“A volte l’inferno è un buon posto, se serve a dimostrare con la sua esistenza che deve esistere anche il suo contrario, cioè il paradiso. E cos’è questo paradiso? La poesia.”
Parola di Gregory Corso. Tra i più noti poeti dell’americana scena Beat, esplosa nella metà del Novecento. Di chiare origini italiani, Gregory, fu l’ultimo arrivato ed il più giovane in quel consolidato gruppo ribelle di amici meglio conosciuto come la Beat Generation a cui tutt’ora dobbiamo molto. Sicché infatti, l’effervescenza dei testi di Gregory…
“Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche…”. Così si apriva il poema beat di Allen Ginsberg, “Howl” (Urlo) che fu letto per la prima volta nel 1955 nella Six Gallery di San Francisco. Una generazione distrutta dal maccartismo, che si annichilì nel consumo di droghe di ogni genere, un periodo che segnò la fine dell’esistenza del comunismo negli Stati Uniti d’America e del sogno di sperare in una società diversa da quella capitalista. Oggi in Italia ci vorrebbe qualcuno che riscrivesse un’opera analoga, ma non ci sono figure intellettuali di quello stampo e quelli che si presumono esser tali, sono assuefatti e annichiliti alle e dalle frequentazioni col potere. Quelli che avrebbero potuto scrivere qualcosa del genere sono già morti da un ventennio e, invece del maccartismo, noi abbiamo avuto il berlusconismo, una parodia isterico consumistica di anticomunismo, e quel sogno è sparito definitivamente anche da noi. La storia, si sa, si ripete sempre due volte, una volta come tragedia e un’altra volta come farsa. Oggi, l’Italia e gli italiani sono spariti nel gorgo di un pensiero mediocre, truffaldino e bugiardo. Non si riesce più ad immaginare niente altro che ciò che si vede e si sente sui media, e: “Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno di progresso tecnico”, altra profezia proveniente dagli States e annunciata più di quarant’anni fa. Volevamo diventare tutti americani. Anche io lo ho volevo, ma il mio personaleamerican dream inseguiva il sogno dell’arte e della letteratura, appunto. Oggi, siamo diventati la loro parodia, obbligati in uno spazio mentale dove ogni possibilità di immaginare un mondo diverso da quello che ci presentano essere come l’unico possibile è naufragata. La rincorsa di bisogni politici indotti e veicolati dai media si è trasformata in bisogni e aspirazioni individuali, la soddisfazione dei quali viene fatta passare come lo sviluppo degli affari e del bene comune, ed entrambi appaiono essere la personificazione stessa della ragione. Così, mentre le menti americane si annichilirono e si autodistrussero nelle droghe è anche vero che quegli “hipsters dal viso d’angelo” ci consegnarono un momento alto di letteratura, mentre a noi non è toccato neanche questo. Ma la crisi economica iniziata nel 2008 decreterà l’insuccesso e il definitivo tramonto di questo pensiero unico liberista, come sostengono da più parti sparpagliate comunità no global? Questa crisi potrà davvero rappresentare un punto di svolta rispetto alle politiche di privatizzazione, liberalizzazione finanziaria e smantellamento dei diritti sociali e del lavoro che hanno imperversato a livello mondiale nell’ultimo trentennio? Secondo me no, così come neanche le tesi troppo generiche – a mio avviso – di Alain Badiou, fondate su un volontaristico anelito alle ribellioni sociali, tesi, per altro, già smantellata da uno studioso serissimo e molto più attento di Badiou, quale era Eric Hobsbawm, in suo storico ed importante saggio “I ribelli. Forme primitive di rivolta sociale”, edito, in Italia, da Einaudi, in un ormai preistorico 1965. La messa in crisi del pensiero unico, secondo il mio punto di vista, dovrebbe coinvolgere più elementi e più piani discorsivi e concettuali: politico, economico, sociologico ma, soprattutto, filosofico. Sul piano politico, bisognerebbe rintracciare (rifondare?) un’entità politica antagonistica a questo sistema di rappresentanze, che organizzasse tutte quelle volontà di rivolta sparse, delle quali parla Badiou. Su quello economico, bisognerebbe seriamente considerare l’ipotesi di una messa al bando del sistema bancario, ovvero, parlare senza più mezzi termini di banditismo bancario e finanziario e, senza rispolverare il collettivismo economico, imporre a questi centri di strozzinaggio legalizzato un controllo da parte dei governi. Su quello sociologico, attivare strategie di dissuasione, attraverso lo smantellamento dei messaggi dei media, ovvero, smascherare, con una educazione alla critica fatta nella scuola e nell’università, il sistema di bugie ordito dai media e che è funzionale ai primi due livelli discorsivi, il politico e l’economico. Resta per ultimo, ma non ultimo, il piano filosofico. Il modo di pensare la filosofia oggi dovrebbe essere quello antico, ovvero: avvalersi del dubbio, del criticismo e della verosimiglianza ermeneutica per l’uomo in rapporto con le cose reali e fallibili e, soprattutto, con la natura: “Se tocchi una cosa in quella cosa ci sei tu”. Dovrebbe essere quella filosofia che indaga il modo di pensare e analizza la logica e il senso delle parole. Dovrebbe essere antiaccademica, teoretica e dialogare con altre discipline. Insegnare a praticare la vita, come un tempo si faceva nelle scuole greche. Senza indicare scopi e colpe da espiare, se non la pienezza di senso nel proprio dasein – del proprio esserci – per un degno percorso quotidiano. Purtroppo, l’attuale società è controfilosofica e allineata alle temperie dei tempi: illusi di sapere e di essere felici, non si vuole capire, pensare, chiedersi cosa implichino certi comportamenti. La cultura laica postmoderna e tutti i più grandi pensatori di ieri e di oggi sono stroncati a priori come “cattivi maestri”, ma, soprattutto, come inutili. La dialettica costruttiva, ovvero il modo di far filosofia, dovrebbe poter incrociarsi con riferimenti a fatti di cronaca e verificare il ruolo e i doveri della filosofia. Cominciare di nuovo a chiedersi cosa significa conoscere, e discutere della verità e della menzogna, dell’attendibilità o inattendibilità dei media, di radio, di politica, di scuola, di pregiudizi, di certi equivoci di alcune teorie e movimenti, del confronto con le altre culture e con la spiritualità orientale, di preferenze sessuali, d’amore, del conformismo ipocrita che ci impedisce di voler costruire nuovi scenari privati e pubblici ispirati alla consapevolezza e all’onestà. Insomma, un gran lavoro. Non una filosofia della vita quotidiana, per parafrasare Agnes Heller, ma filosofia per la vita quotidiana, benché, non solo. Una filosofia autenticamente democratica. Non chiacchiere sparse, ma conversazioni profonde. Pensare filosoficamente oggi, significherebbe poter praticare questo pensiero e il farlo sarebbe già un buon inizio.