di
Riccardo Piroddi
Parte VII
Conclusioni
In conclusione di questa serie di indagini sulla finanza islamica può essere interessante accennare, in sintesi, alle sue future prospettive a livello internazionale, in Europa e in Italia, dopo aver enunciato i principali ostacoli, che ancora sussistono, per una forte espansione della finanza islamica: la mancanza di expertise (ridotto numero di professionisti applicabili a questa attività); la mancanza di consenso uniforme (manca un corpus codificato di leggi e l’interpretazione è soggetta alle diverse scuole coraniche); la mancanza di veri standard operativi (troppo lungo l’iter di verifica islamica di ogni operazione di rilievo); la limitatezza del mercato secondario (troppo ristretto); il bisogno di asset reali (vantaggio rispetto alla finanza creativa, ma anche freno all’espansione); le restrizioni alla creazione di strumenti derivati (la finanza islamica, comunque, si sta ponendo il problema e sta sviluppando alternative); l’illiceità del contratto di assicurazione (l’alternativa è il takaful, una specie di mutua assicurazione); gli svantaggi fiscali (non tutti i paesi europei sono disponibili, come la Gran Bretagna e la Francia, a creare un ambiente fiscalmente appetibile per la finanza islamica). La finanza islamica può avere una ulteriore espansione internazionale, in alcuni paesi “core” (Malesia, Indonesia, Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar), che vedono la compresenza di banche islamiche e banche convenzionali (islamic windows), dove le istituzioni hanno sviluppato: una regolamentazione ad hoc; la formazione di figure professionali, specializzate in Shari’ha compliant, e l’educazione finanziaria della clientela. I paesi nord-africani “non core” (Egitto, Tunisia, Marocco e Libia), al contrario, non hanno supportato lo sviluppo della finanza islamica, perché la regolamentazione risulta insufficiente e i regimi fiscali non sono favorevoli. In Europa, il centro nevralgico dell’espansione della finanza islamica rimane, per ora, il Regno Unito. Per il futuro, risultano condivisibili le conclusioni di Rodney Wilson della Durham University (UK), nel saggio “Islamic Finance in Europe” (European University Institute for MUSMINE, pagg. 34-35, 2007), che individua nella Turchia il più grande potenziale di sviluppo e futuro ponte tra l’UE e tutto il mondo islamico: “The greatest potential for Islamic finance, in Europe, is undoubtedly, in Turkey, where Islamic banking has been established since 1980s although it remains on the fringes of the financial system, accounting for less than five percent of deposits, and opinions in its merits are politicised as already indicated… Turkey has the greatest potential for expansion of banking in Europe, including Islamic banking… Turkey can serve as a bridge between European Union and the wider Muslim World and, in the longer term, it is likely to be Istanbul, not London, which becomes Europe’s leading centre for Islamic banking and finance.” In Italia, nonostante i musulmani siano circa 1,6 milioni (un terzo degli stranieri residenti in Italia e il 3% degli italiani), la finanza islamica non si è sviluppata, pregiudicando, finora, la competitività del sistema paese, quale opportunità di business e capacità di attirare capitali dai mercati del Golfo. Si sta puntando sul Mediterranean Partnership Fund, relativo ai paesi dell’Europa mediterranea e meridionale, per aprire ai fondi islamici, come pure agli investitori privati islamici, sostenuti dalle Islamic Financial Institutions.