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I Papi, la guerra e la pace: Pio XII e l’allocuzione natalizia Cinque punti per una giusta pace internazionale, del 24 dicembre 1939

 

di

Riccardo Piroddi

 

 

Eugenio Pacelli, asceso al soglio pontificio col nome di Pio XII, è stato il 260° papa della Chiesa Cattolica Romana. Nato a Roma, il 2 marzo 1876, fu eletto papa nel 1939. Segretario di Stato di Pio XI, tentò, in tutti i modi, di scongiurare la Seconda guerra mondiale. Morì il 9 ottobre 1958.

 

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Questa allocuzione natalizia di Pio XII, eletto papa nel marzo dello stesso anno 1939, riprese alcuni spunti dell’omelia pasquale (9 aprile), dedicata al tema della pace, divenuto un vero e proprio assillo del pontefice. La proposta dei cinque punti per una giusta pace internazionale fu lanciata nella fase quasi di stallo della guerra, dopo l’invasione e l’occupazione della Polonia da parte della Germania di Adolf Hitler. Pio XII, che era stato a lungo ai vertici della Segreteria di Stato ed era un grande conoscitore della diplomazia internazionale, aveva indubbiamente presente l’esito non felice delle ripetute offerte di mediazione promosse da Benedetto XV. Il documento, nella sua parte finale, riferì, significativamente, dell’arrivo a Roma di Myron Taylor, ambasciatore e rappresentante personale del presidente americano Franklin Delano Roosevelt, premessa di inediti stretti rapporti tra la Santa Sede e gli Stati Uniti. Nel momento pioXII52ain cui Pio XII pronunciò questo discorso (24 dicembre 1939), la guerra, come detto, era già cominciata. Il mondo sembrava aver dimenticato i messaggi pacificatori di Cristo, la voce della ragione e la fratellanza cristiana e si era stati costretti ad assistere ad una serie di atti inconciliabili, sia con le prescrizioni del diritto internazionale, sia con i principi del diritto naturale, che con gli stessi più elementari sentimenti di umanità. In questa categoria rientravano la premeditata aggressione contro un piccolo, laborioso e pacifico popolo (Polonia), col pretesto di una minaccia non esistente, non voluta e nemmeno possibile; le atrocità commesse e l’uso illecito di mezzi di distruzione di massa, anche contro non combattenti; il disprezzo della dignità, della libertà e della vita umana e, infine, la sempre più estesa e metodica propagazione anticristiana e persino atea. Dovere della Chiesa, secondo il pontefice, era preservare sé stessa e la propria missione con ogni sforzo possibile. Quando il mondo, stanco di combattersi, avrebbe voluto stabilire la pace, sarebbe stato necessario un lavoro immane per abbattere l’avversione e l’odio. Nella consapevolezza degli eccessi, cui avevano aperto la strada dottrine e atti di politiche non curanti della legge di Dio, il papa e la Santa Sede tentarono, fino all’ultimo, di evitare il peggio e di persuadere gli uomini, nelle cui mani era la forza e su cui gravava la pesante responsabilità di rinunciare al conflitto armato e di risparmiare al mondo terribili sciagure. I problemi che si agitavano tra le nazioni non erano irrisolvibili, ma quella fiducia, originata da una serie di circostanze particolari, impediva che si prestasse fede all’efficacia di eventuali promesse e alla durata di possibili convenzioni. Non restò, quindi, al pontefice e al Vaticano, che adoperarsi per alleviare le sventure derivanti dalla guerra. Pio XII, rivolgendosi ai governanti e alla parte sana di ogni popolo, invitò loro a tener presente quelli che sarebbero stati i cinque punti fondamentali per una pace giusta e duratura, nel momento in cui la guerra sarebbe terminata. Primo punto: assicurare il diritto alla vita e all’indipendenza di tutte le nazioni, grandi e piccole, potenti e deboli. Quando questa uguaglianza di diritti è distrutta, lesa o messa in pericolo, l’ordine giuridico esige una riparazione, la cui misura ed estensione non è determinata dalla guerra o dall’arbitrio egoistico, ma dalle norme di giustizia e di reciproca equità. Secondo punto: affinché l’ordine, stabilito in questo modo, potesse avere stabilità e durata, le nazioni avrebbero dovuto liberarsi dalla schiavitù della corsa agli armamenti e dal pensiero che la forza materiale, invece di tutelare il diritto, ne diventa acerrima nemica. Condizioni di pace, che non attribuissero fondamentale importanza ad un disarmo mutuo, organico e progressivo, e non si curassero di attuarlo lealmente, rivelerebbero, prima o poi, la loro inconsistenza. Terzo punto: in ogni riassetto della convivenza internazionale, sarebbe dovuto essere fondamentale che, da tutte le parti in causa, si deducessero le conseguenze dalle lacune o dalle mancanze del passato; nel creare o ricostituire le istituzioni internazionali, che avevano una missione pacelli4tanto alta, ma, allo stesso tempo, difficile e piena di gravi responsabilità, bisognava tenere presenti le esperienze derivate dall’inefficacia o dal funzionamento difettoso di simili iniziative precedenti. Quarto punto: Se si fosse voluto veramente un migliore ordinamento dell’Europa, si sarebbe dovuto tener conto dei veri bisogni e delle giuste richieste delle nazioni e dei popoli, come pure delle minoranze etniche, richieste le quali, se non sempre bastanti a fondare uno stretto diritto, meritavano tuttavia, un esame, per pervenire ad un loro assolvimento per vie pacifiche e, ove fosse necessario, per mezzo di una equa, saggia e concorde revisione dei trattati. Quinto punto: anche i regolamenti migliori e più compiuti sarebbero stati imperfetti e condannati all’insuccesso se i governanti e i popoli stessi non si fossero lasciati penetrare da quel senso di responsabilità, che misura e pondera gli statuti umani, secondo le sante e incrollabili norme del diritto divino. Le difficoltà per realizzate quanto esposto, concluse il pontefice, erano certamente enormi, ma coloro i quali si fossero uniti nel vincolo della fede, avrebbero potuto contribuire al fine della pace vera, purché, finita la guerra, fossero sorti, presso tutti i popoli e le nazioni, spiriti animati dal coraggio, che opponessero all’istinto della vendetta, la severa e nobile maestà della giustizia.

