Il giardino dei Finzi-Contini

 

 

Recensione di Carmela Puntillo

 

 

 

Giorgio Bassani fa parte, insieme a Lalla Romano, Natalia Ginzburg e, in secondo piano, Dacia Maraini, di un filone della letteratura italiana della seconda metà del Novecento legato a una poetica della memoria, del ricordo, di sapore proustiano, e a un’indagine psicologica di gusto sveviano. Ma questa poetica in Bassani assume un’angolatura particolare: le vicende degli ebrei di Ferrara, comunità cospicua e numerosa, e le persecuzioni naziste e fasciste a cui sono stati sottoposti. I Finzi-Contini sono una famiglia appartenente alla comunità ebraica di Ferrara, vivono una vita di alta qualità nel loro palazzo munito di ampio giardino. Il padre, appassionato di cultura, passa il suo tempo ricercando notizie sugli ebrei e raccogliendo libri per ingrandire la sua biblioteca. Alberto, il figlio, è una persona isolata, presentato dall’autore come schivo e non desideroso delle donne, anzi, ha quadri di uomini nella sua stanza, tanto da far sospettare di essere un omosessuale. Si tratta di un’ipotesi abbastanza fondata, visto che quella dell’omosessuale ebreo è una tipologia descritta da Bassani in un altro romanzo del ciclo “Il romanzo di Ferrara”, “Gli occhiali d’oro”. In realtà, probabilmente si tratta di un nerd, cioè di uno studente di materie scientifiche tipico delle università americane degli anni ‘40, tutto chiuso nelle sue ricerche e che trascura il suo corpo tanto da diventare brutto fisicamente. La figlia Micòl è la vera protagonista del romanzo: è dinamica, sa fare da padrona di casa gentile e brillante nell’intrattenere gli ospiti quando i Finzi-Contini offrono il rinfresco agli invitati alle partite di tennis che si tengono nel loro giardino, sa preparare piatti originali in cucina, sostiene brillantemente la discussione della tesi e sa parlare di argomenti elevati come la teoria per cui gli alberi sentono e vedono come gli uomini. È pratica quanto basta per regolarsi sull’amore che lei ha per i suoi. La sua magnanimità sarà importante per il protagonista (di cui l’autore non dice mai il nome ma che probabilmente è l’immagine di se stesso) il quale entra nella vita di Micòl per chiedere umilmente di restarci. Non dichiara subito il suo amore, ma lei lo capisce e fa finta di niente. Nel tema generale dei sette romanzi di Ferrara, è la figura di Micòl che differenzia questo dagli altri, per cui si può parlare del “Romanzo di Micòl”, il cui personaggio è linea-guida della narrazione. La persecuzione sembra non toccare lei come sembra non toccare tutta la famiglia, ma si manifesta a poco a poco e all’improvviso culmina nella disgrazia. L’esclusione degli ebrei dal circolo del tennis, la cacciata dalla biblioteca pubblica del protagonista e la cancellazione di suo padre dal circolo dei negozianti, la mancata assegnazione della lode a Micòl alla discussione della tesi si susseguono tra l’ironia e l’indifferenza dei protagonisti. Ma all’improvviso scoppia la tragedia: nel 1943 tutti (tranne Alberto che morirà prima di un tumore) vengono catturati dai repubblichini e portati nel campo di concentramento di Fossoli. Da lì verranno trasportati in un lager in Germania. Un ignoto forno crematorio inghiottirà le loro esistenze. È proprio per il presentimento di questa triste fine che Micòl non ricambierà mai l’amore che il protagonista le manifesta; non vorrà coinvolgerlo nella disgrazia preferendo legarsi a Giampiero Malnate, anche lui destinato a essere ucciso, accomunato a Micòl in una morte tragica a causa della guerra.

 

 

 

 

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