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L’inutilità di mandare a memoria le poesie
Riflettendo su La pioggia nel pineto di Gabriele D’Annunzio, pensavo alla sostanziale inutilità di quella pratica, in voga quando io ero studente elementare, di far imparare a memoria le poesie più famose della Letteratura Italiana. Ecco quanto scrivevo, qualche anno fa, a proposito del mandare le cose a memoria, in una mia pubblicazione sulla Letteratura Italiana: “Che sia maledetto! (riferito a Carducci e alla sua San Martino). Mi ricordo, quando frequentavo la quarta elementare, di aver passato un pomeriggio ad imparare a memoria questa poesia, di essermi svegliato un’ora prima la mattina dopo per ripassarla e, nonostante ciò, davanti alla maestra, piansi perché non la ricordavo tutta. Ho sempre odiato dover imparare le cose a memoria. Che vantaggio c’è a conoscere il testo di una poesia senza poi riconoscerne e capirne i temi?” Per tornare al Vate ed a La pioggia nel pineto, qualcuno riesce a spiegarmi cosa può capirne un bambino dei “freschi pensieri/ che l’anima schiude/ novella,/ su la favola bella/ che ieri/ t’illuse, che oggi m’illude”, oppure, è in grado di sapere che si possa piangere anche di piacere? “Piove su le tue ciglia nere/ sì che par tu pianga/ ma di piacere”. E tantissimi altri esempi potrei addurre, non soltanto relativi a questa poesia. Ecco, allora, a cosa serve la memoria di una poesia se, poi, non se ne capisce il senso? Pensate che un poeta abbia appagamento a che i suoi versi siano mandati a memoria senza intenderne il significato? Non credo proprio!