Il grido graffiante di una stella cadente

Ricordo di Janis Joplin

 

 

 

 

Janis Joplin, una voce venuta da un mondo che sembrava non essere il suo. Una voce graffiante, che portava con sé il peso di una vita troppo breve, troppo intensa. C’era una malinconia palpabile in ogni sua nota, un’urgenza di esprimere qualcosa che forse nemmeno lei riusciva a comprendere del tutto. Sul palco era travolgente, come se la musica fosse l’unico linguaggio in cui riuscisse a sentirsi veramente viva. Ogni sua esibizione era una confessione, una ferita aperta che mostrava al pubblico, senza filtri, come se non ci fosse altro modo di essere.
Era una ribelle, certo, ma anche una donna fragile, persa tra le contraddizioni della fama e della solitudine. Cresciuta in una cittadina del Texas, sembrava destinata a essere sempre un’outsider. Il blues, il rock, la sua voce piena di graffi e lacrime erano lo specchio del suo dolore interiore, della ricerca disperata di un posto nel mondo che non riusciva a trovare. Quando cantava Piece of My Heart, sembrava davvero che ogni volta stesse donando un pezzo di sé a chi l’ascoltava.

La sua carriera è stata breve, ma bruciò con la potenza di una stella cadente. Con la Big Brother and the Holding Company aveva dato vita a un suono nuovo, crudo, che mescolava psichedelia e blues, ma è stata la sua voce a renderla unico. Cheap Thrills divenne presto un album simbolo di un’epoca, e Janis la sacerdotessa di una generazione disillusa e in cerca di sé stessa.
Eppure, dietro l’energia esplosiva sul palco, c’era una ragazza che cercava amore in un mondo che non sapeva come darlo. Il suo stile unico, fatto di piume, vestiti colorati e stivali consumati, era quasi una maschera, una corazza per proteggersi dalle insicurezze profonde che la tormentavano. Il successo non la salvò mai dai suoi demoni: alcol, droghe e la sensazione di non essere mai abbastanza. Quello che restava era la sua musica, come un grido disperato, come l’ultimo tentativo di farsi ascoltare davvero.
Janis se n’è andata troppo presto, nel 1970, a 27 anni. La sua morte lasciò un vuoto profondo, un silenzio assordante per chi aveva sentito il potere della sua voce. Ma il suo ricordo è rimasto, incastonato in quelle canzoni che ancora oggi suonano come il lamento di un’anima libera, ma spezzata. Quando penso a Janis Joplin mi tornano sempre in mente le parole di una canzone di Kris Kristofferson, da lei interpretata: Freedom’s just another word for nothing left to lose. E mi rendo conto che, forse, è stato proprio questo il suo destino.

 

 

 

 

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