Solipsismo ed etica

La sfida filosofica dell’esistenza dell’altro
e la fondazione del dovere morale

 

 

 

 

Il solipsismo, una posizione filosofica che sostiene l’impossibilità di affermare con certezza l’esistenza di qualcosa al di fuori della propria mente, solleva questioni profonde non solo a livello epistemologico, ma anche etico. In un articolo precedente (leggi) avevo trattato il solipsismo dal punto di vista epistemologico. La dimensione etica del solipsismo, invece, si manifesta nel dilemma di come gestire le relazioni interpersonali o persino se queste possano essere considerate autentiche, se si parte dal presupposto che non si possa avere certezza dell’esistenza degli altri. La questione, dunque, non è solo se posso conoscere gli altri, ma anche quale valore morale attribuisco alla loro esistenza e come mi comporto nei loro confronti.
Se il solipsismo mette in dubbio l’esistenza del mondo esterno e degli altri individui, una delle prime questioni che sorgono è come sia possibile fondare un’etica in un contesto in cui l’altro potrebbe non esistere. Questo può condurre a una visione estremamente individualista della realtà, in cui l’unico referente etico e morale è il soggetto stesso. In questo scenario, le conseguenze potrebbero essere devastanti: se l’altro non esiste o la sua esistenza è irrilevante, quali doveri ho verso di lui? L’empatia, la compassione e la giustizia perdono il loro significato, poiché richiedono un riconoscimento dell’altro come un soggetto con diritti, bisogni e desideri.
Questa posizione estremista può, almeno in linea teorica, giustificare l’egocentrismo morale: se il mio mondo è l’unico mondo reale, la mia felicità e i miei desideri potrebbero essere l’unica bussola morale da seguire. Tuttavia, si tratta di una visione estremamente riduttiva e problematica, che molti filosofi hanno cercato di superare.
Immanuel Kant è uno dei filosofi che ha affrontato il solipsismo etico cercando di superarlo attraverso la nozione di dovere morale. Per Kant, la morale non può essere soggettiva o dipendere dall’incertezza riguardo all’esistenza dell’altro. La sua famosa “Legge morale”, espressa attraverso l’imperativo categorico, impone che le nostre azioni debbano essere governate da princìpi universali, validi per tutti gli esseri razionali. L’imperativo categorico, nella sua forma più conosciuta, ci esorta a trattare gli altri come fini in sé e non come mezzi per i nostri fini. Questo significa che, anche se il solipsismo pone una barriera epistemologica rispetto alla certezza dell’esistenza degli altri, l’etica kantiana ci impone comunque di comportarci come se l’altro fosse reale, riconoscendone la dignità e il valore. L’etica diventa così una risposta normativa all’incertezza solipsistica: non possiamo essere sicuri dell’altro, ma siamo moralmente obbligati a comportarci come se lo fossimo, perché questo è ciò che la ragione morale ci impone.

Anche i filosofi esistenzialisti, come Jean-Paul Sartre, hanno cercato di affrontare la questione etica del solipsismo. Per Sartre, l’incontro con l’altro è inevitabile e caratterizzato da un conflitto esistenziale. Nell’opera L’essere e il nulla, Sartre descrive il rapporto con l’altro come una fonte di alienazione e conflitto: l’altro è colui che mi guarda e che, con il suo sguardo, mi oggettivizza. Da questa prospettiva, la relazione interpersonale è essenzialmente conflittuale, perché l’altro minaccia la mia libertà. Tuttavia, nonostante questa visione pessimistica delle relazioni umane, Sartre non sfugge alla dimensione etica. Per lui, l’incontro con l’altro è inevitabile e, sebbene conflittuale, è anche ciò che dà senso alla nostra esistenza. La libertà esistenziale, infatti, si manifesta nel confronto con l’altro. Pur riconoscendo la tensione e l’alienazione che emergono nel rapporto con l’altro, Sartre suggerisce che la responsabilità verso l’altro non può essere evitata. L’etica dell’esistenzialismo, dunque, è un’etica della responsabilità, in cui siamo chiamati a riconoscere l’altro non solo come minaccia, ma anche come condizione necessaria per la nostra stessa esistenza autentica.
Al di là delle risposte specifiche di Kant o degli esistenzialisti, il solipsismo etico ci costringe a riflettere su alcune questioni fondamentali: in che modo riconosciamo gli altri come soggetti morali? E, se esiste una certa incertezza epistemologica riguardo alla loro esistenza, come possiamo giustificare il nostro senso di responsabilità verso di loro?
Uno dei tentativi più recenti di risolvere questo problema si basa sull’idea di intersoggettività. La filosofia contemporanea, in particolare quella fenomenologica (Husserl e Merleau-Ponty), ha cercato di superare il solipsismo affermando che l’esperienza dell’altro è immediata e costituisce una dimensione fondamentale del nostro essere-nel-mondo. La relazione con l’altro non è semplicemente un problema epistemologico da risolvere, ma una condizione esistenziale e morale intrinseca. In altre parole, non posso esistere in modo autentico senza l’altro, e questo mi impone una responsabilità morale nei suoi confronti.
In definitiva, la dimensione etica del solipsismo ci pone davanti a una sfida profonda. Se partiamo dall’assunto che l’esistenza degli altri è incerta, come possiamo fondare una morale basata sulla reciprocità, l’empatia e la giustizia? Le risposte dei filosofi a questa questione sono varie, ma convergono su un punto fondamentale: l’esistenza dell’altro, che sia certa o meno, non può essere ignorata a livello etico. Che si tratti dell’imperativo categorico kantiano o del riconoscimento conflittuale esistenzialista, la relazione con l’altro è inevitabile e costituisce il fondamento stesso della moralità.

 

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *