità di un creatore e di un disegno cosmico. Il terzo libro è incentrato sull’anima, materialmente costituita da atomi particolarmente fini, e sulla morte. Lucrezio utilizza assunti della fisica epicurea per argomentare che l’anima è mortale e si dissolve con il corpo, tentando, così, di liberare l’umanità dalla paura della morte, che è parte naturale dell’esistenza. Nel quarto libro, esamina la percezione sensoriale e la mente, seguitando con il tema della materialità dell’esistenza ed esponendo come gli atomi siano responsabili delle sensazioni, dei pensieri e delle operazioni dell’intelletto, dimostrando, in tal modo, come si percepisca il mondo attraverso i sensi e come l’illusione e l’errore possano derivare da interpretazioni errate delle sensazioni. Il quinto libro tratta delle origini e della formazione del mondo e di vari fenomeni naturali, quali le stagioni e i cicli celesti. Il poeta propone spiegazioni naturalistiche di fenomeni spesso attribuiti all’intervento divino, promuovendo l’idea che la natura operi attraverso processi che possono essere compresi razionalmente e osservati, senza il ricorso a miti o divinità. L’ultimo libro, il sesto, presenta varie calamità naturali (fulmini, terremoti ed epidemie) e indaga le cause e gli effetti di malattie e altri disastri naturali. Nonostante il tema a tratti oscuro, l’Autore mantiene la sua prospettiva secondo cui comprendere la natura sia essenziale per liberare l’uomo dalla paura dell’ignoto e dalle superstizioni.


In ogni libro, Lucrezio non si limita a un’esposizione secca di teorie, ma le intreccia con riflessioni sulla condizione umana, profonde osservazioni sulla natura e un appello appassionato alla liberazione intellettuale e spirituale. Nelle sue linee metriche tesse il pensiero di Epicuro con una maestria che trasforma la filosofia in poesia. L’opera costituisce un viaggio attraverso l’atomismo, dove gli atomi, eterni e indivisibili, danzano nel vuoto, creando mondi e distruggendoli, senza mai un disegno divino a guidarli. Lucrezio insegna il primato della ragione e l’importanza dell’osservazione empirica, svelando che la paura e l’ignoranza siano i veri tremendi legacci dell’anima umana.

Con ardore quasi eretico sfida le convenzioni religiose del suo tempo, negando il ruolo degli dèi nella vita dell’uomo. Gli dèi esistono, ammette, ma vivono in una beatitudine distaccata, non curanti del destino umano. Questa visione è una liberazione dalla paura del divino e un invito a vivere una vita basata sulla ricerca della felicità, lontana dal terrore superstizioso degl’inferi. La religione, secondo Lucrezio, troppo spesso incatena l’uomo a timori infondati, mentre la vera beatitudine si raggiunge attraverso l’atarassia, la serenità dell’animo libero da turbamenti.
Epicuro, maestro di saggezza, è presentato come l’architetto di un giardino in cui il piacere, inteso come assenza di dolore, è il fine ultimo della vita. Lucrezio, con passione filosofica, dipinge il ritratto di una vita dedicata alla ricerca di una felicità tranquilla, lontana dagli affanni e dalle ambizioni materiali, che troppo spesso affliggono l’anima. Il poema è un inno alla mortalità, un promemoria che la morte non è da temere, poiché quando siamo, la morte non è, e quando la morte sarà, noi non saremo.
De rerum natura è un’opera che, con profonda reverenza poetica e una lucida critica filosofica, invita a riconsiderare l’esistenza umana. Lucrezio, con la guida di Epicuro, svela un universo governato da leggi naturali, dove la felicità per gli uomini, liberi dal giogo degli dèi e dalle catene dell’ignoranza, è possibile hic et nunc. In De rerum natura la natura stessa si fa tempio e il pensiero umano altare su cui offrire il sacrificio della superstizione, bruciando l’incenso della ragione.

 

 

 

 

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