 

I Papi, la guerra e la pace: Benedetto XV e le lettere apostoliche Esortazione ai popoli belligeranti e ai loro capi, del 28 luglio 1915, e Nota ai capi dei popoli belligeranti, dell’1 agosto 1917

 

di

Riccardo Piroddi

 

 

Giacomo Paolo della Chiesa, asceso al soglio pontificio col nome di Benedetto XV, è stato il 258° papa della Chiesa Cattolica Romana. Nato a Pegli di Genova, il 21 novembre 1854, fu eletto papa nel 1914. Si adoperò con ogni sforzo, forte della esperienza diplomatica acquisita, avendo lavorato con i Segretari di Stato Mariano Rampolla e Rafael Merry del Val, per porre fine alla Prima guerra mondiale. Morì il 22 gennaio 1922.

 

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L’Esortazione ai popoli belligeranti e ai loro capi fu redatta due mesi dopo l’entrata dell’Italia nella Prima guerra mondiale (24 maggio 1915), che aveva comportato un ulteriore allargamento del conflitto e posto problemi inediti anche per il normale funzionamento delle attività internazionali della Santa Sede. Il papa non si rivolse più, come nella consolidata tradizione diplomatica vaticana, soltanto ai capi di Stato, ma anche, direttamente, all’opinione pubblica di diversi Paesi. L’Esortazione esordì tratteggiando, a tinte cupissime, il quadro dell’Europa in guerra. Il pontefice rimarcò il fatto che le sue prime parole, quando era stato eletto, rivolte alle Nazioni e ai loro reggitori, erano state di pace, di amore e di invocazione alla divina Provvidenza, affinché illuminasse i governanti e facesse loro decidere di cessare il conflitto. Sarebbero stati responsabili di ciò, dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini. La ricchezza che Dio aveva fornito alle loro terre, avrebbe permesso loro di continuare la guerra, ma a quale prezzo? Era convinzione Benedetto-XV-nel-suo-studiodi Benedetto XV che il conflitto non potesse risolversi senza la violenza. Sarebbe stato necessario deporre il mutuo proposito di distruzione. Le Nazioni non sarebbero morte: seppure umiliate e oppresse portavano frementi il giogo loro imposto, preparando la riscossa e trasmettendo, di generazione in generazione, un retaggio di odio e di vendetta (parole profetiche queste, visto quanto sarebbe accaduto alla Germania, la quale, offesa e schiacciata dal Trattato di Versailles, favorì l’ascesa al potere di Adolf Hitler e lo scoppio della Seconda guerra mondiale). Il papa propose alcune sue idee per porre fine alla guerra: la considerazione dei diritti e delle giuste aspirazioni dei popoli, iniziando uno scambio diretto e indiretto di vedute, allo scopo di tener conto di quei diritti e di quelle aspirazioni. L’equilibrio del mondo e la tranquillità delle Nazioni, secondo il pontefice, si fondavano molto di più sulla mutua benevolenza e sul rispetto dei diritti altrui, che su una moltitudine di fortezze e di armi. Il titolo originale della Nota ai capi dei popoli belligeranti, dell’1 agosto 1917, era in francese: Dès le début (Dall’inizio). E’ stato il documento più noto di Benedetto XV e, al momento della sua pubblicazione, suscitò grande scalpore e reazioni contrastanti. Accolto favorevolmente