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L’estate profonda
Al centro profondo dell’estate, “I and I” di Bob Dylan sul giradischi, mi riscoprivo laconico e incapace. Di esprimermi, di crescere. Entrò un pipistrello in casa e un geco risalì l’angolo tra le due pareti. Mia madre smise di mangiare. Me ne stavo concluso sui pastelli fino a quando un pomeriggio lui disse giochiamo a mosca cieca, chi di noi perde farà penitenza. C’era come un giallo granuloso nell’aria, grandi palle di fuoco nel cielo, e io barcollavo in bilico tra la fame e la pubertà con un calzino arrotolato sugli occhi. Lo vedevo da sotto, le sue enormi scarpe Adidas a pochi centimetri di me. Aveva le forbicine per le unghie e mi pungeva mentre io mi votavo alla sconfitta. Nelle fiamme di agosto. Hai perso e adesso sarai torturato a dovere. Guardavo il soffitto opposto a me e in quel bianco smarginavano le ultime chiazze della vergogna. Seppi solo secoli dopo. Che io sono nato Basini. E che avrei cercato per tutta la vita i miei carcerieri, Beineberg e Reiting. Il mio Törless. La mia frustata sulle chiappe. Piegato con la faccia sul pavimento, la corda al collo, la polvere.