Il primo che, nella Letteratura Italiana, quando si trattò di parlare d’amore, mischiò le carte in tavola, calando, poi, un paio di carichi da 11 punti, fu Guido Guinizzelli. Nato a Bologna nel 1235, figlio di un personaggio molto noto in città, il giudice Guinizzello da Magnano, studiò diritto nella famosissima Alma Mater Studiorum, l’Università più antica di tutta Europa, diventando avvocato. La sua vera passione, tuttavia, fu la politica. Questa, però, gli rovinò la vita: schieratosi con la famiglia ghibellina dei Lambertazzi, la seguì in esilio, insieme con la moglie, Bice della Fratta e con il figlio, Guiduccio, quando, nel 1274, i guelfi Geremei gli fecero trovare, fuori le mura di Bologna, le valige e tre biglietti di sola andata per la provincia di Padova. Morì, lontano da casa, nel 1276. Sebbene non fiorentino, Guinizzelli è stato considerato il primo poeta stilnovista. La sua canzone, Al cor gentil rempaira sempre amore, è, infatti, non soltanto il manifesto della propria arte, quanto anche quello della poetica dello Stil Novo. In essa, l’autore ci tiene a dire che amore e core gentile devono per forza compenetrarsi e, attraverso una serie di metafore, dalle pietre preziose alla fiamma della candela, fino ai raggi del sole, dimostra come, se un animo non è predisposto ad amare, ovvero non è gentile, hai voglia il sole di riscaldare il fango, come dice lui, quello sempre fango rimane.
Al cor gentil rempaira sempre amore,
come l’ausello in selva a la verdura;
né fe’ amor anti che gentil core,
né gentil core anti ch’amor, natura:
ch’adesso con’ fu ’l sole,
sì tosto lo splendore fu lucente,
né fu davanti ’l sole;
e prende amore in gentilezza loco
così propïamente
come calore in clarità di foco.
(Al cor gentil rempaira sempre amore, vv. 1-10)
La donna celebrata da Guinizzelli, caratteristica comune, poi, a tutti i suoi colleghi, è una creatura la quale, per la sua bellezza, esalta l’uomo e lo fa salire al cielo. Ella, proprio come un angelo, è mediatrice fra la materialità del nostro mondo e la spiritualità di quello ultraterreno, arrivando fino a Dio. Una scala per il paradiso, in definitiva!
Splende ’n la ’ntelligenzïa del cielo
Deo crïator più che ‘n nostr’occhi ’l sole:
ella intende suo fattor oltra ’l cielo,
e ’l ciel volgiando, a Lui obedir tole;
e con’ segue, al primero,
del giusto Deo beato compimento,
così dar dovria, al vero,
la bella donna, poi che ’n gli occhi splende
del suo gentil, talento
che mai di lei obedir non si disprende.
(Al cor gentil rempaira sempre amore, vv. 41-50)
A differenza dei compagni poeti, quando Guido incontrava la sua amata, non traballava o si faceva venire i tic. Restava immobile, come una statua di ottone, e pensava, pensava, pensava:
Lo vostro bel saluto e l’gentil sguardo
che fate quando v’ encontro, m’ancide:
Amor m’assale e già non ha riguardo
s’elli face peccato over mercede […]
remagno come statüa d’ottono,
ove vita né spirto non ricorre,
se non che la figura d’omo rende.
(Lo vostro bel saluto e l’gentil sguardo, vv. 1-4 e 12-14)
Con la coda dell’occhio la guardava salutarlo e il suo cuore gentile si riempiva di gioia, ma con tutto quello che gli si scombussolava dentro, rischiava ogni volta un infarto. Scrisse cinque canzoni e quindici sonetti, non tutti celebrativi e felici come quelli che abbiamo letto insieme. Qualcuno, infatti, anche un po’ triste, specialmente se composto quando la sua donna se la tirava troppo.