Il termine noema rimanda un concetto filosofico che ha avuto un’evoluzione notevole nel corso della storia del pensiero, passando dall’epistemologia aristotelica alla fenomenologia husserliana.
Nel contesto della filosofia aristotelica, il noema è inteso come una nozione fondamentale dell’intelletto. Secondo Aristotele, la conoscenza si articola in diversi livelli, partendo da una base di percezione sensoriale fino ad arrivare a una comprensione più complessa e astratta.
Aristotele definisce il noema come ogni nozione conosciuta “immediatamente” dall’intelletto, cioè senza passare per un’analisi discorsiva o per una deduzione logica. Il noema rappresenta, quindi, un’intuizione intellettuale immediata, una comprensione unitaria di un oggetto o di un’idea. È un concetto che non richiede ulteriore elaborazione, perché è percepito come un tutto indivisibile. In questo senso, il noema è considerato il punto di partenza della conoscenza discorsiva. La conoscenza discorsiva, ovvero la capacità di ragionare, argomentare e costruire concetti complessi, si basa, infatti, su queste intuizioni iniziali. In Aristotele, dunque, il noema è il materiale “grezzo” su cui l’intelletto lavora per costruire una comprensione più articolata della realtà.
Con Edmund Husserl, fondatore della fenomenologia, il termine noema acquisisce una nuova dimensione e un significato molto più specifico rispetto a quello aristotelico. Per Husserl, il noema è legato alla struttura dell’atto percettivo e alla teoria della coscienza intenzionale. Husserl sostiene che ogni atto di coscienza è intenzionale, cioè è sempre rivolto verso un oggetto. Questo oggetto, che viene colto dall’atto intenzionale della coscienza, è definito, appunto, noema. È il “contenuto” dell’atto di coscienza, ciò che viene percepito, pensato o immaginato. Il noema, quindi, è la realtà che appare alla coscienza nel momento in cui questa compie un atto percettivo o intellettuale. Nella fenomenologia husserliana, la distinzione tra noesi e noema è cruciale. La noesi è l’atto stesso della percezione o dell’intenzionalità della coscienza (ad esempio, il percepire, il pensare, l’immaginare), mentre il noema è il contenuto dell’atto, ciò che viene “pensato” o percepito. In altre parole, mentre la noesi si riferisce al lato soggettivo dell’esperienza, il noema riguarda il lato oggettivo o l’oggetto intenzionale così come si manifesta alla coscienza.
La differenza principale tra Aristotele e Husserl risiede nell’approccio epistemologico e fenomenologico che entrambi danno al concetto di noema. Per Aristotele, il noema è un’intuizione immediata e indivisibile dell’intelletto; è una comprensione immediata di una nozione, non mediata da ragionamenti discorsivi. Per Husserl, invece, il noema non è tanto un atto intuitivo quanto un oggetto dell’intenzionalità della coscienza. È ciò verso cui la coscienza si dirige, il “pensato” in ogni atto di coscienza intenzionale. In Aristotele, il soggetto è più implicito nel processo di conoscenza; l’attenzione è posta sull’oggetto conosciuto in modo immediato. Husserl, al contrario, mette in primo piano la coscienza e l’atto intenzionale del soggetto, rendendo il noema una costruzione fenomenologica che dipende dal modo in cui la coscienza percepisce e interpreta la realtà.
Un aspetto comune in entrambe le concezioni, che va sottolineato, è la distinzione tra noema e sensazione. In entrambi i filosofi, il noema non è un semplice dato sensoriale, ma un’entità intellettuale o intenzionale. In Aristotele, il noema si distingue dalla sensazione, perché non è una percezione sensoriale diretta, ma un’intuizione dell’intelletto che percepisce l’essenza o la forma di un oggetto. In Husserl, invece, la distinzione è ancora più netta: il noema è l’oggetto intenzionale della coscienza, che si manifesta indipendentemente dalla mera sensazione fisica. La sensazione può essere il punto di partenza dell’esperienza, ma il noema rappresenta la realtà così come è data alla coscienza nella sua complessità fenomenologica.
L’idea di noema costituisce, pertanto, un esempio illuminante di come i concetti filosofici possano evolvere nel tempo, assumendo significati diversi a seconda del contesto teorico. In Aristotele, il noema è il punto di partenza della conoscenza intellettuale, un’intuizione immediata e indivisibile dell’intelletto. In Husserl, diventa l’oggetto intenzionale di un atto di coscienza, il “pensato” che emerge dall’interazione tra il soggetto e il mondo fenomenologico. Questa evoluzione riflette anche il cambiamento nella concezione della conoscenza: da una visione realista e oggettiva (Aristotele) a una visione fenomenologica e soggettiva (Husserl), dove l’oggetto della conoscenza non è qualcosa di indipendente dalla coscienza, ma qualcosa che si manifesta e prende forma attraverso l’esperienza soggettiva.
Il noema, quindi, non è solo un concetto filosofico, ma una lente attraverso cui osservare il modo in cui la mente umana si relaziona con la realtà, trasformando l’esperienza sensoriale in una comprensione intellettuale o fenomenologica più complessa e articolata.