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“Es Muss Sein”
I talent, i reality, i social. Una multiformità di incroci che nascono e muoiono nel giro di poco. Fatti apposta per non durare. In quanto il vero nemico dei nostri giorni è la durata. La durata di un prodotto non ne favorisce il ricambio e perciò nuoce al consumo. Se una cosa resiste all’usura il mondo si ferma. Da qui il senso della nostra epoca. Far sì che le cose (materiali e non solo) durino il minor tempo possibile. Fare in modo anzi che si corrompano in fretta. Che tramontino, muoiano. Walter Benjamin pubblicò un saggio molto interessante, “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”. In esso sosteneva che la riproduzione perfetta di un’opera d’arte snatura il prodotto artistico, svuotandolo di autenticità, riducendolo a merce, rendendolo “kitsch”. Quando fruizione si trasforma in consumo l’opera perde la sua caratteristica di evento irripetibile e si offre come simulacro, come stendardo, come bandiera. I totalitarismi, diceva il critico tedesco, sfruttano la serialità dell’esperienza artistica come strumento di controllo delle masse. Anche Kundera sostiene più o meno lo stesso quando racconta la fine della Primavera di Praga e l’invasione dei sovietici. Quando confronta necessità con libertà, il “così deve essere” con la leggerezza, l’evanescenza del possibile. Benjamin pubblicò il suo scritto nel 1936. Se avesse potuto scriverlo oggi, avrebbe trattato dei talent, dei reality, dei social. Avrebbe trattato della grande decomposizione sociale. Della sua dissolvenza e dissoluzione. Di questa contemporaneità senza amore. Dove le persone – non solo gli oggetti – sono replicabili all’infinito. Invise alla durata. Degradabili. Per dirla ancora con Kundera, mai neppure esistite.