dai fedeli cattolici di tutta Europa e dalla gente comune, stanca e avvilita per i quattro anni trascorsi di guerra, suscitò diffidenza e ostilità esplicita nei comandi militari e nelle inutile_stragecancellerie dei Paesi di entrambi gli schieramenti. All’inizio della nota, il pontefice rimarcò come, sin dal principio del suo pontificato (3 settembre 1914), si era proposto di mantenere la Chiesa nell’imparzialità, di adoperarsi per fare a tutti il maggior bene possibile, senza distinzione di nazionalità o religione, di mettere in atto quanto realizzabile per far cessare la guerra, inducendo i popoli e i loro governanti ad impegnarsi per una pace giusta e duratura. Gli appelli, però, non furono ascoltati e, dal momento della incoronazione papale, altri tre terribili anni di guerra travagliarono il mondo. Il papa formulò, altresì, proposte concrete e pratiche, invitando i governi dei popoli belligeranti ad accordarsi su principi che sembrassero essere i capisaldi di una pace giusta e duratura, lasciando, poi, ad essi di precisarli e completarli (da qui, l’ostilità dei comandi militari dei governi belligeranti, che videro ciò come una fastidiosa ingerenza). La forza materiale delle armi sarebbe dovuta essere sostituita dalla forza morale del diritto. Bisognava trovare un giusto accordo tra tutti, riguardo la simultanea e reciproca diminuzione degli armamenti, secondo norme e garanzie da stabilire, nella misura necessaria al mantenimento dell’ordine pubblico nei singoli Stati e, in sostituzione delle armi, affidarsi all’istituto dell’arbitrato, con la sua alta funzione pacificatrice, conformemente a norme da predisporre. Stabilito così l’impero del diritto, si sarebbero eliminati gli ostacoli alle vie di comunicazione dei popoli con la vera libertà e comunanza dei mari: il che, avrebbe eliminato molteplici cause di conflitto e aperto per tutti, nuovi fronti di prosperità e di progresso. I danni di guerra sarebbero dovuti essere interamente e reciprocamente condonati, visti gli immensi benefici del disarmo. Infine, i territori occupati, sarebbero dovuti essere restituiti, altrimenti questi accordi pacifici, con tutti i vantaggi che ne VI-IT-ART-22958-benedetto_XVderivavano, non sarebbero stati possibili. Per quanto riguardava le questioni territoriali, come quelle che sussistevano tra l’Italia, e l’Austria, tra la Germania e la Francia, nella regione dell’Armenia e in quella dei Balcani, di fronte ai vantaggi di una pace duratura con disarmo, le parti in causa avrebbero dovuto esaminarle con spirito conciliante, tenendo conto, nella misura di ciò che era giusto e possibile, delle aspirazioni di popoli, e coordinando i propri interessi a quelli comuni dei popoli. Su queste basi, il pontefice riteneva dovesse poggiare il futuro assetto dei popoli. Per questo, si rivolse ai governanti dei paesi belligeranti, sui quali, a suo giudizio, gravava la responsabilità della felicità dei popoli, che essi avevano il dovere di procurare. Sul piano diplomatico, i tentativi di Benedetto XV fallirono, ma rafforzarono i sentimenti contrari al conflitto e confermarono il ruolo guida della Chiesa Cattolica.